Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20386 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20386 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23261/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI MILANO n. 1044/2020, depositata il 30/04/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE (‘RAGIONE_SOCIALE‘) ha convenuto innanzi al Tribunale di Milano RAGIONE_SOCIALE (‘TME’), esponendo che RAGIONE_SOCIALE nell’anno 2010 si era impegnata ad effettuare, a favore di TME, una serie di forniture destinate alla Libia, emettendo fatture esenti IVA ex art. 8, comma 1, lett a) b) D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633.
A causa di ritardi dovuti alla situazione del mercato libico di destinazione, gli ordini di fornitura erano stati sospesi e TME non aveva rispettato i termini previsti per il pagamento delle fatture.
Al fine di regolarizzare il rapporto, in data 16.09.2014 le parti avevano sottoscritto un accordo contenente sia un piano di rientro per il pagamento da parte di TME, a favore di RAGIONE_SOCIALE, della somma di €. 1.048.580,00 in linea capitale, da corrispondersi in varie rate; sia gli aspetti tributari connessi all’eventualità -effettivamente verificatasi in prosieguo – che non vi fossero più le condizioni previste dall’art. 8 D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 e RAGIONE_SOCIALE dovesse stornare le fatture già emesse in esenzione IVA.
1.1. In data 23.03.2015, per porre rimedio all’errata fatturazione ed al tardivo versamento dell’IVA, Xylem aveva utilizzato la procedura del ravvedimento operoso, corrispondendo all’Agenzia delle Entrate di propria iniziativa, prima che tali errori emergessero in fase di controllo da parte dell’Amministrazione Finanziaria, la somma complessiva di € . 74.479,36. In data 22.12.2015 RAGIONE_SOCIALE aveva emesso la fattura n. 10876, nei confronti di TME, per l’addebito delle sanzioni e degli interessi versati; richiesta di pagamento respinta da TME.
COGNOME chiedeva, pertanto, al Tribunale adìto, accertare la necessità di ricorrere alla procedura del ravvedimento operoso; per
l’effetto, condannare TME a versare all’attrice l’importo versato all’Amministrazione Finanziaria.
1.2. Il Tribunale di Milano accoglieva la domanda, sulla base del rilievo che l’accordo transattivo concluso dalle parti non prevedeva la rinuncia di Xylem al rimborso delle sanzioni e degli interessi dovuti all’erario in conseguenza del tardivo pagamento dell’IVA, e che il diritto di Xylem alla rivalsa aveva un esplicito aggancio normativo nell’art. 60 D.P.R. 633/1972 (come modificato dell’art. 93 d.l. 24.01.2012, n. 1).
La pronuncia di primo grado veniva impugnata dal TME innanzi alla Corte d’Appello di Milano, che in accoglimento del gravame -dichiarata preliminarmente l’inammissibilità ai sensi dell’art. 345, comma 3, cod. civ. della nuova produzione documentale effettuata da RAGIONE_SOCIALE all’atto di costituirsi in giudizio, rigettava la domanda originariamente proposta dall’appellata nei confronti di TME, di rivalsa per il rimborso delle somme versate all’erario.
A sostegno della sua decisione, osservava la Corte territoriale che:
-l’accordo intercorso tra le parti in data 16.09.2014 nulla prevede circa le possibili conseguenze economiche derivanti dall’applicazione di sanzioni tributarie connesse al pagamento dell’imposta: pertanto, la rivalsa esercitata da RAGIONE_SOCIALE non avrebbe alcun fondamento negoziale;
-tanto sia che si ritenga che l’accordo transattivo copra anche le pretese future prevedibili (come ritiene la Corte), sia che esso copra solo le pretese economiche correlate al pagamento della somma capitale, escluso il pagamento dell’IVA regolamentare ( come sostenuto da Xylem);
il diritto alla corresponsione delle sanzioni e degli interessi comminati a seguito di ravvedimento operoso non solo non ha un fondamento convenzionale, ma non trova titolo neppure nella legge. L’art. 60 del D.P.R. 633/1972, come modificato dall’art. 93 D.L. 24 gennaio 2012 n. 1, è chiaro nel prevedere il pagamento delle sanzioni e interessi esclusivamente quale condizione per ottenere la rivalsa limitata alle somme corrispondenti all’imposta dovuta in rettifica, a seguito ad un accertamento definitivo . Il significato da attribuire all’omissione nell’accordo è nel senso che le parti hanno inteso regolamentare tutti gli aspetti economici del rapporto, anche quelli correlati all’eventuale ri -emissione delle fatture con addebito dell’IVA. Da ciò consegue che la transazione ha avuto come oggetto oltre che l’IVA, anche le sanzioni e gli accessori eventualmente comminati a RAGIONE_SOCIALE, conseguenza del tutto prevedibile per entrambe le parti; pertanto, ove le parti avessero voluto addebitare all’acquirente anche le sanz ioni, avrebbero dovuto prevederlo espressamente.
