Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33446 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 1 Num. 33446 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n.11740/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al ricorso
– ricorrente
–
contro
FALLIMENTO di RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al controricorso
– controricorrente – avverso il decreto del Tribunale di Napoli n. 4046/2018 depositato il 09/3/2018;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il giudice delegato al fallimento di RAGIONE_SOCIALE (dichiarato in data 18 settembre 2015) ammetteva al passivo della procedura il credito di RAGIONE_SOCIALE pari ad € 1.036.951,18, nella minor misura di € 103.695,00 , corrispondente alla somma offerta in pagamento dalla società poi fallita con l’accordo per la ristrutturazione del debito stipulato (anche) con detta creditrice, perfezionatosi il 12 dicembre 2011 e omologato il 6 aprile 2012: riteneva che tale accordo, di carattere remissorio, fosse ancora vincolante fra le parti perché l’istante non ne aveva mai chiesto la risoluzione.
L’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE contro il decreto di esecutività dello stato passivo veniva respinta dal Tribunale di Napoli.
Il giudice collegiale osservava che gli accordi di cui all’art. 182 -bis l. fall., pur essendo riconducibili nell’alveo delle procedure concorsuali alternative al fallimento, mantengono una natura sostanzialmente privatistica, hanno una propria autonomia giuridica, sono connotati da singole cause concrete e manifestano la loro natura concorsuale solo in sede di omologazione e con riferimento ai loro effetti.
Evidenziava poi che la dichiarazione di fallimento successiva all’omologazione di un accordo ex art. 182 bis l. fall. determina l’impossibilità di esecuzione ed attuazione del complessivo piano di ristrutturazione, ma non incide sulla possibilità di realizzazione della causa dei singoli accordi, che dunque rimangono pienamente vincolanti fra le parti.
Riteneva, di conseguenza, che la società opponente, che non aveva richiesto la risoluzione del contratto stipulato ai sensi dell’art. 182 –
bis l. fall. prima della sentenza dichiarativa, o quanto meno ex art. 72 l. fall., non potesse far valere nel fallimento l’originario credito nella sua totalità, in quanto il negozio all’epoca concluso continuava a produrre i propri effetti giuridici sostanziali, in coerenza con la sua autonoma causa negoziale.
Rilevava, inoltre, l’inammissibilità delle domande di accertamento giudiziale di risoluzione dell’accordo per grave inadempimento della controparte e di riconoscimento della prededucibilità del minor credito ammesso, insinuato, proposte soltanto in sede di opposizione a stato passivo, in ragione del loro carattere di novità.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione di tale decreto, pubblicato in data 9 marzo 2018, prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di RAGIONE_SOCIALE
La causa è stata rimessa in pubblica udienza al fine di: i) prendere in esame la natura dell’accordo di ristrutturazione; ii) verificare poi quali siano le sue sorti in caso di successivo fallimento; iii) assodare se l’eventuale venir meno del negozio avvenga automaticamente o soltanto a seguito di iniziativa del creditore contraente.
La sostituta NOMECOGNOME ha depositato conclusioni scritte sollecitando il rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 182bis , 72 e 52 l. fall., 1322, 1323, 1325, 1236, 1453, 1458 e 1463 cod. civ..
Parte ricorrente sostiene che la ristrutturazione dei debiti rappresenta uno strumento di soluzione concordata dell’esposizione debitoria cumulata dall’impresa e che il relativo accordo ha come propria causa concreta il superamento della crisi dell’imprenditore,
perseguito dalle parti nell’ambito dell’assetto dei propri reciproci interessi: una volta che la dichiarazione di fallimento determini in via definitiva l’impossibilità di esecuzione dell’accordo e l’irrealizzabilità della sua causa, rappresentata dalla finalità obiettivamente perseguita dalle parti, l’accordo stesso viene meno e non è possibile ritenere che ne sopravviva solo il contenuto parzialmente remissorio, divenuto obiettivamente ineseguibile.
Il credito, dunque, andava ammesso per l’intero, sia pure in moneta fallimentare.
Il motivo è fondato.
