Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 34837 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 34837 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1198/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio
dell’avvocato COGNOMECODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di LECCE n. 36/2021 depositata il 06/12/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza n. 36/2021, depositata il 24.11.2021, ha rigettato il reclamo avverso sia la sentenza n. 38/2021, depositata il 29.7.2021, con cui il Tribunale di Lecce ha dichiarato il fallimento della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, sia il decreto di pari data con cui è stata dichiarata l’inammissibilità del ricorso ex art. 161 comma 6° e 182 bis L.F. proposto dalla predetta società.
Il giudice di secondo grado ha condiviso l’impostazione del Tribunale di Lecce nel ritenere il ricorso ex art. 182 bis L.F. inammissibile in quanto:
nel termine perentorio, di cui all’art. 161 comma 6° L.F., alla stessa assegnato ed avente scadenza in data 18.6.2021, la società proponente si era limitata al deposito della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, senza provvedere anche all’iscrizione dell’accordo nel registro delle Imprese, adempimento pubblicitario effettuato tardivamente in data 19.7.2021;
2) non poteva ritenersi sussistente il primo presupposto richiesto dalla legge per l’operatività del cd. cram down fiscale, ovvero ‘la
mancanza di adesione’ dell’Amministrazione finanziaria, e ciò in quanto la proposta di transazione fiscale era stata inviata soltanto il giorno prima della scadenza del termine concesso ai sensi dell’art. 161 comma 6° L.F. della domanda ex art. 182 bis L.F.;
3) non era stato integrato neppure l’altro presupposto richiesto dalla legge per l’operatività del cram down, ovvero la convenienza della proposta rispetto all’ipotesi liquidatoria, e ciò in quanto gli immobili che la debitrice avrebbe inteso vendere a terzi in forza del piano di ristrutturazione risultavano già gravati da ipoteca iscritta in favore dell’agenzia delle Entrate a garanzia dei propri crediti;
i dati contabili erano inattendibili in quanto l’attestazione aveva fondato il profilo della veridicità dei medesimi sui elementi e informazioni forniti dallo stesso debitore.
La Corte d’Appello ha, inoltre, confutato le censure della società debitrice in ordine alla mancata concessione del termine ex art. 162 L.F. per integrare la documentazione a corredo del ricorso ex art. 182 bis L.F. e per aver provveduto senza che fosse ancora decorso il termine di 30 giorni dato ai creditori per l’omologa, osservando, rispettivamente, che la concessione di tale termine era discrezionale e che il citato termine era stabilito a tutela dei creditori e non già del debitore.
In ordine alle censure svolte avverso la sentenza di fallimento, la Corte d’Appello, dopo aver premesso l’insussistenza della dedotta violazione dell’art. 7 L.F., e dell’obbligo di astensione in capo al G.D. (sul rilievo che l’istanza di ricusazione non era stata proposta nei termini di cui all’art. 52 c.p.c.), ha ritenuto la presenza dello stato di insolvenza sulla base dei parametri di una società in stato di liquidazione. Sul punto, dopo aver condiviso l’affermazione del giudice di primo grado secondo cui l’inattendibilità dei dati contabili non consentiva di accertare con certezza l’entità del passivo, in ogni caso, secondo gli stessi dati, risultava un’enorme esposizione di debiti erariali. Quanto all’attivo, i beni della debitrice risultavano
gravati da pignoramenti a vario titolo e da ipoteca legale iscritta da Equitalia, non consentendo di avere a disposizione attività prontamente realizzabili idonee a coprire qualunque pretesa creditoria. Tale difficoltà di pronto realizzo rilevava in quanto sintomatica di un risultato di realizzo inferiore rispetto a quello contabilizzato dal debitore.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, affidandolo a undici motivi.
La curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha resistito in giudizio con controricorso.
La ricorrente ha depositato le memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 161 e 182 bis L.F..
Espone la ricorrente che l’impostazione dei giudici di merito secondo cui per l’osservanza del termine di cui all’art. 161 comma 6° L.F. occorre non solo depositare il ricorso ex art. 182 bis L.F., ma provvedere anche all’adempimento pubblicitario dell’iscrizione dell’accordo nel Registro delle Imprese, è privo di conforto normativo, richiedendo l’art. 161 comma 6° L.F. solo che l’imprenditore, nel termine fissato dal giudice, provveda a ‘depositare domanda ai sensi dell’art. 182 bis primo comma ‘.
