Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10059 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10059 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
1. La Corte di Appello di Salerno ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME (dipendente dell’Agenzia delle Entrate con la qualifica di funzionario Area III -F1, in servizio presso l’Ufficio Legale della Direzione Provinciale di Salerno) avverso la sentenza del Tribunale di Salerno, che aveva respinto la domanda del medesimo, volta ad accertare l’infondatezza della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per 15 giorni con trattamento retributivo ridotto, a lui irrogata dall’Agenzia delle Entrate.
Il COGNOME, in rappresentanza della RAGIONE_SOCIALE di NOME ed in forza di due atti di procura speciale del 3.9.2012, aveva ceduto pro solvendo la somma di € 200.000,00 quale parte del credito vantato dalla suddetta società nei confronti dell’Ospedale San Carlo di Potenza e con atto del 3.12.2015 aveva ceduto pro solvendo l’intero credito di € 772.000,00 vantato nei confronti di ASUR Marche ; L’Agenzia delle Entrate aveva pertanto ritenuto che il COGNOME avesse violat o l’art. 60 del dPR n. 3/1957 , l’art. 53 d.lgs. n. 165/2001, l’art. 4 del Regolamento di indipendenza e autonomia tecnica del personale delle Agenzie Fiscali di cui al DPR n. 18/2002 e la circolare n. 2004/74427.
La Corte territoriale ha escluso la violazione del principio di immodificabilità in peius della contestazione disciplinare, atteso che nell’atto dispositivo conclusivo era stato superato il richiamo all’art. 53 d.lgs. n. 165/2001, contenuto nella contestazione disciplinare.
Ha ritenuto che l’attività posta in essere dal Gruosso fosse in contrasto con l’art. 60 del dPR n. 3/1957 , in quanto per entrambe le procure la determinatezza dell’affare era stata inficiata dalla mancanza di giustificazione
causale dell’atto di gestione, carente di indicazioni sul carattere oneroso o liberale della stipulanda cessione, sulla sussistenza del consenso del debitore ceduto, nonché su condizioni e tempi di efficacia della medesima cessione.
Il giudice di appello ha evidenziato che gli affari demandati in rappresentanza al Gruosso si erano discostati in modo palese dagli interessi della società e che gli ampi poteri del procuratore soddisfacevano interessi suoi propri, e non quelli della società; l’esecuzione di tali poteri si era manifestamente posta in conflitto di interessi con la società e ne aveva determinato una gestione contrastante con gli scopi sociali.
Ha osservato che il rilascio di procura speciale con detto scopo rientra nell’atto di gestione della società, non essendo stata la cessione dei crediti compiuta come un prelievo di fondi dalle casse della società, all’insaputa dell’accomandatario, ma con il suo consen so, in quanto rappresentato; ha dunque ritenuto che il procurator accomandante fosse di fatto divenuto un accomandatario occulto.
Ha valorizzato le dichiarazioni riportate nel verbale di audizione del COGNOME, che aveva espresso le intenzioni di ripianamento dei debiti parlando in prima persona, confermando che la società era inattiva e che i crediti della società erano stati ceduti per i finanziamenti della costruzione di due villette di proprietà sua, e non della società; dalle medesime dichiarazioni risultava inoltre che le due procure speciali e i due atti di cessione compiuti dal COGNOME avevano costituito nei primi quattro anni di vita della società gli unici atti rilevanti, non operativi nel settore edile, ma garanti di esposizioni debitorie altrui, né il COGNOME aveva contestato la rilevanza delle operazioni compiute nel proprio interesse, o dimostrato altri atti rilevanti di gestione della società nel periodo di inattività.
Ha poi evidenziato che il COGNOME, unitamente al padre NOME e al fratello NOME, era stato sottoposto a procedimento penale per il reato di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74/2000 per la condotta di fraudolenta sottrazione al pagamento delle imposte, per la somma di € 972.000,00 r ealizzata da COGNOME NOME e iscritta a ruolo; rispetto a tale condotta, riferibile alla data di cessione del ramo di azienda del 30.3.2011 e segnalata in data 9.6.2017 dal Capo Area sud della Direzione Audit dell’Agenzia de lle Entrate, vi era stata richiesta di archiviazione
per prescrizione formulata dal PM presso il Tribunale di Potenza in data 25.8.2017 ed era stata accolta dal GIP con decreto del 2.11.2017.
