Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 84 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 84 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18770/2023 R.G. proposto da : COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME ( -) rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (MNLVTI59P12E716Q)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA
INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso ORDINANZA di CORTE D’APPELLO BARI n. 2015/2018 depositata il 13/07/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
I signori COGNOME sono proprietari di un’ampia area a destinazione agricola, sulla quale è presente un fabbricato rurale in stato di abbandono. Negli anni 1990 e 1992 era stata autorizzata dal Prefetto di Foggia l’occupazione temporanea e d’urgenza di una superficie di circa 3.000 mq dell’area per la realizzazione dello svincolo stradale a livelli sfalsati in corrispondenza con la SS 17. Ne era seguito un lungo ed articolato contenzioso tra le parti e, tenuto conto dell’irreversibile trasformazione del terreno e del mancato intervento del decreto di esproprio ‘ordinario’, era stato avviato nel 2014 il procedimento per l’acquisizione sanante, ex art.42 bis TUE; il provvedimento relativo era stato adottato in data 11.4.2018 da ANAS ed era stato opposto, con introduzione del presente giudizio, dai proprietari che avevano chiesto la determinazione giudiziale delle indennità e dei risarcimenti previsti dall’art.42 bis cit. Costituitasi ANAS con richiesta di rigetto delle domande di controparte e integrata la domanda introduttiva su ordine del Giudice, che l’aveva ritenuta indeterminata, la causa era stata istruita con disposizione di CTU.
La Corte d’Appello di Bari aveva respinto l’opposizione in base alle seguenti considerazioni, adesive alle argomentazioni e conclusioni del CTU: -il terreno interessato dalla procedura ablativa ricade in area destinata a viabilità pubblica e non possiede pertanto
natura edificatoria; l’Ausiliario della Corte ha effettuato la stima utilizzando, secondo le indicazioni del Collegio, il criterio sinteticocomparativo basato sul ‘metodo del valore di mercato con confronto diretto’, consistente nell’attribuzione ai beni da stimare del prezzo di mercato di immobili omogenei, ed ha tenuto altresì conto del valore di mercato di terreni distanti circa settecento metri dalla particella di cui si discute, anch’essi acquisiti per lo stesso intervento di interesse pubblico; -il CTU è arrivato così a determinare il valore al metro quadro dell’area in € 7,50, quantificando l’indennità spettante ai ricorrenti nel minor importo di € 21.105,00 rispetto a quanto riconosciuto da ANAS (€ 23152,87); l’area ablata, come rilevato dal CTU, era al tempo dell’immissione in possesso e tuttora principalmente destinata a viabilità in forza degli strumenti urbanistici in vigore e, come tale, è insuscettibile di valutazione diversa da quella a verde agricolo (sulla particella è pure presente una fascia di rispetto per l’esistenza del Tratturo Regio Cod.05 Celano-Foggia); -ne consegue che lo strumento urbanistico vigente ha vincolato la zona ad un utilizzo meramente pubblicistico e, inoltre, il valore di mercato del terreno è stato risolutivamente individuato dall’ausiliario attraverso il confronto comparativo con quello di cespiti con caratteristiche omogenee, comprensivo di ogni ipotetica attitudine del fondo a prestarsi ad eventuali (indimostrate) forme di sfruttamento ulteriore, diverse da quelle di tipo esclusivamente agricolo; -si aggiunge che le osservazioni formulate dal CTP dei ricorrenti nella nota del 7.5.2023 risultano incentrate unicamente sul pregiudizio che deriverebbe dalla mancata ‘valorizzazione’ del fabbricato in rovina il quale, a seguito del provvedimento di acquisizione e tenuto conto delle distanze legali da rispettare rispetto alle sedi stradali, non potrebbe essere più destinato a utilizzazione agro-turistica, consentita dalla normativa vigente all’epoca del decreto di acquisizione, con conseguenti danni da individuare nei costi di
