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Accordo di ristrutturazione: risolto dal fallimento

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33445/2024, stabilisce un principio cruciale in materia di diritto fallimentare. Se un’impresa, dopo aver stipulato un accordo di ristrutturazione dei debiti, viene dichiarata fallita, l’accordo si considera automaticamente risolto per impossibilità sopravvenuta. Di conseguenza, il creditore aderente ha il diritto di insinuarsi al passivo fallimentare per l’intero ammontare del suo credito originario, e non per la somma ridotta prevista dall’accordo. La Corte chiarisce che non è necessaria un’azione giudiziale da parte del creditore per ottenere la risoluzione, in quanto l’effetto è automatico e discende direttamente dalla dichiarazione di fallimento che rende irrealizzabile il piano di risanamento.

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Accordo di ristrutturazione: risolto dal fallimento

Un’importante sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per creditori e debitori: qual è la sorte di un accordo di ristrutturazione dei debiti quando l’azienda debitrice, nonostante gli sforzi, viene successivamente dichiarata fallita? La risposta fornita dai giudici è netta: il fallimento provoca la risoluzione automatica dell’accordo, con la conseguente “riespansione” del credito originario nella sua interezza. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione.

I Fatti di Causa

Una società creditrice aveva aderito a un accordo per la ristrutturazione del debito di un’altra impresa, accettando una significativa riduzione del proprio credito. L’accordo era stato regolarmente approvato (omologato) dal Tribunale. Tuttavia, tempo dopo, la società debitrice veniva dichiarata fallita.

Al momento di ammettere i crediti al passivo fallimentare, il giudice delegato aveva riconosciuto alla società creditrice solo l’importo ridotto previsto dall’accordo, sostenendo che quest’ultimo fosse ancora valido perché non era mai stata chiesta formalmente la sua risoluzione. La società creditrice si è opposta, sostenendo che il fallimento avesse reso impossibile l’esecuzione dell’accordo, facendo così rivivere il suo diritto a pretendere l’intera somma originaria. Sia il Giudice Delegato che il Tribunale in sede di opposizione avevano respinto le ragioni del creditore, portando la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

La questione giuridica: effetti del fallimento sull’accordo di ristrutturazione

Il quesito legale posto alla Suprema Corte era fondamentale: la dichiarazione di fallimento di un’impresa che ha precedentemente concluso un accordo di ristrutturazione omologato ne determina l’inefficacia automatica, oppure l’accordo sopravvive, vincolando i creditori aderenti a quanto pattuito?

La difesa del fallimento sosteneva la seconda tesi, affermando che, in assenza di una richiesta esplicita di risoluzione da parte del creditore prima della sentenza di fallimento, gli effetti remissori (cioè di riduzione del debito) dell’accordo dovessero considerarsi definitivi. Il creditore, invece, argomentava che la finalità stessa dell’accordo – il risanamento dell’impresa – era venuta meno con il fallimento, rendendo l’intero patto privo di causa e quindi risolto di diritto.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto pienamente le argomentazioni della società creditrice, stabilendo un principio di diritto di grande chiarezza.

I giudici hanno spiegato che l’accordo di ristrutturazione dei debiti, pur basandosi su contratti singoli tra debitore e creditori, è un istituto del diritto concorsuale. La sua causa concreta non è solo la riduzione del debito, ma il superamento della crisi aziendale. Quando interviene la dichiarazione di fallimento, l’obiettivo del risanamento diventa oggettivamente e definitivamente impossibile.

Questa impossibilità, secondo la Corte, integra una causa di risoluzione automatica del contratto per “impossibilità sopravvenuta della prestazione”, ai sensi dell’art. 1463 del codice civile. Il fallimento è un evento che rende irrealizzabile l’intero piano posto a base dell’accordo, privandolo della sua funzione economico-sociale. Di conseguenza, l’accordo si scioglie di diritto, senza bisogno che il creditore avvii un’azione giudiziale specifica.

La Corte ha inoltre sottolineato la differenza con il concordato preventivo, per il quale la legge prevede termini specifici per chiederne la risoluzione. Nell’accordo di ristrutturazione, questa previsione manca, e pertanto si applica la regola generale del codice civile. Lo scioglimento dell’accordo comporta la “riespansione dell’originaria obbligazione”: il debito torna a esistere nel suo ammontare iniziale, e per tale importo il creditore può insinuarsi al passivo del fallimento, al netto di eventuali acconti già ricevuti.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio fondamentale a tutela dei creditori. La dichiarazione di fallimento successiva all’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ne determina l’automatica risoluzione. Questo comporta due conseguenze pratiche immediate:

1. Viene meno l’effetto di riduzione del debito (falcidia): l’accordo non produce più i suoi effetti.
2. Il creditore può insinuarsi al passivo fallimentare per l’intero importo del suo credito originario, detratti solo gli acconti già percepiti e non più soggetti ad azione revocatoria.

Questa decisione rafforza la posizione dei creditori che, pur collaborando al tentativo di risanamento di un’impresa in crisi, non vengono penalizzati qualora tale tentativo fallisca definitivamente con la dichiarazione di fallimento.

Cosa succede a un accordo di ristrutturazione se l’azienda debitrice fallisce?
Secondo la Corte di Cassazione, la dichiarazione di fallimento provoca la risoluzione automatica e di diritto dell’accordo di ristrutturazione. L’accordo cessa di produrre i suoi effetti perché la sua finalità principale, il risanamento dell’azienda, è diventata impossibile da raggiungere.

Il creditore deve fare causa per sciogliere l’accordo dopo il fallimento?
No, non è necessaria alcuna azione giudiziale da parte del creditore. La risoluzione dell’accordo è un effetto automatico e ineludibile della sentenza di fallimento, che si verifica per impossibilità giuridica sopravvenuta della prestazione.

Dopo la risoluzione, quale importo può richiedere il creditore nel fallimento?
Il creditore ha il diritto di richiedere l’ammissione al passivo fallimentare per l’intero ammontare del suo credito originario, come se l’accordo non fosse mai esistito. Da questo importo devono essere detratti solo gli eventuali pagamenti già ricevuti in esecuzione dell’accordo prima del fallimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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