Il motivo è infondato.
Ritiene questo Collegio che una interpretazione sistematica dei primi due commi dell’art. 182 bis L.F. imponga che, nel termine perentorio di cui all’art. 161 comma 6° L.F. (vedi, sul punto, Cass. n. 6277/2016, recentemente, Cass. n. 35949/2022), il proponente deve provvedere non solo al deposito della domanda di omologa dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, ma anche alla iscrizione dell’accordo nel registro delle imprese, atteso che tale accordo solo
con la pubblicazione (e dal giorno della medesima) acquista efficacia e, pertanto, in difetto di tale adempimento pubblicitario, ne è privo.
L’iscrizione dell’accordo nel registro delle imprese è, infatti, essenziale ai fini dell’avvio della procedura in quanto, in suo difetto, non solo l’accordo non è idoneo a produrre effetti tra i soggetti che vi hanno preso parte, ma, rimanendo un atto interno senza alcuna conoscenza del suo contenuto, priva i creditori non aderenti e gli eventuali terzi interessati della possibilità di proporre opposizione, così che la procedura potrebbe entrare, per volontà del debitore, in una situazione di stallo di cui non è dato prevedere la fine.
Peraltro, ove si ritenesse che, come invocato dalla ricorrente, il legislatore non ha inteso imporre alcun vincolo temporale alla pubblicazione degli accordi di ristrutturazione e che, pertanto, ai fini del rispetto del termine perentorio di cui all’art. 161 comma 6° L.F., è sufficiente il mero deposito della domanda di omologa del concordato, il debitore continuerebbe, da un lato, a giovarsi degli effetti protettivi collegati dall’art. 168 L.F. al deposito della domanda di concordato preventivo (anche se non con riserva), privando, dall’altro, i suoi creditori degli strumenti offerti dall’ordinamento per contrastare una eventuale condotta del proponente avente solo una finalità dilatoria e non realmente interessata alla soluzione dello stato di crisi.
Va dunque affermato quale principio di diritto ed in relazione al caso deciso: ‘ Nel termine perentorio assegnato dal Tribunale, ex art. 161 comma 6° L.F., il debitore proponente deve non solo depositare la domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis c.p.c., ma altresì provvedere alla iscrizione dell’accordo nel Registro delle Imprese’.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 182 bis L.F. come integrato dall’art. 3 comma 1 bis L. n. 125/2020.
Rileva la ricorrente che ai fini dell’operatività del cram down fiscale è sufficiente il difetto di consenso dell’amministrazione finanziaria, anche se tale consenso non sia stato mai chiesto con una preventiva proposta o interpello.
La ricorrente lamenta, altresì, che il Tribunale non ha compiuto un’effettiva comparazione tra quanto offerto dalla società debitrice e quanto il creditore avrebbe potuto ottenere in sede di liquidazione. Peraltro, la proposta prevedeva il pagamento (dilazionato in tempi relativamente brevi) del 100% dei debiti verso l’amministrazione finanziaria, per lo più con l’apporto di finanza esterna.
4. Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, questa Corte ritiene che, costituendo presupposto per l’operatività del cd. cram down fiscale ‘la mancanza di adesione’ dell’Amministrazione finanziaria, non vi è dubbio che l’unica interpretazione del 4° comma ultimo periodo dell’art. 182 bis L.F. -secondo cui ‘ Ai fini di cui al periodo che precede, l’eventuale adesione deve intervenire entro novanta giorni dal deposito della proposta di soddisfacimento’ – che sia coerente sia con l’istituto della transazione fiscale che con quello dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis L.F. è che la domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione sia depositata solo dopo che sia scaduto il termine di 90 giorni assegnato all’Amministrazione fiscale per pronunciarsi. Ne consegue che, in una situazione quale quella di specie, in cui la proposta di transazione fiscale è stata inviata all’Amministrazione fiscale soltanto il giorno prima del deposito della domanda di omologa ex art. 182 bis L.F., difetta il presupposto della ‘mancanza di adesione’ della medesima, non essendo ancora decorsi i termini entro cui l’Amministrazione avrebbe dovuto provvedere (la risposta sarebbe potuta essere sfavorevole ma anche favorevole). Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha ben spiegato che non era ancora
stato integrato il presupposto del cram down fiscale nei termini sopra illustrati.