demolizione e ricostruzione dell’immobile in altra collocazione sul fondo; -al riguardo, il CTU ha invece osservato (pure rispondendo ai rilievi del CTP) che il fabbricato, da anni inagibile e privo di impianti, versava già in una situazione di degrado e di abbandono nel 1990 e non è mai stato utilizzato come bene strumentale dell’intero compendio terriero, ed ha escluso qualsiasi collegamento causale tra lo stato della medesima casa colonica e gli atti della procedura di iniziale occupazione e, a maggior ragione, di quella poi sfociata nel decreto di acquisizione coattiva del 2018; -in ogni caso, in presenza della possibilità, riconosciuta dall’art.21 delle NTA del PRG del Comune di Foggia, di riutilizzo a scopo agrituristico dei manufatti in rovina e non più fruibili a fini agricoli, non risulta allegato dai ricorrenti alcun elemento fattuale da cui poter desumere plausibilmente una loro concreta ed effettiva volontà di riutilizzo a fini agrituristici del manufatto, il quale versa in stato di rovina da decenni ed è in una posizione sfavorevole, perché prossima a strade extraurbane principali; -non è dovuta alcuna indennità anche ai sensi dell’art.33 TUE, data la percentuale irrisoria sottoposta ad ablazione rispetto all’estensione complessiva del terreno, tale da non arrecare pregiudizio alla porzione residua; -ne consegue che l’indennità spettante ai ricorrenti è quella determinata dal CTU, inferiore rispetto a quanto loro riconosciuto da ANAS, che non ha svolto domanda riconvenzionale di rideterminazione del dovuto in minor importo, con conseguente rigetto del ricorso; -le spese processuali sostenute da ANAS e le spese di CTU si pongono a carico dei ricorrenti.
Avverso il provvedimento della Corte d’Appello di Bari hanno proposto ricorso per cassazione i signori COGNOME affidandolo a due motivi, con richiesta di decisione nel merito:
Violazione e falsa applicazione di legge (art. 42 bis; art. 40 art. 37; art. 33 del DPR n. 327/01; nonché del D.M. n. 1404/1968, nonché degli artt. 20 e 21 delle N.T.A. del PRG di Foggia approvate
con DGR n. 1005 del 20.7.2001, in relazione anche a quanto stabilito da Corte Cost. n. 181/2011) (360 c. 1 n. 3).
Dalla CTU è emerso che l’espropriazione ha lambito, fin quasi a toccarlo, il fabbricato rurale esistente sul fondo e, di conseguenza, non si potrebbe non riconoscere l’oggettiva influenza negativa sulla parte residua del distacco operato, tale da non renderla più fruibile per gli scopi agrituristici permessi dalle NTA del PRG del Comune di Foggia, art.20 e 21; l’esigenza di rispettare le distanze dalle strade previste dal DM n.1404/1968 avrebbe di fatto precluso le possibili utilizzazioni economiche del fabbricato; a differenza di quanto ritenuto dal CTU e dalla Corte d’Appello, il CTP avrebbe rilevato come lo stato di abbandono e la conseguente rovina del fabbricato sarebbero stati determinati proprio dagli effetti dell’occupazione/espropriazione subita dai ricorrenti, a decorrere dai decreti prefettizi di occupazione iniziali. Le affermazioni, sostanzialmente adesive al contenuto della relazione peritale, della Corte d’Appello sulla determinazione del valore dell’immobile sarebbero invece apodittiche e violerebbero le norme in materia di determinazione dell’indennità per acquisizione sanante. Le critiche al riguardo si fondano sostanzialmente su due serie di argomenti e cioè: A) contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’Appello attraverso un richiamo improprio all’ordinanza della Corte di Cassazione n.6527/2019, i ricorrenti avrebbero ampiamente dimostrato che, in relazione al fabbricato colonico, l’immobile, pur essendo ricadente in zona agricola, prima dell’esproprio sarebbe stato suscettibile di utilizzazione agrituristica ora non più ipotizzabile e che per questo dovrebbero essere indennizzati; trattandosi di area non edificabile, i ricorrenti non sarebbero stati altresì tenuti a dimostrare le possibilità legali ed effettive di edificazione sull’area, come invece ritenuto dalla Corte d’Appello mal interpretando la massima di legittimità sopra richiamata; B) quanto alla prospettata assenza di collegamento causale tra
l’occupazione e l’abbandono del fabbricato, non si richiederebbe, ai fini della corresponsione dell’indennità di espropriazione, alcuna dimostrazione delle intenzioni soggettive dei proprietari espropriati di adibire l’immobile ad una o ad altra destinazione, ma solo la dimostrazione delle caratteristiche oggettive possedute dall’immobile.
