Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 468 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 468 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso per procura alle liti allegata al ricorso dall’Avvocat o NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
Ricorrente
contro
COGNOME Paolo COGNOME rappresentato e difeso per procura alle liti allegata al controricorso da ll’ Avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso lo studio d ell’Avvocato NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
Controricorrente
avverso la sentenza n. 1405/2018 della Corte di appello di Catanzaro, depositata il 10. 7. 2018.
Udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del 5. 12. 2023 dal consigliere NOME COGNOME.
Udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del terzo motivo di ricorso, dichiarati inammissibili o rigettati gli altri.
Udite le difese svolte dall’Avvocato NOME COGNOME per il ricorrente e dall’Avvocato NOME COGNOME per delega dell’Avvocato NOME COGNOME per il controricorrente.
Fatti di causa
Con sentenza n. 1405 del 10.7. 2018 la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della decisione di primo grado, condannò NOME al pagamento della somma di euro 32.531,00, oltre accessori ed interessi, in favore di NOME, a titolo di saldo dei lavori di costruzione di una struttura polifunzionale sita in Praia di Mare, confermando per il resto la sentenza impugnata.
Il giudizio di primo grado era stato introdotto da NOME con atto di opposizione a decreto ingiuntivo, che gli aveva intimato il pagamento della somma di euro 88.600,00 per il saldo dei lavori appaltati ed il pagamento di lavori aggiuntivi. L’opponente aveva contestato l’ammontare della pretesa e chiesto in via riconvenzionale l’applicazione della penale per il ritardo ed il risarcimento dei danni.
Il Tribunale revocò il decreto ingiuntivo e condannò l’opponente al pagamento della minor somma di euro 7.062,42, decurtando dal prezzo del contratto, previsto in euro 594.000,00, comprensivo di iva, l’acconto versato, pari a euro 445.000,00, l’importo dei lavori non eseguiti, di euro 79.923,76, e quello del minor valore delle opere a causa dei vizi riscontrati, di euro 2.730,36, rigettando la domanda dell’appaltatore di pagamento dei lavori aggiuntivi non previsti dal contratto e quelle riconvenzionali avanzate dal committente.
Proposto appello principale da parte del Foresta e incidentale da parte del Ciccia, la Corte di appello riformò parzialmente la decisione impugnata, adottando le statuizioni sopra indicate. In particolare la Corte distrettuale riconobbe in favore del Foresta il credito di euro 21.033,36, iva inclusa, per i lavori extra contratto, affermando che la loro esecuzione non era contestata e che la clausola contrattuale di cui all’art. 7 del contratto, nella parte in cui
prevedeva che ‘ per eventuali opere, non indicate nel preventivo allegato, i prezzi saranno concordati e stabiliti tra le parti, prima di dare inizio a dette opere e previa sottoscrizione di regolare accordo aggiuntivo ‘, non precludeva ai contraenti di accordarsi anche solo verbalmente per l’esecuzione di nuovi lavori, che, avendo natura extacontrattuale e non di varianti, non andavano ad incidere sulle clausole contrattuali, prevedendo essa l’obbligo del preventivo accordo per iscritto soltanto per la quantificazione dei prezzi; ritenne che il prezzo delle opere non eseguite andasse ricalcolato nella minor somma di euro 28.790,68, dovendo il loro valore, in adesione alle critiche svolte dal consulente di parte alle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, essere valutato parametrandolo ai prezzi indicati in contratto e non a quelli medi di mercato praticati nella zona al tempo della loro esecuzione; dichiarò che la domanda riconvenzionale del Ciccia di applicazione della penale per il ritardo nella esecuzione dei lavori era infondata, dovendo ritenersi giustificata la misura d ell’appaltatore di sospendere i la vori a fronte del mancato versamento dell’iva sugli importi nel frattempo fatturati, per l’importo considerevole di euro 88.000,00 e che, di conseguenza, atteso l’inadempimento del committente, andavano anche respinte le domande dallo stesso proposte di risarcimento di danni ulteriori.
Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato il 9. 10. 2018, ha proposto ricorso NOMECOGNOME affidandosi a cinque motivi.
NOME NOME ha notificato controricorso.
Il P.M. e le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
Il primo motivo del ricorso denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto, sostenendo che l’interpretazione fornita dalla Corte di appello dell’art. 7 del contratto, ai fini del riconoscimento del credito vantato dalla controparte per i lavori fuori contratto, vìola i criteri ermeneutici stabiliti dagli artt. 1362 e 1363 cod. civ., atteso che tale clausola è chiara nel sottoporre al previo accordo scritto delle parti non solo i prezzi delle eventuali opere aggiuntive, ma la loro stessa previsione, trascurando altresì di rilevare che, con riferimento ad esse, nemmeno i prezzi erano stati concordati.
Sotto altro profilo si sostiene l’erroneità del capo di decisione impugnato laddove ha escluso che tali lavori non avessero modificato l’oggetto originario dell’appalto e la loro esecuzione non era stata contestata, dal momento che, come emergeva dalle risultanze in atti, alcuni di tali lavori integravano varianti, ed inoltre era stati contestati.
Il motivo, laddove denuncia la violazione dei criteri stabiliti dagli artt. 1362 e 1363 cod. civ. in tema di interpretazione del contratto, è fondato, mentre per il resto è inammissibile.
Sia dalla sentenza impugnata che dal ricorso, che la riproduce, risulta che la clausola contrattuale di cui si discute aveva il seguente tenore: ‘ per eventuali opere, non indicate nel preventivo allegato, i prezzi saranno concordati e stabiliti tra le parti, prima di dare inizio a dette opere e previa sottoscrizione di regolare accordo aggiuntivo ‘.
La Corte di appello ha ritenuto che tale previsione non impediva alle parti di accordarsi anche verbalmente per l’esecuzione di nuovi lavori , concernendo tale clausola soltanto la misura dei prezzi da praticare, e che, trattandosi di lavori extra contratto e non di varianti, i predetti lavori non andavano ad incidere sulle clausole contrattuali, richiamando al riguardo l’arresto di questa Corte n. 23291 del 2014.
Questa conclusione non merita di essere condivisa, scontando una evidente violazione del criterio legale di interpretazione testuale della dichiarazione negoziale, che non appare superabile dal margine di apprezzamento che pure va riconosciuto al giudice di merito nella interpretazione del contenuto del negozio.
L’art. 1362 cod. civ. stabilisce che nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e, a tal fine, di non limitarsi al senso letterale delle parole, ma di valutare il comportamento complessivo dei contraenti anche successivo alla conclusione del contratto. Prescrivendo all’interprete di non fermarsi al significato letterale delle parole, la norma ripudia il formalismo ma non relega affatto il criterio letterale in posizione secondaria, collocandolo, al contrario, nella posizione di mezzo fondamentale per la ricostruzione della comune intenzione dei contraenti ( Cass. n. 10967 del
2023; Cass. n. 21576 del 2019; Cass. n. 33451 del 2021 ). La disposizione è letta dalla giurisprudenza e dalla dottrina nel senso che quello letterale è il criterio centrale della interpretazione della volontà delle parti, anche se non l’unico e necessariamente decisivo ai fini della ricostruzione del contratto, giacché il significato delle dichiarazioni negoziali non è un prius , ma l’esito di un processo interpretativo che non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore ( Cass. n. 32786 del 2022; Cass. n. 9380 del 2016; Cass. n. 14432 del 2016 ).
A tale considerazione di diritto si accompagna il rilevo che, nel caso di specie, la Corte di appello ha motivato la soluzione accolta in forza del mero richiamo alla clausola contrattuale sopra riportata, senza fare ricorso al comportamento complessivo delle parti o ad altri criteri integrativi o suppletivi previsti dagli artt. 1363 e seguenti cod. civ., utilizzando quindi il solo criterio della interpretazione letterale.