Tale interpretazione è, peraltro, l’unica coerente con un’interpretazione ragionevole della norma in quanto, ove non si condizionasse la domanda di omologa al già maturato decorso del termine di 90 giorni assegnato all’Amministrazione Fiscale per pronunciarsi sulla transazione, e si consentisse al debitore proponente di depositare la domanda ex art. 182 bis L.F. con i termini ancora pendenti, il termine per proporre opposizione alla omologa dell’accordo di ristrutturazione non potrebbe decorrere per l’amministrazione, come per gli altri creditori e terzi interessati, dall’iscrizione dell’accordo nel registro delle imprese, come previsto dall’art. 182 bis comma 4° L.F., situazione che falserebbe la disciplina delle opposizioni all’omologa.
Con riferimento al profilo della convenienza della proposta di transazione fiscale, va osservato che la ricorrente, nel dolersi che il Tribunale non aveva compiuto un’effettiva comparazione tra quanto offerto dalla società debitrice e quanto il creditore avrebbe potuto ottenere in sede di liquidazione, non si è minimamente confrontato con la precisa argomentazione della Corte d’Appello secondo cui gli immobili che la debitrice avrebbe inteso vendere a terzi in forza del piano di ristrutturazione risultavano già gravati da ipoteca iscritta in favore dell’ Agenzia delle Entrate a garanzia dei propri crediti. In sostanza, proprio la circostanza che l’amministrazione fosse già creditore ipotecario, e come tale avente un diritto di prelazione rispetto ai creditori, ha indotto il Tribunale a ritenere che la vendita degli stessi beni secondo il piano di ristrutturazione non palesasse alcun vantaggio per la stessa amministrazione.
Va, infine, osservato che l’odierna affermazione della ricorrente secondo cui la sua proposta prevedesse per lo più l’apporto di finanza esterna è priva del requisito della specificità ed autosufficienza. Di tale circostanza nella sentenza impugnata non vi
è alcuna traccia e la ricorrente non ha neppure dedotto di aver sottoposto tale questione all’esame dei giudici di merito.
Orbene, è principio consolidato di questa Corte che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. n. 22886/2022; Cass. n. 32804/2019; Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 13/06/2018, n. 15430; Cass. n. 28060/2018; Cass., 09/07/2013, n. 17041). Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni non esaminate dal giudice di merito, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonché luogo e modo di deduzione, onde consentire alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione.
Come detto, la ricorrente non ha assolto a tale onere di allegazione.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 112, 132 comma 2° n. 4 c.p.c..
Ad avviso della ricorrente, la motivazione con cui la Corte d’appello ha ritenuto inattendibili i suoi bilanci, depositati dopo la presentazione dell’istanza di fallimento, è meramente apparente, avendo il giudice di secondo grado omesso di tenere conto della relazione dell’attestatore e delle osservazioni in essa contenuti. Rileva, inoltre, nel valutare il profilo della veridicità dei dati
aziendali, che sarebbe stato introdotto un thema decidendum del tutto nuovo.
Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, la deduzione secondo cui la motivazione della Corte d’Appello, sul profilo della attendibilità dei dati aziendali, sarebbe apparente è del tutto generica, non avendo la ricorrente avuto cura neppure di precisare di quali osservazioni contenute nella relazione dell’attestatore il giudice di secondo grado avrebbe omesso l’esame. Apodittica e priva di specificità ed autosufficienza è, inoltre, l’allegazione secondo cui la Corte d’appello avrebbe, in violazione dell’art. 112 c.p.c., introdotto un thema decidendum nuovo.
Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c. in ordine all’improprio sindacato esercitato sulla delibera societaria di messa in liquidazione della società.