II) Violazione e falsa applicazione dell’art. 42 bis del DPR n. 327/01 e dell’art. 91 CPC. (360 c.1 n.3)
L’art.42 bis TUE prevede tre voci indennitarie, e cioè, oltre al pregiudizio patrimoniale, il pregiudizio non patrimoniale pari al 10% del valore venale dell’immobile e, per il periodo di occupazione illegittima, l’interesse del 5% annuo sul valore venale; l’importo complessivamente riconosciuto da ANAS era comprensivo di tutte e tre le voci, mentre l’importo individuato dal CTU e ritenuto dalla Corte d’Appello adeguato e inferiore a quanto già ricevuto dai ricorrenti, riguarderebbe solo la prima delle tre voci considerate. Il ricorso sarebbe stato pertanto non da rigettare ma da accogliere, con riconoscimento almeno di complessivi € 47.281,00, considerando il valore di € 7,50 al mq e tenendo conto di tutte e tre le voci enucleabili dall’art.42 bis cit.
La corretta valutazione del profilo in esame avrebbe comportato una diversa pronuncia anche in relazione alle spese processuali, che sarebbero state da riconoscere a favore dei ricorrenti.
Ha resistito con controricorso ANAS.
Solo i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il motivo articolato sub I) è fondato nei limiti che seguono.
6.1. Sono dati di fatto accertati, perché emergenti dal provvedimento impugnato, che l’area acquisita dall’ANAS era -al tempo dell’immissione in possesso e al momento della pronuncia del decreto ex art.42 bis TUEprincipalmente destinata a ‘viabilità’ in forza degli strumenti urbanistici in vigore, quindi insuscettibile di
destinazione diversa da quella a ‘verde agricolo’, che sulla particella 41 è presente una fascia di rispetto comportante l’inedificabilità assoluta per l’esistenza del Tratturo Regio Cod.05 Celano-Foggia, che esiste effettivamente sulla proprietà residua dei ricorrenti un fabbricato in rovina, già ad uso agricolo, il quale avrebbe potuto ancora, in teoria, in base agli art.20 e 21 del PRG approvato dal Comune di Foggia con DGR n.1005/2001 vigente alla data della pronuncia del provvedimento di acquisizione sanante, essere destinato ad un’utilizzazione agrituristica, utilizzazione divenuta impossibile mantenendo il fabbricato nella sua attuale localizzazione sull’area a seguito della conformazione di questa derivata dall’intervento di interesse pubblico sotteso all’acquisizione da parte della PA.
6.2. La Corte d’Appello ha considerato irrilevante economicamente l’impossibilità, correlata alla diversa conformazione dell’area per l’intervento di viabilità realizzato, di utilizzo agrituristico del fabbricato rurale sottolineando due profili: lo stato di abbandono e di avanzato degrado in cui l’immobile, mai utilizzato come bene strumentale dell’intero compendio terriero, verserebbe da decenni, tale da escluderne una relazione causale con gli atti della procedura di iniziale occupazione; l’assenza di ‘ alcun elemento fattuale da cui poter desumere plausibilmente ‘ la concreta ed effettiva ‘ volontà di riutilizzo a fini agrituristici del manufatto ‘, il quale versa ‘ in stato di rovina ‘ ed è ‘ ubicato in una posizione sfavorevole giacché posto nelle immediate vicinanze di strade extraurbane principali ‘, in capo ai signori COGNOME. La Corte ha altresì escluso la spettanza di indennità ex art.33 TUE perché la superficie di terreno sottratta alla sfera dominicale dei signori COGNOME è pari ‘ all’irrisoria percentuale dell’1,1% rispetto alla superficie totale ‘, tale da non aver determinato alcuna interruzione della continuità dell’intero fondo n é alcun pregiudizio per l’utilizzo della parte rimanente anche quanto
all’accesso, garantito da un fronte di circa m.82 sulla SS 673 e di circa m.827 sulla ‘ strada vicinale INDIRIZZO ‘.