Avverso la pronuncia di seconde cure propone ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE affidandolo a due motivi e illustrandolo con memoria.
RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ. Violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., degli artt. 1362 cod. civ. intenzione dei contraenti, 1366 cod. civ. interpretazione in buona fede, 1372 cod. civ. efficacia del contratto, 115 cod. proc. civ. disponibilità delle prove e 116 cod. proc. civ.
valutazione delle prove. Lamenta la ricorrente l’errata valutazione del comportamento tenuto dalle parti. Sostiene Xylem che TME, in adempimento dell’accordo del 16.09.2014, avrebbe versato unicamente l’IVA, allora determinabile, come rifatturata dal RAGIONE_SOCIALE sul prezzo di fornitura, mentre l’IVA ulteriore, pure prevista nell’accordo, sarebbe stata versata da lla stessa Xylem, con interessi, per complessivi €. 15.310,70 (comprensiva di interessi; €. 12.447,42 in conto capitale) e non sarebbe stata mai restituita da TME. Non ha pregio, pertanto, la tesi sostenuta in motivazione in virtù della quale TME avrebbe versato tutta l’IVA conseguente al cambio di fatturazione, esaurendo ogni obbligazione verso RAGIONE_SOCIALE, sia che si trattasse di transazione tombale, sia che si trattasse di accordo. Di contro, non essendo stato determinato il limite né la natura dei costi che TME si sarebbe impegnata a riconoscere a RAGIONE_SOCIALE, alla scrittura privata del 16.09.2014 non si può riconoscere contenuto transattivo nella parte che attiene al pagamento degli oneri conseguenti al cambio di fatturazione: si può coerentemente ritenere che il «deducibile» è tutta la somma che RAGIONE_SOCIALE ha dovuto versare a seguito del cambio di fatturazione, quindi sia l’importo dell’IVA residua versata da RAGIONE_SOCIALE, sia la somma rappresentata dal ravvedimento operoso.
1.1. Il motivo è inammissibile sotto due diversi profili.
La ricorrente, in sostanza, deduce che avendo l’accordo del 16.09.2014 ampio contenuto convenzionale riconducibile a transazione tombale limitatamente alle pretese economiche correlate con il pagamento della somma capitale, esso coprirebbe anche il pagamen to ulteriore dell’IVA effettuato da RAGIONE_SOCIALE per la somma di €. 15.310,70 in vece di TME (si legge nell’accordo: « …l’eventuale residuo importo risultato dovuto a titolo di IVA, relativamente alle
fatture in oggetto, sarebbe stato versato da TME in un’unica rata entro il 28.02.2015»), nonché il versamento del ravvedimento operoso effettuato da RAGIONE_SOCIALE di sua iniziativa (nulla prevedendo l’accordo sul punto) per porre rimedio al tardivo versamento dell’IVA, imputabile alla ri-fatturazione.
1.1.1. In disparte il fatto che nello schema dei pagamenti prodotto nei giudizi di merito e riproposto in ricorso (p. 12) non risulta il versamento della somma di €. 12.447,42, trattandosi di una sintesi dei versamenti relativi al ravvedimento operoso (come anche sottolineato nel controricorso: p. 33).
In ogni caso, la questione posta con il motivo qui in esame, riguardante l’asserito pagamento dell’IVA residua per la somma di €. 15.310,70 costituisce – allo stato degli atti – questione nuova (non risultante come già discussa nei pregressi gradi del giudizio) o comunque, come tale, ritenuta in difetto di ogni altra dovuta opportuna allegazione.
Il motivo è, pertanto, del tutto inammissibile. Infatti, «i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio» (Cass., Sez. 1, sentenza 30 marzo 2007, n. 7981; più di recente: Sez. 5, Ordinanza n. 31560 del 2022; Sez. 6 – 1, Ordinanza, 9 luglio 2013, n. 17041).
1.1.2. Quanto, poi, al vizio di violazione di norme di legge, relativo all’affermazione della copertura, nel «deducibile», dei versamenti effettuati da RAGIONE_SOCIALE come rimedio del pagamento tardivo dell’IVA: la ricorrente si è limitata ad una mera enunciazione nella rubrica senza poi alcuno sviluppo in via argomentativa, in violazione
del principio di specificità prescritto dall’art. 366, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., il quale esige l’illustrazione del motivo, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. Sez. L. 18.08.2020, n. 17242; Cass. Sez. L., 26.09.2016, n. 18860; Cass. Sez. 6-5, 22.09.2014, n. 19959; Cass. 3 civ., 19.08.2009, n. 18421; Cass. 3 civ., 03.07.2008, n. 18202).
Nel motivo enunciato non sono dedotte le violazioni delle norme di legge attraverso i diversi passaggi argomentativi della sentenza impugnata, non consentendo così alla Corte di svolgere l’invocato sindacato.