Il motivo è inammissibile, in quanto non coglie la vera ratio decidendi della decisione. In proposito, se è pur vero che la Corte d’Appello ha manifestato perplessità in ordine ai tempi e alle modalità con cui la società poi fallita è stata messa in liquidazione dopo la presentazione dell’istanza di fallimento, tuttavia, trattasi di motivazione ad abundantiam e, come tale, priva di effetti giuridici e ininfluente ai fini della decisione, avendo la Corte d’appello valutato il requisito dell’insolvenza sulla base dei parametri di una società in liquidazione e non di una in continuità aziendale. Ne consegue che la parte soccombente non ha né l’onere né l’interesse ad impugnare tale motivazione, priva di effetti giuridici.
Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 162 e 182 bis L.F.
Si duole la ricorrente che la Corte d’Appello, con una motivazione inconsistente, ha rigettato la censura con cui aveva lamentato, nel reclamo, la mancata concessione da parte del Tribunale di un
termine, ex art. 162 L.F., di 15 giorni per depositare documentazione a supporto del ricorso ex art. 182 bis L.F..
9. Il motivo è inammissibile.
Va osservato che questa Corte ha più volte affermato (vedi Cass. 11882/2020; conf. Cass. n. 21901/2013) che l’art. 162 comma 1° L.F., nello stabilire che il tribunale “può” (e non “deve”) concedere un termine per apportare integrazioni al piano e produrre documenti, attribuisce al giudice un potere di natura discrezionale, il cui mancato esercizio non necessita di motivazione e non è censurabile in sede di legittimità.
Con il sesto motivo è stata la violazione e falsa applicazione dell’art. 182 bis L.F..
Lamenta la ricorrente che il Tribunale ha immediatamente deciso il ricorso per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione senza attendere il decorso de l termine di giorni 30 per l’opposizione dei creditori, vera condizione di procedibilità di tale ricorso. Rileva che, così decidendo, il procedimento per l’omologa dell’accordo di ristrutturazione è unico ed unitario e non si svolge in fasi distinte.
11. Il motivo è inammissibile, avendo correttamente la Corte d’Appello evidenziato che il termine di 30 giorni in oggetto è stabilito nell’interesse dei creditori e non del debitore, con la conseguenza che la ricorrente è carente d’interesse nel lamentarne l’inosservanza.
12. Con il settimo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 158 c.p.c. per non avere la Corte d’Appello rilevato il difetto di legittimazione del P.M. che ha presentato l’istanza di fallimento.
Ad avviso della ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe ritenuto sussistente la legittimazione del P.M. per il solo fatto dell’esistenza di alcuni procedimenti penali da cui lo stesso avrebbe tratto la notitia decoctionis , ritenendo indifferente se, in concreto, dagli atti di quei procedimenti potesse o meno desumersi il suo stato di decozione.
13. Il motivo è inammissibile.
La ricorrente non ha colto la ratio decidendi su tale punto, avendo la Corte d’Appello affermato che dalla lettura del ricorso per dichiarazione di fallimento presentato dal P.M. emergeva che quest’ultimo era venuto a conoscenza dello stato d’insolvenza nell’ambito del procedimento penale n. 8276/2016. Dunque, il P.M. ha presentato istanza di fallimento dopo aver effettuato una valutazione in concreto sull’esistenza dello stato di insolvenza della ricorrente, demandando poi l’accertamento di tale stato all’organo competente (il tribunale fallimentare).
14. Con l’ottavo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 158 c.p.c. per non avere la Corte d’Appello rilevato il vizio relativo alla costituzione del Collegio che ha pronunciato la sentenza di fallimento, per averne fatto parte un magistrato in relazione al quale sussisteva una causa di astensione obbligatoria ex art. 51 comma 1° n. 4 c.p.c., derivante dall’essersi lo stesso già espresso in precedenza sullo stato d’insolvenza della ricorrente.