6.3. Le questioni poste all’attenzione di questa Corte attraverso il motivo di ricorso in esame riguardano solo la mancata valorizzazione, da parte della Corte di merito, ai fini della determinazione dell’indennizzo ex art.42 bis TUE delle conseguenze dell’ablazione di parte del terreno di proprietà COGNOME sulla possibilità di utilizzo del fabbricato in stato di abbandono insistente sulla proprietà residua dei ricorrenti per fini agrituristici, divenuta impossibile.
Ora, l’art.33 TUE prevede al primo comma che ‘ nel caso di espropriazione parziale di un bene unitario, il valore della parte espropriata è determinato tenendo conto della relativa diminuzione di valore ‘; la norma si deve ritenere espressione della necessità di assicurare al privato che subisce un esproprio di parte della proprietà un ristoro economico reale ed adeguato, che tenga conto non solo del valore della porzione ablata ma anche della ripercussione di questa sottrazione sul valore della proprietà residua ed appare analogicamente applicabile anche nell’ambito dell’acquisizione sanante regolata dall’art.42 bis TUE -come del resto ha ritenuto anche la Corte d’Appello di Bari, pur limitando la valutazione della situazione sub iudice in relazione alla norma richiamata solo alla verifica del valore dei terreni residui; l’istituto dell’acquisizione sanante, seppure speciale e autonomo, ha infatti ad oggetto la determinazione di indennità appartenenti al genus espropriativo -cfr., in proposito, Cass a SSUU n.20691/2021- e l’esigenza della garanzia del ristoro adeguato del privato che subisce le conseguenze del provvedimento è del resto enucleabile dal testo dell’art.42 bis TUE, che fa riferimento, al primo comma, alla corresponsione di un indennizzo che vada a riequilibrare il pregiudizio patrimoniale subito; questo non può che comprendere, nell’ipotesi di intervento parziale sulla proprietà, pure l’eventuale
deprezzamento subito dalla proprietà rimanente nel suo complesso, anche alla luce del disposto del comma 3) dell’articolo in esame che, nell’indicare la determinazione dell’indennizzo nella misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità, fa ‘ salvi i casi in cui la legge disponga diversamente ‘ nei quali appare da considerare, attraverso il disposto dell’art.33 TUE, l’ipotesi sub iudice.
L’interpretazione che precede è, del resto, in linea con le indicazioni della Corte Costituzionale enucleabili dalla sentenza n.181/2011 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, comma 4, convertito con modificazioni dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, in combinato disposto con la L. n. 865 del 1971, art. 15, comma 1, secondo periodo, e art. 16, commi 5 e 6, come sostituiti dalla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 14, che commisuravano l’indennità al valore agricolo medioe con l’orientamento interpretativo conforme di legittimità ormai consolidato, volti a garantire effettività al ristoro economico del privato in caso di interventi espropriativi lato sensu da parte della PA -si richiamano, in proposito Cass. n.6527/2019, alla quale pure fa riferimento l’ordinanza impugnata, Cass a SSUU n. 7454/2020, ancora Cass n.27960/2023-: la necessità di corrispondenza effettiva dell’indennizzo da riconoscere al privato al reale valore del bene espropriato/oggetto di acquisizione sanante comporta infatti come corollario necessario la considerazione dell’eventuale deprezzamento della parte residua di proprietà in ipotesi di ablazione parziale, disciplinata appunto dall’art.33 TUE la cui applicazione viene ad essere pienamente giustificata anche nell’ambito dell’intervento ex art.42 bis TUE.
