Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5111 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5111 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. R.G. 25041 anno 2020 proposto da: RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rappresentate e difese giusta procura in calce al ricorso dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME.
ricorrenti
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze n. 524/2020 pubblicata in data 27/02/2020, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/11/2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione la signora COGNOME NOME, la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione convenivano in giudizio la Banca di Pistoia Credito Cooperativo al fine di sentir accertare la malafede della banca medesima in relazione all’escussione della fideiussione prestata dalla signora COGNOME in favore della società RAGIONE_SOCIALE, nonché per sentir dichiarare la nullità della fideiussione ovvero la liberazione del garante ex art 1956 c.c. ed ottenere pertanto la restituzione di tutte le somme corrisposte in adempimento della garanzia.
In via subordinata, gli attori chiedevano accertarsi l’illegittimità delle somme pretese a titolo di interessi passivi in quanto usurari, nonché di commissioni di massimo scoperto e condannare, conseguentemente, la Banca a restituire alla COGNOME le somme versate a tale titolo.
La signora COGNOME si era costituita fideiussore della società RAGIONE_SOCIALE fino alla concorrenza di euro 3.100.000,00 ed aveva elevato, successivamente, l’importo della garanzia. Deduceva che gli atti di fideiussione erano stati sottoscritti in un bar e di avere eseguito plurimi versamenti a copertura dell’esposizione della società garantita poi dichiarata fallita e che la situazione di grave dissesto della debitrice principale era evidente alla Banca.
Inoltre, la signora COGNOME deduceva di aver accettato di pagare alla Banca la minor somma di euro 900.000,00, ma al solo fine di evitare un contenzioso ricevendo liberazione dalla Banca che, viceversa, eccepiva l’intervenuta definizione in sede stragiudiziale con l’ accordo transattivo di ogni questione e chiedeva, quindi, il rigetto integrale della domanda.
Il tribunale respingeva le domande dichiarando preliminarmente la carenza di legittimazione attiva delle società attrici non essendovi in atti prova di fideiussioni rilasciate dalle società stesse, atteso che la garanzia fideiussoria era stata prestata esclusivamente dalla signora COGNOME quale persona fisica. Nel merito rilevava il carattere assorbente, ai fini del rigetto delle domande proposte dalla signora COGNOME, della transazione conclusa ed opposta dalla Banca diretta a definire ogni questione inerente alla garanzia fideiussoria prestata per le obbligazioni della RAGIONE_SOCIALE
La signora COGNOME NOME, la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione proponevano appello avverso la sentenza del tribunale di Pistoia.
La Corte di appello di Firenze respingeva l’appello confermando integralmente la sentenza di prime cure.
In primo luogo, la Corte territoriale confermava la declaratoria di carenza di legittimazione attiva delle società, atteso che le stesse non avevano rilasciato fideiussioni in favore della Banca appellata per garantire debiti della International Safe s.r.l., né a loro era stato richiesto il pagamento del dovuto, così da poter pretendere alcunché in restituzione. La corresponsione di somme da parte delle società alla banca, ad avviso della Corte territoriale, non rilevava, afferendo piuttosto al rapporto con il debitore principale e con la signora COGNOME, non risultando opponibile alla Banca.
La Corte evidenziava, altresì, che questioni circa la validità ed efficacia delle fideiussioni non erano mai state sollevate nel giudizio di primo grado che aveva avuto ad oggetto esclusivamente il profilo della inidoneità della transazione ad impedire di mettere in discussione le modalità di formazione
del saldo del conto del debitore.
In secondo luogo, La Corte confermava la sussistenza di un accordo transattivo con efficacia dirimente delle questioni sottoposte al vaglio del giudicante. Dall’esame della corrispondenza intercorsa tra le parti emergeva chiara la volontà delle stesse di definire stragiudizialmente la posizione debitoria anche in considerazione del fatto che a fronte di un debito relativo al saldo della debitrice principale di euro 1.422.000 la signora COGNOME corrispondeva a fini transattivi alla banca la minor somma pari ad euro 900.000. La Corte territoriale, pertanto, confermava l’iter motivazionale del giudice di prime cure che riteneva sussistente la transazione, nonostante la stessa non fosse stata consacrata in un unico atto in quanto i documenti prodotti, ossia le missive in atti, consentivano di ricostruire la formazione del contratto mediante la proposta e l’accettazione della COGNOME debitamente manifestata e, circostanza pure dirimente, senza riserve.
La sentenza veniva impugnata dalla signora COGNOME NOME e dalle due società, con ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, cui resistevano con controricorso la Banca.
Le parti ricorrenti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione de ll’art. 1 00 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c..
La sentenza della Corte di appello avrebbe errato nel ritenere insussistente la legittimazione attiva delle società, non avendo le stesse rilasciato fideiussioni in favore della banca appellata. Tale statuizione contrasterebbe con l’art. 100 c.p.c. che definisce l’interesse e la legittimazione attiva al fine di agire in
giudizio per la tutela dei propri diritti. In particolare, ad avviso delle ricorrenti, le società corrispondevano le somme in favore della banca proprio in forza del titolo fideiussorio intercorrente con la signora COGNOME, amministratrice unica e socia di maggioranza delle società, con conseguente diritto alla restituzione delle somme.
Inoltre, le ricorrenti contestavano la sentenza di secondo grado, nella parte in cui affermava erroneamente che la validità delle fideiussioni non era mai stata sollevata in primo grado con conseguente inammissibilità di tale profilo in sede di appello.
Con il secondo motivo ci si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1965 c.c. e 1972 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c..
La corte avrebbe erroneamente applicato le norme in tema di transazione in quanto la documentazione in atti comprova che la COGNOME avrebbe pagato riservandosi la ripetizione e, quindi, ferme restando le eccezioni e contestazioni formulate. All’uopo si fa riferimento alle lettere intercorse fra le parti in cui sarebbe evidente che l’attrice non avrebbe rinunciato alle proprie pretese nei confronti della Banca di Pistoia al momento del pagamento finalizzato esclusivamente ad evitare l’esecuzione forzata sul la propria proprietà in Forte dei Marmi. In sintesi, l’assenza di specifiche rinunce, di una specifica scrittura (essendo la transazione costituita da una proposta della Banca e da un’accettazione contenute in separate missive) e, viceversa, la presenza di specifiche riserve di azioni future non avrebbero potuto portare la Corte di Appello ad applicare la disciplina di cui all’art. 1965 c.c. in materia di transazione.
Con il terzo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto
decisivo ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c..
La corte di merito avrebbe errato nella parte in cui non aveva esaminato le questioni relative alla validità o efficacia delle fideiussioni, atteso che le doglianze sin dal primo grado di giudizio avevano avuto ad oggetto esclusivamente il profilo della inidoneità della transazione.
La censura si incentra, invero, sulla omessa motivazione in ordine alla validità delle garanzie, piuttosto che per l’individuazione dell’omesso fatto decisivo.
Con il quarto motivo si deduce l’omesso esame ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c..
La Corte di appello non avrebbe esaminato le questioni scrutinate in primo grado relative alla apocrifia delle sottoscrizioni degli ordini di bonifico disposti dalla debitrice principale RAGIONE_SOCIALE nonché la errata quantificazione degli interessi e delle spese del conto corrente. Con il quinto motivo si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. nella misura in cui la sentenza impugnata ha erroneamente ritenuto coperta dalla transazione la questione della asserita illegittimità degli interessi e delle spese sopravvenuta successivamente e quindi non controversa al momento della transazione stessa.
Con il sesto motivo si denuncia l’omesso esame della istanza di CTU in ordine all’asserita illegittimità degli interessi e spese applicati sul conto corrente della debitrice principale.
Con il settimo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c..
La censura è incentrata sulla assenza dei presupposti della lite temeraria e, in particolare, sulla insussistenza della prova del
danno e della sua quantificazione.
Orbene, il primo motivo è inammissibile.
In ordine alla eccepita violazione dell’art. 100 c.p.c. è da rilevarsi che la corte territoriale ha ritenuto insussistente la legittimazione ad agire delle società in considerazione della carenza di un valido titolo contrattuale intercorrente fra le predette società e la banca ai fini della riconducibilità dei versamenti eseguiti ad un contratto di garanzia. In altri termini, la sentenza impugnata non ha affermato la insussistenza dell’interesse ad agire, ma la carenza di un titolo in forza del quale le società avrebbero potuto legittimamente agire nei confronti della banca per la restituzione di quanto corrisposto; la censura, pertanto, non si confronta con la ratio decidendi, nella misura in cui la sentenza evidenzia la mancanza di un rapporto contrattuale diretto fra la banca e le società, per cui i versamenti eseguiti da queste ultime avrebbero potuto rilevare esclusivamente nei rapporti con la garante signora COGNOME NOMECOGNOME
Il secondo motivo è inammissibile.
Va al riguardo rammentato che con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente. L’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato il potere di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di
valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 25348/2018 e Cass. 7921/2011).
Ciò posto, è evidente che tale motivo di censura, sebbene inquadrato nell’alveo del vizio di violazione di legge, è finalizzato a richiedere a questa Corte una differente valutazione del materiale probatorio emergente in sede di merito non ammissibile in sede di legittimità.
Il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono altresì inammissibili in quanto entrambi non si confrontano con la ratio decidendi della sentenza che ritiene dirimente e, quindi, irrilevante la questione della validità delle fideiussioni per la intervenuta transazione tombale che ha eliso ogni questione relativa alla validità dei titoli sulla scorta dei quali la Banca aveva richiesto la corresponsione delle somme alla garante in relazione all’inadempimento della debitrice principale.
Il quinto motivo è infondato. La corte non ha omesso l’esame di fatti decisivi, considerato che la illegittimità degli interessi e delle spese come postulata in sede di perizia di parte non può integrare un fatto sopravvenuto tale da inficiare la efficacia e validità dell’accordo transattivo intervenuto in relazione al rapporto fideiussorio. In altri termini, la sentenza impugnata non ha tenuto conto di tali allegazioni difensive come assertivamente dedotte in forza della efficacia dirimente della transazione.
La sesta censura è inammissibile nella misura in cui richiede alla Corte in sede di legittimità di svolgere uno scrutinio di merito in ordine alle scelte istruttorie effettuate dalla corte distrettuale non sindacabili in tale sede.
Infine, anche il settimo motivo è infondato. La statuizione
impugnata non concerne la condanna per lite temeraria, ma la sanzione per manifesta infondatezza ai sensi del comma 3 dell’art. 96 c.p.c.. Pertanto, la censura è infondata non avendo la corte distrettuale commesso alcuna violazione della norma indicata nella misura in cui ha fatto corretta applicazione del comma 3 dell’art. 96 c.p.c. che prescinde dalla concreta sussistenza di un danno e dalla prova della sua quantificazione sostanziandosi in una sanzione riconducibile ad un danno di natura punitiva.
In conclusione, il ricorso va rigettato con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di lite secondo il principio della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in € 23.000,00 per compensi professionali oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione Civile,