Si contesta la motivazione con cui la Corte ha ritenuto insussistente il vizio, per non avere la ricorrente tempestivamente fatto valere la causa di astensione obbligatoria. Sul punto, rileva di non aver avuto un interesse attuale o, comunque, la possibilità di esercitare la facoltà di ricusazione, in virtù, in un primo tempo, della sovrapposizione tra il procedimento prefallimentare a suo carico ed il procedimento avviato a seguito dell’istanza ex art. 161 comma 6° c.p.c. (con prevalenza di quest’ultimo) e, successivamente, della coincidenza temporale tra l’emissione del decreto di inammissibilità del ricorso per l’omologazione del ricorso ex art. 182 bis L.F. e della pronuncia della sentenza di fallimento, contestualità che ha impedito alla società ricorrente di proporre istanza di ricusazione.
15. Il motivo è infondato.
Premesso che la doglianza della ricorrente attiene, nella sostanza, non tanto al dedotto vizio di costituzione del giudice, quanto alla
violazione del diritto di difesa, per non essere stata posta nelle condizioni di esercitare la facoltà di ricusazione, va osservato che, dalla stessa ricostruzione della ricorrente, deve escludersi che tale violazione sia stata perpetrata.
Come detto, la ricorrente ritiene che uno dei componenti del Collegio che ha pronunciato la sentenza di fallimento, dott. NOME COGNOME si trovasse in una situazione di astensione obbligatoria, in quanto lo stesso era G.D. dei fallimenti RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e si era, altresì, pronunciato sull’istanza formulata dalla Procura della Repubblica di Lecce, di data 18-20.1.2021, di estensione del fallimento alla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e altre società in virtù della dedotta esistenza di una società di fatto tra queste ultime società e le fallite. Il G.D. in questione aveva ritenuto di non dar corso all’istanza del P.M., rilevando che dalla stessa istanza emergeva che le società cui si voleva estendere il fallimento versavano in stato di insolvenza, con conseguente possibilità di avanzare autonoma istanza di fallimento.
L’odierna ricorrente è stata convocata per l’udienza del 20.4.2021 innanzi al predetto G.D. per la discussione dell’istanza di fallimento ed ha depositato in data 19.4.2021 il ricorso ex art. 161 comma 6° L.F.
Va osservato che l’art. 52 comma 2° c.p.c. dispone che l’istanza di ricusazione deve essere depositata in cancelleria due giorni prima dell’udienza se al ricusante è noto il nome dei giudici che sono chiamati a trattare o decidere la causa.
Dunque, essendo l’udienza del 20.4.2021 già fissata per la discussione dell’istanza di fallimento, la ricorrente, che ben conosceva il nominativo del G.D. designato sin dal marzo 2021 (vedi pag. 35 del ricorso), avrebbe dovuto depositare l’istanza di ricusazione due giorni prima di tale udienza, ovvero il 18.4.2021, a nulla rilevando che il giorno dopo (19.4.2021) avrebbe depositato il
ricorso ex art. 161 comma 6° L.F.. Il procedimento prefallimentare non è stato cancellato, ma ne è stata solo differita la trattazione all’esito della trattazione della procedura minore, cui è stato riunito (vedi pag. 7 ricorso).
In ogni caso, la ricorrente avrebbe potuto quantomeno proporre istanza di ricusazione in vista dell’udienza del 20.7.2021, che era stata convocata ‘per i provvedimenti ex art. 162 l.fall. ed eventualmente per l’esame delle istanze di fallimento’. Né è accoglibile la deduzione, già da questo Collegio confutata al punto 11 (in relazione al sesto motivo), secondo cui quell’udienza non sarebbe potuta essere tenuta in quanto il Tribunale avrebbe dovuto attendere il decorso del termine di 30 giorni stabilito dall’art. 182 bis comma 4° L.F..
16. Con il nono motivo è stata dedotta la nullità della sentenza ex art. 360 comma 1° n. 4 c.p.c. per violazione dei principi del giusto processo e del contraddittorio.
Espone la ricorrente che la Corte d’Appello è incorsa nelle predette violazioni per aver ritenuto lo stato di insolvenza in difetto di qualsivoglia accertamento sul punto, tenendo conto esclusivamente dell’elaborato peritale della curatela, con un’inammissibile inversione dell’onere della prova.
17. Il motivo è infondato.
Va osservato che il giudice, nella valutazione del materiale probatorio, secondo il proprio prudente apprezzamento, può valutare le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che demanda in via esclusiva al giudice del merito la ricostruzione in fatto della vicenda.