Occorre ancora rilevare che il deprezzamento della proprietà residua deve essere valutato in termini oggettivi, quale conseguenza derivante dall’intervento ablativo pubblico, tenendo conto delle caratteristiche effettive di utilizzo e dello stato di fatto
degli immobili -le cui eventuali condizioni di precarietà e/o di abbandono potranno avere rilevanza non per escludere la potenzialità di utilizzo, ove questo continui ad essere legalmente ad essi comunque riferibile, ma per determinare il concreto nocumento economico subito dalla proprietà per la perdita/riduzione di utilità conseguente all’apprensione pubblica -e a prescindere dalle intenzioni soggettive della proprietà: la perdita di valore dell’immobile residuo, nella quale deve essere compresa la perdita definitiva di un possibile legittimo utilizzo dello stesso o di una sua parte, prima esistente, deve cioè essere derivata oggettivamente da reali caratteristiche dell’immobile e deve essere coerente con il suo normale sfruttamento.
Se si considera la pronuncia della Corte d’Appello contestata alla luce delle indicazioni che precedono, non appare corretta la valorizzazione dei profili soggettivi in essa effettuata mentre, sul piano oggettivo, si possono distinguere due situazioni alternative, foriere di diverse conseguenze, che sarà compito del Giudice di rinvio verificare, sempre tenendo conto delle considerazioni svolte sopra, entrambe con riferimento alla data del provvedimento di acquisizione sanante: a) l’esistenza di una potenziale utilizzabilità del fabbricato, pur in rovina, presente sul fondo dei ricorrenti per fini agricoli e agrituristici, venuta meno per la trasformazione conseguita all’intervento pubblico sulla parte di terreno ablata e non recuperabile con il trasferimento dell’immobile in altra collocazione sulla proprietà; b) l’esistenza della potenzialità di utilizzo indicata comunque recuperabile con lo spostamento della collocazione del fabbricato in altra parte della proprietà.
E’ fondato anche il motivo di ricorso Sub II).
La Corte d’Appello di Bari ha ritenuto che l’indennità quantificata dal CTU sia di importo inferiore all’indennità in concreto corrisposta da ANAS ai signori COGNOME senza alcuna motivazione in ordine al fatto che l’art.42 bis TUE prevede una indennità complessa nella
quale sono compresi anche i danni non patrimoniali e i danni da occupazione senza titolo -cfr. i commi 1 e 3 della norma in esame-, e al fatto che le determinazioni del CTU nominato, prese a riferimento, hanno riguardato solo l’indennità relativa al valore venale della proprietà ablata alla data del provvedimento ex art.42 bis TUE mentre l’importo riconosciuto dall’ANAS con lo stesso provvedimento si riferiva anche alle altre voci contemplate dall’articolo richiamato.
Dal ricorso proposto, riscontrato dalla produzione della sentenza della Corte d’Appello di Bari in sede di rinvio n.329/2017, emerge altresì la già intervenuta quantificazione della sola indennità da occupazione legittima, determinata con riferimento ai singoli anni in cui essa si è protratta.
La determinazione dell’indennità ex art.42 bis TUE deve pertanto considerare tutte le voci da riconoscere in base alla stessa norma, tenuto conto di quanto già riconosciuto con la sentenza richiamata, a prescindere dall’esito, in termini economici, delle verifiche da effettuare in conseguenza dell’accoglimento del primo motivo di ricorso.
Solo dopo la corretta rideterminazione dell’intero dovuto ex art.42 bis TUE potrà essere verificata l’esistenza o meno di un residuo ancora da versare ai ricorrenti.
Alla luce delle considerazioni che precedono e in accoglimento di entrambi i motivi del ricorso per cassazione, nei limiti esposti, l’ordinanza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Bari, affinché rivaluti alla luce delle indicazioni esposte le questioni ancora controverse.
Il giudice di rinvio provvederà altresì alla regolazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, nei termini di cui in motivazione, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nell’adunanza in camera di consiglio del