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Accordo di ristrutturazione e fallimento: la Cassazione

Un creditore aveva accettato un pagamento ridotto tramite un accordo di ristrutturazione del debito. Successivamente, l’azienda debitrice è stata dichiarata fallita. I tribunali di merito avevano ammesso il creditore al passivo fallimentare solo per l’importo ridotto. La Corte di Cassazione ha ribaltato questa decisione, stabilendo che la dichiarazione di fallimento provoca la risoluzione automatica dell’accordo di ristrutturazione per impossibilità di esecuzione. Di conseguenza, il creditore ha il diritto di insinuare nel fallimento il suo credito per l’intero importo originario.

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Accordo di Ristrutturazione e Fallimento: La Decisione della Cassazione

Un accordo di ristrutturazione rappresenta una speranza per un’azienda in crisi e un compromesso per i suoi creditori. Ma cosa succede se, nonostante gli sforzi, l’azienda fallisce? Il creditore che ha accettato un pagamento ridotto può tornare a pretendere l’intera somma originaria? Con la sentenza n. 33446/2024, la Corte di Cassazione ha fornito una risposta chiara e di fondamentale importanza, stabilendo un principio a tutela dei creditori.

Il Caso: Dall’Accordo di Ristrutturazione alla Dichiarazione di Fallimento

La vicenda riguarda una società creditrice che vantava un credito di oltre un milione di euro nei confronti di un’altra impresa. Per favorire il superamento della crisi di quest’ultima, le parti avevano stipulato un accordo di ristrutturazione dei debiti, omologato dal tribunale. In base a tale patto, la società creditrice aveva accettato di ricevere una somma notevolmente inferiore, circa il 10% del debito originario, a saldo e stralcio della propria posizione.

Tuttavia, il piano di risanamento non ha avuto successo e, tempo dopo, la società debitrice è stata dichiarata fallita. A questo punto, la società creditrice ha presentato domanda di ammissione al passivo fallimentare per l’intero importo del credito originario, sostenendo che il fallimento avesse reso l’accordo di ristrutturazione inefficace.

La Posizione dei Giudici di Merito

Sia il giudice delegato che il Tribunale, in sede di opposizione, hanno respinto la richiesta della creditrice. Secondo la loro interpretazione, l’accordo di ristrutturazione, una volta omologato, era ancora vincolante tra le parti. Poiché la creditrice non ne aveva mai chiesto formalmente la risoluzione per inadempimento prima della dichiarazione di fallimento, poteva insinuarsi nel passivo solo per la somma ridotta concordata. Questa visione legava la sorte dell’accordo all’iniziativa processuale del creditore, lasciandolo esposto al rischio di un adempimento solo parziale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha completamente ribaltato la prospettiva, accogliendo il ricorso della società creditrice. Il ragionamento dei giudici supremi si fonda su un’analisi della natura e della finalità dell’accordo di ristrutturazione.

La Causa Concreta dell’Accordo e l’Impossibilità Sopravvenuta

La Corte ha chiarito che la causa concreta di un accordo di ristrutturazione è il superamento della crisi dell’impresa e il risanamento aziendale. La dichiarazione di fallimento è un evento che rende oggettivamente e definitivamente impossibile l’attuazione del piano di risanamento. Di conseguenza, la causa stessa dell’accordo viene meno.

Questo scenario, secondo la Cassazione, integra una fattispecie di impossibilità giuridica sopravvenuta della prestazione, disciplinata dall’art. 1463 del codice civile. Il fallimento non è un semplice inadempimento, ma un evento che determina lo scioglimento automatico e di diritto dell’accordo. Non è quindi necessaria alcuna azione giudiziale da parte del creditore per chiederne la risoluzione: essa è un effetto diretto e inevitabile della sentenza di fallimento.

La Distinzione con il Concordato Preventivo

Un punto cruciale della sentenza è la distinzione tra l’accordo di ristrutturazione e il concordato preventivo. Mentre per il concordato la legge prevede un termine specifico per chiederne la risoluzione in caso di inadempimento, nessuna norma analoga esiste per gli accordi ex art. 182-bis. L’assenza di tale previsione normativa rafforza la tesi della risoluzione automatica, che opera per proteggere il creditore che aveva dato fiducia al piano di risanamento.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio di diritto fondamentale: la dichiarazione di fallimento successiva all’omologazione di un accordo di ristrutturazione ne determina l’automatica risoluzione per impossibilità sopravvenuta. Questo comporta la “riespansione” dell’obbligazione originaria.

In termini pratici, questo significa che il creditore aderente all’accordo ha il diritto di essere ammesso al passivo fallimentare per l’intero importo del suo credito iniziale, al netto di eventuali acconti già riscossi e non soggetti ad azione revocatoria. Questa decisione rafforza la posizione dei creditori, incentivandoli a partecipare a soluzioni negoziate della crisi d’impresa con la sicurezza che, in caso di fallimento, i loro diritti originari verranno ripristinati.

Cosa succede a un accordo di ristrutturazione se l’azienda debitrice fallisce?
Secondo la Corte di Cassazione, la dichiarazione di fallimento provoca la risoluzione automatica dell’accordo di ristrutturazione. L’accordo cessa di produrre i suoi effetti perché il suo scopo principale, ovvero il risanamento dell’azienda, è diventato impossibile da raggiungere.

Il creditore che ha firmato un accordo di ristrutturazione deve agire in giudizio per scioglierlo dopo il fallimento del debitore?
No. La Corte ha stabilito che la risoluzione è un effetto automatico del fallimento per impossibilità giuridica sopravvenuta. Non è quindi necessaria alcuna iniziativa o azione legale da parte del creditore per far valere lo scioglimento dell’accordo.

Dopo il fallimento del debitore, il creditore può chiedere l’ammissione al passivo per l’intero credito originario o solo per la somma ridotta?
Il creditore ha il diritto di chiedere l’ammissione al passivo fallimentare per l’intero importo del suo credito originario. La risoluzione dell’accordo fa rivivere l’obbligazione iniziale, consentendo al creditore di far valere la sua posizione creditoria per intero, detratti solo gli eventuali acconti già ricevuti e non revocabili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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