Tanto precisato, la decisione impugnata non si sottrae alla censura di violazione di legge sollevata laddove ha affermato che la clausola de qua concerneva unicamente la determinazione del prezzo dei lavori non indicati in contratto, e non anche la loro previsione e indicazione. Tale conclusione non si confronta con il tenore letterale della clausola, la quale stabiliva ‘ per eventuali opere, non indicate nel preventivo allegato ‘, prima di darne inizio, la sottoscrizione di un ‘ regolare accordo aggiuntivo ‘ . In particolare la Corte di appello non ha esaminato adeguatamente il dato testuale della clausola, che riferisce, anche sintatticamente, la stipulazione dell’accordo aggiuntivo tanto alle opere che, conseguentemente, al loro prezzo. In tale contesto la delimitazione della necessità dell ‘accordo scritto alla sola quantificazione del prezzo non appare un’opzione meditata e plausibile, non avendo dato conto della aporia o difficoltà logica di ipotizzare un accordo sul prezzo in assenza della indicazione del l’opera cui esso si riferisce, né della conciliabilità e ragionevolezza di una ricostruzione della volontà dei contraenti volta, da un lato, a svincolare da qualsiasi forma l’accordo sui lavori fuori contratto e, dall’altro, a prescriverne la forma scritta per la sola indicazione del prezzo.
Né tale interpretazione può ritenersi sostenuta dal richiamo fatto in sentenza alla decisione di questa Corte n. 23291 del 2014, secondo cui, nel rapporto di appalto, l’onere della forma scritta convenuto per le modifiche e integrazioni del contratto non è applicabile ai lavori extracontrattuali, non incidendo essi sulle clausole negoziali. Il principio richiamato appare del tutto indipendente dalla questione che la Corte di appello era chiamata ad affrontare, che riguardava la ricostruzione del contenuto della clausola negoziale con la quale le parti avevano convenuto, per le opere fuori contratto, la sottoscrizione di un accordo specifico.
Merita aggiungere che l’interpretazione adottata ha portato la Corte di appello a disapplicare sostanzialmente tale clausola, nel momento in cui, implicitamente dando atto che nessun accordo sul prezzo era stato mai sottoscritto, ha determinato d’uffic io, sulla base dei rilievi svolti dal consulente tecnico di parte, i l compenso dell’appaltatore.
Per il resto le altre censure dedotte nel motivo, per la parte in cui non risultano assorbite, sono inammissibili, investendo valutazioni ed accertamenti di fatto non suscettibili di essere vagliati in sede di giudizio di legittimità.
Il secondo motivo di ricorso denuncia nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, costituito dalle risultanze dell’accertamento tecnico preventivo in ordine al valore delle opere non eseguite, da decurtare sul prezzo convenuto nel contratto di appalto. Il ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia disatteso la valutazione operata dal consulente tecnico d’ufficio, che aveva stimato tali lavori utilizzando i prezzi medi di mercato in vigore all’epoca nella zona, aderendo invece alla stima del consulente tecnico di parte, che vi aveva provveduto sulla base del prezzo contrattuale. Si assume altresì che la Corte è caduta in un palese travisamento dei fatti, laddove, partendo dal rilievo che il contratto prevedeva l’importo di euro 390.000,00 per le opere strutturali e l’importo di euro 105.000,00 per quelle murarie, di impermeabilizzazione e rifiniture, ha fondato la sua decisione sul rilievo che i lavori non eseguiti concernevano solo le opere della seconda categoria ed ammontavano al 15% delle stesse, mentre dagli accertamenti effettuati emergeva che esse riguardavano anche le opere
strutturali, sicché la decurtazione avrebbe dovuto essere applicata anche con riguardo a queste ultime.
Il motivo appare infondato con riguardo alla prima censura ed inammissibile con riferimento alla seconda.
La prima censura è infondata, in quanto dalla lettura della sentenza impugnata risulta chiaramente che la Corte di appello non ha affatto ignorato la valutazione delle opere non eseguite compiuta dal consulente tecnico d’ufficio, ma l’ha motivatamente disattesa, rilevando la sproporzionalità tra la stima da questi effettuata, pari a euro 79.923,76, e la consistenza delle opere non eseguite, corrispondente al 15% di quelle preventivate per i lavori di muratura, di impermeabilizzazione e di rifinitura, per le quali il contratto prevedeva il prezzo di euro 105.000,00.
La seconda censura è invece inammissibile, investendo un accertamento di fatto, a fronte dell’affermazione della Corte di appello che, richiamando le risultanze del l’elaborato del consulente tecnico d’ufficio, ha evidenziato che le opere strutturali erano state integralmente eseguite ( pag. 7 ).
Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto, censurando la decisione impugnata per avere respinto la domanda di applicazione della penale contrattualmente prevista per il ritardo, pari all’importo di euro 50,00 a l giorno. La Corte di appello ha rigettato la domanda reputando giustificata l’eccezione di inadempimento sollevata dall’appaltatore, che aveva sospeso i lavori a fronte del mancato pagamento dell’iva sulle fatture emesse, per un importo complessivo rilevante di euro 88.000,00. Si assume al riguardo che la premessa di fatto da cui muove la sentenza è errata, in quanto l’iva ammontava a euro 82.654,12 ed in parte era stata corrisposta, sicché l’importo asseritamente non versato risultava pari a euro 49.825, 96, che rappresentava solo il 10% del prezzo complessivo e non poteva quindi giustificare la sospensione dei lavori. Si aggiunge che la Corte non ha fornito alcuna motivazione in ordine al ritardo addebitato all’appaltatore, dipeso esclusivamente da sue n egligenze nell’approntam ento del cantiere ed ha omesso di considerare che le parti avevano concordato di versare l’iva in un
secondo tempo e che comunque si trattava di un debito accessorio e non principale.
Il motivo è inammissibile sotto due profili.
In primo luogo perché non indica le norme di diritto che sarebbero state violate, indicazione specificatamente richiesta, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, comma 1 n. 4, cod. proc. civ.
In secondo luogo perché richiede una rivalutazione delle risultanze istruttorie, non consentita in sede di giudizio di legittimità.
Il quarto motivo di ricorso denuncia nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, costituito dal pagamento, rispetto a quello conteggiato di euro 445.000,00, dell’ulteriore importo di euro 102.000,00 risultante da tre fatture quietanziate emesse il 31. 1. 2005, il 21. 3. 2005 ed il 27. 7. 2005.
Anche questo motivo è inammissibile, sia perché investe nuovamente l’accertamento dei fatti di causa, di esclusiva competenza del giudice di merito, che ha affermato che l’importo delle fatture versate ammonta va ad euro 445.000,00 ( pag. 11 ), sia per difetto del requisito di decisività dei documenti il cui esame sarebbe stato omesso, non fornendo elementi a sostegno della tesi che le fatture quietanzate non sarebbero state conteggiate tra i pagamenti parziali.
Il quinto motivo di ricorso denuncia nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, lamentando che la Corte di appello abbia respinto la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni derivanti dalla ritardata esecuzione dei lavori, senza dare adeguato riscontro alle risultanze istruttorie da cui risultava che la parte non aveva potuto aprire un’officina e locare parte dell’edificio.
Il motivo è inammissibile per genericità, dal momento che non indica in modo preciso le risultanze istruttorie che sarebbero state omesse né ne specifica il contenuto dimostrativo.
In conclusione, va accolto, nei limiti di cui in motivazione, il primo motivo e dichiarati inammissibili gli altri.
La sentenza va pertanto cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibili gli altri; cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese del giudizio, alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 dicembre 2023.