5.1 Questa Corte, in passato, ha avuto modo di chiarire -con un costante orientamento che il collegio condivide e a cui intende dare continuità che l’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182bis l. fall. appartiene agli istituti del diritto concorsuale, come è dato desumere dalla sua disciplina, che presuppone, da un lato, forme di controllo e di pubblicità sulla composizione negoziata (in punto di condizioni di ammissibilità, deposito presso il tribunale competente, pubblicazione al registro delle imprese e necessità di omologazione) e, dall’altro, effetti protettivi (quali i meccanismi di protezione temporanea e l’esonero dalla revocabilità di atti, pagamenti e garanzie posti in essere in sua esecuzione), tipici dei procedimenti concorsuali (si vedano in questo senso, ex multis , Cass. 1182/2018, Cass. 9087/2018, Cass. 40913/2021, Cass., Sez. U., 42093/2021, § 49).
5.2 La legge fallimentare, a differenza di quanto stabilisce per il concordato, non prevede che l’accordo di ristrutturazione possa essere dichiarato risolto per inadempimento.
Il difetto di una norma procedurale che preveda la risoluzione degli accordi di ristrutturazione non può essere superato attraverso il ricorso all’analogia con la disciplina concordataria, non solo perché quest’ultima non è compatibile con quella degli accordi di
ristrutturazione, ma anche (e soprattutto) perché manca l’ eadem ratio che giustificherebbe l’operazione.
5.2.1 Infatti, quanto al primo profilo, l’accordo di ristrutturazione, pur prevedendo la presentazione di un piano che, per essere tale, non può che includere un termine per il suo completo adempimento, non ha organi che, come il commissario giudiziale, siano deputati a sorvegliare l’esecuzione della procedura e a riferire al giudice ogni fatto da cui possa derivare pregiudizio ai creditori ex art. 185, comma 1, l. fall., o che, come il liquidatore, debbano provvedere con periodicità semestrale a redigere un rapporto riepilogativo delle attività svolte, con indicazione di tutte le informazioni di rilievo del periodo, da comunicare ai singoli creditori, a mente del combinato disposto degli artt. 182, comma 6, e 33, comma 5, l. fall..
Nell’ambito di questa procedura rimarrebbe così particolarmente difficoltoso (se non impossibile) per il singolo creditore monitorare l’andamento delle attività di esecuzione del piano, apprezzarne la rilevanza in termini di importanza dell’inadempimento ed assumere l’iniziativa volta a sollecitare la dichiarazione di risoluzione entro il termine di un anno dalla scadenza dell’ultimo adempimento.
Analoghe problematicità incontrerebbe il giudicante nel vagliare una simile domanda, in mancanza di fonti di informazione diverse dallo stesso debitore da cui poter attingere i dati di rilievo.
5.2.2 Rispetto al secondo profilo va sottolineato che la risoluzione del concordato assolve il precipuo scopo di restituire al creditore anteriore la libertà di agire senza limiti concordatari, per l’intero, facendo venir meno l’effetto obbligatorio dell’omologa per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all’art. 161 l.fall.; l’omologazione dell’accordo ex art. 182bis della medesima legge non determina, invece, un simile effetto, attesa la mancanza, nell’ambito di tale procedura, di una norma della stessa portata dall’art. 184, comma 1, l. fall., ma – ben
diversamente e più limitatamente – rende non suscettibili di azione revocatoria gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato, ex art. 67, comma 3, lett. e), l. fall., comporta la prededucibilità dei crediti derivanti da finanziamenti in qualsiasi forma effettuati in esecuzione degli accordi e in funzione della domanda di omologazione dei medesimi (purché la prededuzione sia espressamente prevista nel provvedimento di omologa), ai sensi dell’art. 182 -quater l. fall., o assume rilievo ai fini della quantificazione del danno risarcibile a mente dell’art. 2486 cod. civ..
Nell’accordo di ristrutturazione, dunque, non vi è alcuna necessità di procedere alla risoluzione dell’intera procedura a seguito dell’inadempimento del debitore, perché la falcidia consegue alla conclusione dell’accordo fra singolo creditore e debitore e non costituisce l’effetto generalizzato del provvedimento di omologa per tutti i creditori anteriori all’avvio della procedura.
5.3 La dichiarazione di fallimento (che priva il fallito della disponibilità dei suoi beni e comporta l’inefficacia dei pagamenti da lui eseguiti, ai sensi degli artt. 42 e 44 l. fall.) impedisce, all’evidenza, l’adempimento degli eventuali accordi di ristrutturazione in precedenza conclusi e posti a base della domanda di omologa ex art. 182bis l. fall..
L’attuazione del piano posto a base della procedura concorsuale e finalizzato alla risoluzione della condizione di crisi dell’imprenditore diviene così impossibile per il sopravvenire di un evento che, sovrapponendosi alla procedura concorsuale precedentemente avviata ed omologata, lo rende irrealizzabile.
Il fallimento, dunque, incide direttamente sull’istituto di regolazione della crisi in esame – determinando automaticamente, e senza necessità di istanza alcuna, il suo venir meno per impossibilità sopravvenuta -e, indirettamente, sulla sorte dei singoli accordi di ristrutturazione dei debiti, comportando l’irrealizzabilità della causa
di risanamento posta a base di ciascuno dei contratti e determinante per la loro attuazione, cui consegue la risoluzione di diritto per impossibilità giuridica sopravvenuta della prestazione ex art. 1463 cod. civ. e la riespansione dell’originaria obbligazione (risultando così non necessario, da parte dei creditori aderenti, il ricorso al rimedio civilistico dell’azione giudiziale di risoluzione ex art. 1453 e ss. cod. civ.).
Una chiara prova in questo senso viene, del resto, dal tenore dell’art. 12 l. 3/2012, che, nel disciplinare l’omologazione dell’accordo di composizione della crisi, ha previsto espressamente al suo comma 5 che « la sentenza di fallimento pronunciata a carico del debitore risolve l’accordo », rendendo esplicito quello che è un effetto automatico ed ineludibile della dichiarazione di fallimento sulla procedura concorsuale in precedenza omologata.
5.5 I principi appena espressi non sono affatto in contrasto con gli approdi cui è giunta la giurisprudenza di questa Corte in tema di effetti del fallimento omisso medio sul concordato in precedenza omologato.
A questo proposito la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di chiarire che, « qualora il fallimento sia stato dichiarato quando è ancora possibile instare per la risoluzione ex art. 186 l.fall. della procedura concordataria, i creditori non sono tenuti a sopportare gli effetti esdebitatori e definitivi del concordato omologato, a norma dell’art. 184 l. fall., posto che l’attuazione del piano è resa impossibile per l’intervento di un evento come il fallimento che, sovrapponendosi al concordato medesimo, inevitabilmente lo rende irrealizzabile; qualora invece sia scaduto il termine per la risoluzione del concordato di cui all’art. 186, co. 3, l.fall. (…) ed il piano concordatario si sia dunque consolidato, senza che i creditori (pur potendo) si siano attivati per chiedere la risoluzione, il debitore continua ad essere obbligato al suo adempimento e i creditori (anche nuovi) e il P.M. possono
promuovere le iniziative dirette a fare accertare l’insolvenza del debitore ‘nella citata misura falcidiata”(così Cass. nn. 26002/18; 12085/20) » (Cass., Sez. U., 4696/2022, § 6.1; nello stesso senso, da ultimo, Cass. 15862/2024).
È vero che gli effetti del fallimento sul concordato e sugli accordi di ristrutturazione dei debiti sono i medesimi, in quanto in entrambi i casi l’apertura della procedura maggiore rende impossibile l’attuazione del piano e irrealizzabili le finalità di risanamento.
Nel caso del concordato, tuttavia, esiste una norma (l’art. 186, comma 3, l. fall.) che impone che la risoluzione del concordato -in conseguenza della domanda dei creditori o della dichiarazione di fallimento omisso medio – intervenga entro precisi termini (un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dal concordato), onde evitare il consolidamento del piano concordatario e della falcidia ivi prevista.