Né a tale onere supplisce il riferimento al comportamento assunto da TME anche successivamente alla conclusione del contratto (v. ricorso p. 15, ultimo capoverso): ché, come si detto supra , di certo non può dirsi esplicativa l’inammissibile doglianza riguardante il versamento da parte di RAGIONE_SOCIALE dell’IVA residua. E neanche supplisce l’incomprensibile riferimento al comportamento processuale di TME ex artt. 115 e 116 cod. proc. civ., consistente -a dire della ricorrente -nell’aver respinto le richieste di pa gamento della somma corrispondente al ravvedimento operoso con «contestazioni generiche» (v. memoria pp. 2-3). A tale ultimo proposito giova ricordare che il principio di non contestazione di cui all’art. 115 cod. proc. civ. ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 5 marzo 2020, n. 6172, Rv. 65715401), le une e le altre da intendersi in senso sostanziale, mentre nel caso che ci occupa ad essere «genericamente contestata» era l’interpretazione di un accordo intercorso tra le parti.
1.2. La Corte territoriale ha congruamente e logicamente motivato la lettura dell’accordo del 16.09.2014: il dato testuale lascia intendere, secondo il giudice di seconde cure, che «le parti hanno inteso regolamentare tutti gli aspetti economici del rapporto, anche quelli correlati con l’eventuale ri -emissione delle fatture con l’addebito dell’IVA. La volontà delle parti era dunque nel senso di definire in maniera tombale tutti gli aspetti economici del rapporto, anche quelli connessi all’eventualità che no n vi fossero più le condizioni previste dall’art. 8 del D.P.R. 633/72. Che la transazione , abbia avuto come oggetto anche l’IVA emerge dalla circostanza che anche il pagamento dell’IVA è stato suddiviso in più rate e senza interessi, in analogia a quanto previsto per il capitale. Da ciò consegue che la transazione ha avuto come oggetto oltre che l’IVA, anche le sanzioni e gli accessori eventualmente comminati a RAGIONE_SOCIALE» (v. sentenza p. 8 ultimo capoverso; p. 9 primi 7 righi).
Alla mancanza di un fondamento negoziale per l’esercizio della rivalsa sul pagamento del ravvedimento operoso, la Corte territoriale aggiunge l’assenza di fondamento normativo, atteso che secondo una lettura condivisibile dell’art. 60 D.P.R. n. 6433/1972 – il pagamento delle sanzioni e interessi ai fini dell’esercizio della rivalsa è condizionato esclusivamente al pagamento delle somme corrispondenti all’imposta dovuta in rettifica che segua ad un accertamento definitivo, ferma restando l’operatività dei principi generali in base ai quali il cedente e il cessionario sono entrambi soggetti alle sanzioni previste in via autonoma dall’art. 6 del D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (v. sentenza p. 10, ultimo capoverso).
1.3. Ne consegue l’inammissibilità del motivo di ricorso che, pur fondandosi (come quello in esame, quanto meno implicitamente) sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche e sul vizio di motivazione, si risolva, in realtà, in difetto dei requisiti esposti, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. n. 24539 del 2009, in motiv.); così come è inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca, come nella specie, nella mera prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto che lo stesso aveva esaminato (cfr. cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10891 del 26/05/2016, Rv. 640122 -01; Cass. n. 2465 del 2015, Rv. 634161 -01).
Del resto, per sottrarsi al sindacato di legittimità sotto i profili di censura dell’ermeneutica contrattuale, quella data dal giudice al contratto non deve, invero, essere l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma solo una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (per tutte: Cass Sez. 2, Ordinanza n. 40972 del 2021).
2. Con il secondo motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ. Violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. , dell’art. 345 cod. proc. civ. La doglianza censura la sentenza nella parte in cui non ha ammesso la produzione in giudizio di due documenti decisivi, dai quali sarebbe chiaramente emerso che la fatturazione senza IVA era
stata richiesta da TME (Allegato A), come anche il ritardo nella consegna da parte di Xylem (Allegato B).
2.1. Il motivo è infondato.
La Corte d’Appello si è limitata ad applicare l’art. 345 cod. proc. civ. vigente ratione temporis , affermando l’inammissibilità dei mezzi di prova sulla base del fatto che l’allora appellata non aveva dedotto né allegato di essere stata nell’impossibilità di eseguirne la tempestiva produzione (v. sentenza p. 7, 3° capoverso).
A tanto si deve aggiungere che i mezzi di prova dei quali la Xylem chiedeva l’ammissione e l’esame riguardavano questioni diverse dal thema decidendum della controversia, in quanto riferite alle pretese economiche connesse alle forniture di Xylem in virtù degli originari accordi del 2010, mentre nella controversia de qua l’oggetto del contendere è circoscritto al significato da attribuire all’accordo del 16.09.2014 limitatamente ai pagamenti a titolo di ravvedimento operoso effettuati da Xylem per i tardivi versamenti dell’IVA sulle fatturazioni del prezzo delle forniture.
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Le spese processuali seguono la soccombenza come da dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso;
rigetta il secondo;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in €. 5.000,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda