Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25651 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25651 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15353/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato
-controricorrenti-
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CALTANISSETTA n. 528/2021 depositata il 23/12/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Premesso che:
1.COGNOME NOME e COGNOME NOME citavano davanti al Tribunale di Caltanissetta COGNOME NOME e la di lui moglie NOME COGNOME; deducevano che essi attori e COGNOME NOME avevano acquistato un terreno edificabile in Comune di Sommatino nel 1980 e vi avevano realizzato una palazzina su tre piani, che, con atto pubblico di divisione 7 ottobre 1991, l’edificio era stato diviso con attribuzione del piano terra a COGNOME NOME e alla moglie in regime di comunione legale, i piani superiori uno per ciascuno di essi attori, che l’accesso all’edificio era stato realizzato da INDIRIZZO come previsto da un progetto di sanatoria, che quell’accesso era stato poi chiuso dai convenuti i quali avevano inglobato nella loro proprietà l’ ‘androne di 16 mq’, che i convenuti avevano creato un nuovo accesso da INDIRIZZO di minori dimensioni, che i convenuti non avevano pagato la loro quota del compenso dovuto al professionista che aveva curato la pratica di condono; tanto dedotto chiedevano la condanna dei convenuti alla riapertura dell’accesso originario con ripristino dello stato dei luoghi o, in via subordinata, la condanna dei convenuti al pagamento di una somma pari al valore della proprietà comune inglobata nella loro proprietà esclusiva nonché l’accertamento del diritto degli attori di passare dal nuovo accesso. Il Tribunale rigettava le domande. La Corte di Appello di Caltanissetta, con la sentenza in epigrafe, confermava la decisione del Tribunale. I giudici di merito valorizzavano la scrittura privata in data 17 ottobre 2007, a cui era
allegata una planimetria, con la quale COGNOME NOME e COGNOME NOME avevano concordato con COGNOME NOME di modificare l’accesso all’edificio eliminando l’accesso da INDIRIZZO e aprendo quello da INDIRIZZO, di costruire ‘un muro di separazione’ tra il vano scale del nuovo accesso e la proprietà al piano terra di COGNOME NOME. Sottolineavano in particolare i giudici di merito che dalla planimetria, firmata da COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, ‘risulta che l’ex androne è inglobato nella unità immobiliare di COGNOME NOME‘. Richiamavano le risultanze di una CTU in base alle quali lo stato dei luoghi era conforme a quanto previsto dalla suddetta scrittura e dalla relativa planimetria. Osservavano: ‘nessun riferimento i condividenti fanno all’ex androne circa una sua residua condominialità anche a seguito dei lavori di modifica eseguiti in comune tra le parti ed in specie la realizzazione del muro di divisione del vano scale con l’appartamento sito al piano terra’. Concludevano che ‘i lavori di divisione vennero eseguiti di comune accordo’ e che ‘la superficie dell’ex androne andava considerata unitariamente con il piano terra’. Quanto alla domanda di condanna di COGNOME NOME e della moglie al rimborso della loro quota indicata in €4438,17 euro- del compenso dovuto al professionista che aveva curato la pratica di condono, i giudici di merito osservavano che nell’atto del 1991 le parti si erano dichiarate integralmente soddisfatte di ogni reciproco credito e debito e che quindi le sole spese di cui gli attori appellanti erano creditori rispetto ai convenuti appellati ammontavano a €649,13, un terzo del totale delle spese in atti -pari ad €1947,40 -‘escludendosi tutte le altre anche successive’;
COGNOME NOME ha proposto ricorso, con quattro motivi, contro la sentenza di appello;
3.COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno depositato controricorso;
COGNOME NOME NOME rimasto intimato;
il consigliere delegato ha proposto ex art. 380 bis cpc la definizione della causa per inammissibilità o manifesta infondatezza dei quattro motivi di ricorso. Il ricorrente ha chiesto la decisione;
il ricorrente ha depositato memoria nella quale ha dato conto di un provvedimento con cui il Comune di Sommatino in data 10 maggio 2023 ha ordinato la demolizione della scala di accesso ai piani superiori dell’edificio;
considerato che:
il primo motivo del ricorso reca la seguente rubrica «violazione o falsa applicazione degli artt. 832, 1350 e 2643 e 2697 c.c. in relazione all’ art. 360, primo comma n.3, c.p.c.’.
Viene proposta una lettura della scrittura datata 17 ottobre 2007 diversa da quella datane dai giudici di merito e secondo cui con tale scrittura non sarebbe stato convenuto alcun trasferimento di proprietà né specificamente l’attribuzione ‘dell’androne’ a COGNOME NOME. Per avvalorare tale diversa lettura si fa riferimento ad una scrittura priva di data ma antecedente a quella del 17 ottobre 2007 con cui i COGNOME, definendosi comproprietari dell’immobile, avevano dato incarico al ‘geometra NOME‘ di redigere il progetto e gli atti di frazionamento e di ‘regolarizzazione del piano terra’, necessari ad una successiva divisione poi non conclusa. Viene inoltre riproposta la questione della ‘inefficacia’ e ‘non trascrivibilità’ della scrittura del 2007 trattandosi di scrittura sottoscritta solo da COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME e non anche dalla moglie di quest’ultimo, NOME COGNOME; 2. il motivo è inammissibile per questione di diritto riferita, genericamente, a ricostruzione del contenuto dell’accordo del 17
quanto prospettante, come ‘l’art. 832 c.c.’, una ottobre 2007 contrapposta a quella datane dalla Corte di Appello e che non si espone a censure in sede di legittimità essendo argomentata in modo chiaro con precisi riferimenti alla lettera dell’accordo stesso e alla planimetria ad esso allegata. La Corte di Appello si è fatta
specificamente carico della tesi che oggi il ricorrente ripropone, secondo cui l’accordo del 17 ottobre 2007 non avrebbe avuto funzione di divisione ed ha dato conto del fatto che, al contrario, dal testo dell’accordo e dalla planimetria ad esso allegata, sottoscritta dalle parti, risultava che le parti non avevano fatto riferimento, riguardo all’ex androne, alla ‘sua residua condominialità anche a seguito dei lavori di modifica eseguiti in comune’ e che (nella planimetria) avevano raffigurato l’ex androne come inglobato nella proprietà dell’appartamento del piano terra che fino dall’atto pubblico di divisione del 1991 era stato assegnato a COGNOME NOME e alla moglie NOME COGNOME.
Il motivo è infondato, giacché prospetta la questione della nullità ai sensi dell’art. 1350 c.c. dell’accordo in data 17 ottobre 2007 per difetto di sottoscrizione da parte della NOME. La Corte di Appello ha dato conto della mancanza della sottoscrizione ma ha ritenuto la questione sollevata dall’allora appellante e odierno ricorrente di ‘nessun pregio’ con la seguente motivazione: ‘COGNOME NOME, in comunione legale con la moglie, acquistò il terreno da solo e, per principio di accessione, quanto edificato sullo stesso, ma quel bene, non essendo personale, è caduto in comunione con la moglie, correttamente intervenuta nell’atto di divisione quale comproprietaria del bene in comunione con il marito’.
Va richiamata la statuizione secondo cui ‘Il principio generale dell’accessione posto dall’art. 934 c.c., in base al quale il proprietario del suolo acquista “ipso iure” al momento dell’incorporazione la proprietà della costruzione su di esso edificata, non trova deroga nella disciplina della comunione legale tra coniugi, in quanto l’acquisto della proprietà per accessione avviene a titolo originario senza la necessità di un’apposita manifestazione di volontà, mentre gli acquisti ai quali è applicabile l’art. 177, comma 1, c.c. hanno carattere derivativo, essendone espressamente prevista una genesi di natura negoziale, con la
conseguenza che la costruzione realizzata in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale da entrambi i coniugi sul terreno di proprietà personale esclusiva di uno di essi è a sua volta proprietà personale ed esclusiva di quest’ultimo, mentre al coniuge non proprietario, che abbia contribuito all’onere della costruzione spetta, previo assolvimento dell’onere della prova di avere fornito il proprio sostegno economico, il diritto di ripetere nei confronti dell’altro coniuge le somme spese a tal fine’ (Cass. Sez. 1 – , ordinanza n.28258 del 04/11/2019).
In ragione di quanto precede, NOME COGNOME non era parte necessaria dell’atto del 17 ottobre 2007 concernente la divisione dell’immobile di proprietà non di essa NOME ma del marito e dei fratelli, con la conseguenza che la assenza della sua sottoscrizione non determina la nullità dell’atto. In questo senso la motivazione della sentenza impugnata deve essere corretta, ex art. 384, ultimo comma c.p.c., nella parte in cui afferma che l’immobile ‘è caduto in comunione con la moglie’ ma la statuizione finale, per cui l’assenza della sottoscrizione di quest’ultima è ‘priva di pregio’, è corretta; 3. il secondo motivo del ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e dell’art.360, primo comma n.4, c.p.c., l’omessa pronuncia da parte della Corte di Appello in ordine alla circostanza per cui ‘il piano terra’ presenterebbe opere ‘abusive’ e non rappresentate in catasto, realizzate dagli originari convenuti. Viene riproposta la tesi, già veicolata con il primo motivo, per cui l’atto del 2007 non avrebbe avuto contenuto dispositivo. Si fa riferimento di nuovo alla scrittura priva di data ma antecedente a quella del 17 ottobre 2007 con cui i COGNOME avevano dato incarico ad un geometra di redigere il progetto e gli atti di frazionamento e di ‘regolarizzazione del piano terra’ necessari ad una successiva divisione;
4. il motivo è inammissibile anche per la parte in cui non si limita a riproporre questioni già veicolate con il primo motivo e già dichiarate inammissibili, ossia per la parte in cui denuncia l’omessa
pronuncia sulla dedotta ‘abusività’ delle opere realizzate al piano terra della palazzina. Per questa parte il motivo è inammissibile per difetto di specificità (art.366 c.p.c.). Il giudice del merito non è tenuto a confutare ogni argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che indichi gli elementi sui quali fonda il suo convincimento dovendosi ritenere disattesi per implicito tutti quegli altri rilievi e circostanze che, sebbene non specificamente menzionati, siano incompatibili con la decisione adottata, occorrendo solo, perché la decisione rimanga sottratta a ogni possibilità di censura in sede di legittimità, che le argomentazioni non esaminate, non attengano a punti decisivi della controversia. Nel caso di specie il ricorrente si limita a denunciare l’omessa pronuncia sulla dedotta ‘abusività’ di ‘lavori al piano terra’. Non precisa alcunché né sulla natura o consistenza degli ‘abusi’ né sulla rilevanza giuridica di tali lavori asseritamente abusivi. Tale precisazione non emerge neppure dal richiamo alla scrittura, priva di data, con cui stando al ricorrente, era stato dato incarico ad un geometra di redigere atti di frazionamento e di ‘regolarizzazione del piano terra’. Manca del tutto l’indicazione della decisività dell’argomentazione non menzionata dalla Corte di Appello;
5. con il terzo motivo di ricorso vengono denunciati l”omesso esame circa un fatto storico decisivo’ e la ‘manifesta contraddittorietà e/o illogicità’ della motivazione della sentenza in relazione, rispettivamente all’art. 360, primo comma, n.5 e all’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c.’.
5.1. Nella prima parte del motivo si veicola, sotto il profilo del n.5 dell’art. 360, primo comma, c.p.c., non una censura di omesso esame di fatti -censura che, peraltro, sarebbe inammissibile atteso che, a fronte di un doppio accertamento conforme dei giudici di primo e secondo grado, l’impugnazione della sentenza d’appello soggiace alla preclusione derivante dalla regola di cui all’art.348-
ter, comma 5, c.p.c.- ma, di nuovo, il tentativo di ottenere, alla luce della più volte menzionata scrittura, priva di data, il conferimento dell’incarico al geometra NOME, la rilettura dell’atto del 2007 come atto, al contrario di quanto affermato dalla Corte di Appello, privo di effetti attributivi.
5.2. Il motivo è infondato per quanto tendente a sostenere il difetto di motivazione della sentenza relativamente a ciò che la stessa afferma riguardo al contenuto della scrittura del 17 ottobre 2007.
Merita richiamare il principio per cui ‘La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione’ (Cass. Sez. U, Sentenza n.8053 del 07/04/2014).
Nel caso di specie la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da incoerenza o illogicità denunciate dal ricorrente.
La Corte di Appello ha infatti motivato la conferma del rigetto dell’assunto dell’odierno ricorrente secondo cui gli odierni controricorrenti avrebbero illecitamente inglobato una parte della proprietà comune nel loro appartamento attraverso il richiamo alla
più volte ricordata scrittura privata dell’ottobre 2007 e alla planimetria ad essa allegata.
È smaccatamente strumentale la lettura data dal ricorrente della parte della motivazione della sentenza in cui la Corte di Appello, dopo aver ricordato l’atto ‘pubblico’ di divisione del 1991, scrive che ‘nessun riferimento i condividenti fanno all’ex androne circa la sua residua condominialità anche a seguito dei lavori di modifica eseguiti in comune tra le parti’. Secondo il ricorrente tale parte sarebbe del tutto illogica dato che nell’atto del 1991 non sarebbe stato possibile un riferimento ‘all’ex androne’. È evidente, infatti, che la frase ‘nessun riferimento i condividenti fanno all’ex androne circa la sua residua condominialità anche a seguito dei lavori di modifica eseguiti in comune tra le parti’ è relativa non all’atto del 1991 ma al successivo atto del 2007 a cui la Corte di Appello ha fatto richiamo poche righe prima di menzionare l’atto pubblico di divisione del 1991.
5.3. Nella parte finale del motivo il ricorrente deduce che la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto né del documento NUMERO_DOCUMENTO delle produzioni di primo grado, a firma del geometra COGNOME, da cui risulterebbe che ‘la somma di 4438,17 euro che avrebbe dovuto essere pagata da COGNOME NOME in data 6.11.2008, nulla poteva avere a che fare con la divisione del 1991′, né della clausola della scrittura del 17 ottobre 2007 in cui era scritto che ‘resta per patto espresso stabilito che COGNOME NOME dovrà rimborsare ai fratelli la somma di 405 + 450 euro = 900 euro per i lavori che il geometra NOME COGNOME ha eseguito per l’accatastamento del terzo piano, il collaudo statico, il calcolo planivolumetrico dell’intero stabile e 1/3 della somma di 450,00 euro pari a 150,00 euro per la relazione geologica’. Deduce inoltre che sarebbe assente o illogica l’affermazione della Corte di Appello per cui la domanda originaria di condanna di COGNOME NOME e della moglie al rimborso della somma di 4438,17 euro, a titolo di loro quota del compenso dovuto
al professionista, sarebbe stata fondata solo per €649,13, ossia per un terzo del totale delle spese in atti -pari ad €1947,40 -‘escludendosi tutte le altre anche successive’ all’accordo del 1991, visto che le spese di cui al richiamato documento n.17 e alla scrittura del 17 ottobre 2007 sono successive al 1991.
Il motivo è inammissibile sotto il profilo del n. 5 dell’art. 360, primo comma, c.p.c., atteso che, a fronte di un doppio accertamento conforme dei giudici di primo e secondo grado, l’impugnazione della sentenza d’appello soggiace alla preclusione derivante dalla regola di cui all’art. 348-ter, comma 5, c.p.c. Ne consegue anche l’inammissibilità della censura di difetto motivazionale dato che tale difetto in tanto potrebbe emergere in quanto, secondo la prospettazione del ricorrente, fosse possibile esaminare i fatti risultanti dal documento 17 e dalla scrittura privata del 7 ottobre 2007.
6. con il quarto motivo di ricorso sotto la rubrica di ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 24 e dell’art. 111 Cost., degli artt. 115 e 244 c.p.c., degli artt. 1460, 2697, 2721, 2724, 2733 c.c.’, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c. il ricorrente deduce nuovamente che la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere che le sole spese di cui il ricorrente aveva diritto ad essere rimborsato ammontavano a € 649,13 dovendosi escludere tutte le altre anche successive all’atto del 1991. Ripropone le prospettazioni già avanzate con terzo motivo per cui dai documenti in atti risulterebbe un debito maggiore e per cui la motivazione della sentenza sarebbe viziata da illogicità. Sostiene poi che la Corte di Appello avrebbe anche errato nel non disporre la prova per testi, richiesta già in primo grado e poi nell’atto di appello, volta a dimostrare l’avvenuto pagamento, da parte di COGNOME NOME e COGNOME NOME, della somma di 4438,17 euro ‘che avrebbe dovuto essere pagata dal fratello NOME.
7.il motivo è da dichiarare inammissibile per le ragioni già espresse in riferimento al terzo motivo. Quanto alla mancata ammissione della prova orale vale il principio per cui in tema di accertamento dei fatti storici allegati dalle parti a sostegno delle rispettive pretese, a norma dell’art. 116 c.p.c. rientra nel potere discrezionale – e come tale insindacabile – del giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, apprezzare all’uopo le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le varie risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee e rilevanti con l’unico limite di supportare con adeguata e congrua motivazione l’esito del procedimento accertativo e valutativo seguito (Cass, Sez. 5, Sentenza n.2090 del 04/02/2004). Nel caso specifico è pertanto insindacabile la scelta della Corte di Appello di non disporre la prova orale capitolata dal ricorrente in ragione della valutazione delle prove, peraltro già conformemente valutate anche dal Tribunale, come sufficienti ad individuare le somme effettivamente pagate dagli allora appellanti in 649,13 euro;
nessuna interferenza con le questioni esclusivamente privatistiche oggetto del presente procedimento ha il provvedimento del Comune di Sommatino, menzionato nella memoria del ricorrente, relativo alla questione amministrativa della abusività di opera edilizia all’interno dell’edificio di cui trattasi;
in conclusione il ricorso deve essere rigettato.
10. le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, anche ex art. 96 co. 3 e 4 c.p.c. poiché la proposta di definizione anticipata è in linea con la decisione (cfr. art. 380 bis ultimo comma cpc). Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera del ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in € 3000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti;
condanna il ricorrente al pagamento, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ., della somma di € 3000,00 in favore della parte controricorrente nonché, ai sensi dell’art. 96, comma quarto, cod. proc. civ., di un’ulteriore somma di € 3000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12/09/2024.