Ha pertanto ritenuto che la condotta il COGNOME avesse violato i principi di legalità, imparzialità e buon andamento della P.A., di cui agli artt. 3 e 4 del DPR n. 18/2002, nonché le prescrizioni comportamentali dei dipendenti pubblici di cui all’art. 65 , commi 1 e 3, lett. a) del CCNL del Comparto Agenzie Fiscali per il quadriennio 2002-2005, confermato per il successivo 2006-2009 ed ha evidenziato che le condotte tenute dal COGNOME rientravano nelle violazioni di obblighi disciplinari sanzionate nelle forme di cui agli artt. 65, 66 e 67 del CCNL.
Avverso tale sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
DIRITTO
1.Con il primo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2320, primo comma, cod. civ., nonché dell’art. 1362 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che le procure conferite al Gruosso avevano violato l’art. 2130 cod. civ.
Critica la sentenza impugnata per avere confuso l’attività di amministrazione della società, che spetta al socio amministratore, con la possibilità di trattare l’attività in esterno mediante procura speciale da parte dell’accomandante, che non fa venire meno tale qualità, e per avere tratto il carattere indeterminato delle procure dalla determinatezza delle cessioni di credito.
Riporta il contenuto delle procure conferite al Gruosso in data 3.5.2012 e 26.11.2015, evidenziando che avevano ad oggetto atti giuridici individuati e specifici, essendo state conferite per l’esclusivo compimento di tali affari.
Richiama i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il carattere di specialità della procura conferita dall’accomandatario all’accomandante deve essere necessariamente rapportato alla predeterminazione degli atti che, in virtù di essa, sono conferiti all’accomandante; l’accomandante acquisisce un potere che non gli spetta se gli
atti a lui conferiti sono illimitati e privi di collegamento al singolo determinato ‘affare’ e merita lo stesso trattamento riservato all’accomandatario se effettivamente esplica tale potere.
Il motivo è inammissibile, in quanto e sollecita un giudizio di merito attraverso la rilettura delle procure.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).
Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 7 Statuto dei lavoratori, dell’art. 112 e 420 cod. proc. civ. e di ogni altra norma e principio in materia di corrispondenza tra chiesto e pronunciato; omessa pronuncia su un motivo di appello, in relazione all’art . 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ.
Lamenta l’omessa pronuncia sul secondo motivo di appello, con cui il COGNOME aveva dedotto la violazione dell’art. 7 Statuto dei lavoratori e di ogni altra norma in tema di contestazione, dell’art. 2697, avendo il primo giudice valorizzato, ai fini dell’attività gestoria, la circostanza della cessione per ricevere fidi, poi utilizzati per la costruzione di propri edifici e la pendenza di un procedimento penale poi archiviato, ancorché tali rilievi non fossero stati oggetto di preventiva contestazione e fossero infondati nel merito .
La censura è inammissibile, in quanto il motivo di appello rispetto al quale è denunciata l’omessa pronuncia non aveva carattere decisivo.
La sentenza impugnata è infatti incentrata sul fatto che attraverso il formale conferimento di una procura speciale dai contenuti ampi e dai limiti non definiti, il Gruosso da accomandante era di fatto divenuto un accomandatario occulto.
Deve inoltre rammentarsi che il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo allorquando risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, sicché lo stesso non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (cfr. fra le tante Cass. n. 12652/2020 e Cass. n. 2151/2021); il giudice del merito, infatti, non è tenuto ad esaminare espressamente e singolarmente ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, atteso che ai sensi dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. è necessario e sufficiente che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, con la conseguenza che si devono ritenere disattesi per implicito tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito (Cass. n. 22029/2022).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 4000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della