La circostanza che la Corte d’Appello abbia valorizzato la perizia contabile della curatela non integra certo una violazione dei principi del giusto processo e del contraddittorio, essendo la ricorrente
stata posta nelle condizioni di confutarne le conclusioni, facoltà che, peraltro, nemmeno ha esercitato, atteso che nel motivo si è limitata ad invocare la violazione di norme processuali, senza minimamente confrontarsi con le argomentazioni di merito. Né possono essere censurati i giudici di merito per non aver disposto CTU, avendo questa Corte anche recentemente osservato (vedi Cass. n. 326/2020), che la consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio diverso dalla prova vera e propria, sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario.
Con il decimo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 L.F..
Deduce la ricorrente che i giudici di merito hanno erroneamente ritenuto la sua insolvenza in difetto dei necessari indici esteriori idonei a manifestare all’esterno la condizione del debitore, quali l’assoluta mancanza di istanze di fallimento, l’ingente esposizione debitoria, tuttavia, inesigibile per effetto della sospensione ex lege della riscossione esattoriale disposta dalla normativa emergenziale.
Si censura la sentenza impugnata anche nella parte in cui ha escluso la pronta liquidabilità dei beni immobili sul rilievo che sugli stessi insistevano un’ipoteca e due pignoramenti.
Con l’undicesimo motivo è stato dedotto l’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c..
Espone la ricorrente che il giudice d’appello non ha considerato che, come invocato nel giudizio di reclamo (pag. 44 atto introduttivo e note autorizzate), i debiti erariali erano inesigibili in ragione della sospensione della riscossione esattoriale disposta dalla normativa emergenziale.
Inoltre, la Corte aveva omesso di considerare che la società ricorrente aveva raggiunto accordi di ristrutturazione con creditori
che rappresentano il 15% dei titolari dei crediti e che il Tribunale di Lecce aveva rigettato l’istanza di fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, presentata dallo stesso P.M. che aveva chiesto il fallimento della ricorrente.
20. Il decimo e undicesimo motivo, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni, sono inammissibili.
Va detto, in primo luogo, che è assolutamente inconferente il difetto di indici esteriori idonei a manifestare all’esterno la condizione di insolvenza del debitore, atteso che tale requisito è stato accertato non con i parametri delle società in continuità aziendale, ma con quelli delle società in liquidazione, ovvero per l’inidoneità dell’attivo fallimentare a consentire la soddisfazione integrale dei debiti.
In ordine alla dedotta inesigibilità dei debiti erariali, tale censura è palesemente generica, e comunque non decisiva, atteso che, in base alla normativa emergenziale citata dalla ricorrente, è stata ex lege sospesa la riscossione esattoriale in relazione ai soli pagamenti aventi scadenza nel periodo di sospensione nonché la notifica di nuove cartelle esattoriali. La ricorrente, sul punto, non ha fornito nessun dettaglio in ordine ai suoi debiti erariali, ovvero quando erano andati in scadenza i versamenti dovuti, se erano state notificate nuove cartelle in relazione a debiti pregressi. L’unico dato certo risultante dalla ricostruzione della Corte d’Appello è che si trattava di debiti erariali molto datati, tanto è vero che l’ Agenzia delle Entrate aveva già iscritto ipoteca legale per l’importo di € 464.299,46 addirittura nel lontano 2011 (vedi pagg. 12 e 13 della sentenza impugnata).
Anche le censure della ricorrente, riguardanti il raggiungimento dell’accordo con alcuni creditori, sono inammissibili in quanto del tutto irrilevanti, in difetto di omologa dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.
Infine, le censure sulla pronta liquidabilità del proprio patrimonio e sull’omesso esame dell’esito dell’istanza di fallimento di altra società sono inammissibili, perché, rispettivamente, palesemente di merito (sulla esigenza di pronta liquidazione dell’attivo di una società in liquidazione e sulla sua difficoltà, come elemento sintomatico dell’inidoneità dei beni a soddisfare integralmente la massa creditoria, vedi Cass. n. 28193/2020; vedi anche Cass. n. 23437/2017), e circostanza del tutto irrilevante, oltre che nuova. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 12.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 11.12.2024