In assenza di un’ analoga disposizione normativa nell’ambito della disciplina degli accordi di ristrutturazione -dove il singolo creditore non subisce gli effetti dell’omologa, ex art. 184, comma 1, l. fall., anche se dissenziente o non partecipante, ma aderisce sua sponte all’accordo che prevede la falcidia del proprio credito, onde favorire la risoluzione della crisi del suo debitore -, non rimane che constatare come l’intervento del fallimento renda sempre irrealizzabile questa procedura e il piano ad essa sotteso.
In altri termini, l’omologazione del concordato non comporta di per sé novazione dell’obbligazione anteriore, quanto soltanto il diverso e più circoscritto effetto della parziale inesigibilità del credito (cfr. Cass. 15029/2024); nel concordato, una volta che questa parziale inesigibilità sia divenuta definitiva per l’intero decorso del termine entro cui è possibile sollecitare la risoluzione, il fallimento successivamente intervenuto non potrà che prendere in considerazione il credito nella misura falcidiata; altrimenti anche nel concordato, al pari di quanto avviene negli accordi di
ristrutturazione, nel momento in cui il fallimento si sovrappone alla procedura minore rendendola irrealizzabile, l’inesigibilità del credito perde la sua fonte giustificativa e non vincola oltre i creditori.
5.6 Non osta a questa interpretazione neppure il disposto dell’art. 67, comma 3, lett. e), l. fall., secondo cui « non sono soggetti all’azione revocatoria … gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182 -bis, nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all’articolo 161 ».
La norma, all’evidenza, lascia esenti da revocatoria i pagamenti eventualmente effettuati in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione, cosicché in caso di successivo fallimento il creditore che abbia stipulato un simile negozio potrebbe non solo trattenere quanto già ricevuto in pagamento, ma anche insinuarsi per l’intera somma residua.
Il che è esattamente quanto accade nel concordato, qualora il fallimento sia dichiarato quando è ancora possibile sollecitarne la risoluzione, cosicché ogni disparità fra i due istituti rimane collegata alla diversa disciplina della parziale inesigibilità del credito propria del concordato, che diventa definitiva una volta decorso il termine di cui all’art. 186, comma 3, l. fall..
La particolare disciplina prevista dall’art. 67, comma 3, lett. e), l. fall. trova poi la propria giustificazione nel favor espresso dal legislatore verso le procedure concorsuali minori, attraverso un’incentivazione dei creditori a sostenere la scelta del debitore di utilizzare gli strumenti posti a sua disposizione per risolvere la situazione di crisi in cui si venga a trovare.
5.7 In conclusione occorre fissare il seguente principio: la dichiarazione di fallimento successiva all’omologazione degli accordi di ristrutturazione fa sì che l’attuazione del piano sia resa impossibile per l’intervento di un evento che, sovrapponendosi alla
procedura minore, inevitabilmente lo rende irrealizzabile; ne discende il venir meno della causa di risanamento posta a base di ciascuno dei singoli accordi di ristrutturazione dei debiti, cui consegue la loro risoluzione per impossibilità giuridica sopravvenuta della prestazione ex art. 1463 cod. civ. e la riespansione dell’originaria obbligazione, da ammettere al passivo del fallimento nel suo iniziale ammontare, detratti i pagamenti eventualmente intervenuti e non più revocabili ex art. 67, comma 3, lett. e), l. fall.
L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento, proprio, del secondo motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 182 bis, 93, 95,98, e 101 l.fall. per avere il Tribunale erroneamente ritenuto nuova la domanda subordinata di ammissione in prededuzione sulla minor somma ammessa, giacché la decisione della domanda assorbita è oramai divenuta superflua per effetto dell’accoglimento del primo mezzo, con conseguente sopravvenuta carenza di interesse al suo esame.
Il provvedimento impugnato, dunque, deve essere cassato, con rinvio al Tribunale di Napoli, il quale, nel procedere a nuovo esame della causa, si atterrà ai principi sopra illustrati.
Le spese del giudizio di legittimità debbono essere integralmente compensate, ex art. 92, comma 2, cod. proc. civ., in ragione dell’assoluta novità della questione trattata .
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Napoli in diversa composizione; compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma in data 15 ottobre 2024.
Il Consigliere estensore La Presidente
NOME COGNOME NOME