Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14146 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14146 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28786/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, in qualità di eredi di COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME , rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (EMAIL) giusta procura speciale allegata al ricorso.
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ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello RAGIONE_SOCIALE (EMAIL) che lo rappresenta e difende.
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avverso la sentenza della Corte d’Appello di Ancona n. 774/2021 depositata il 02/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/03/2024 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 15 settembre 2016 il Tribunale di Ancona accoglieva la domanda proposta da COGNOME NOME e COGNOME NOME, nella loro qualità di eredi di COGNOME NOME, e riconosceva il diritto di COGNOME NOME, quale socio garante della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita, a fruire dei benefici di cui alla legge 237/1993, consistenti nell’accollo a carico del bilancio dello RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE garanzie concesse dai soci a favore di cooperative in stato di insolvenza, ed altresì dichiarava inesistente il diritto del RAGIONE_SOCIALE alla ripetizione, nei confronti degli eredi, RAGIONE_SOCIALE somme oggetto dei benefici in questione.
Avverso tale sentenza interponeva appello il RAGIONE_SOCIALE.
Si costituivano, resistendo al gravame, COGNOME NOME e NOME.
2.1. Con sentenza n. 774/2021 del 2 luglio 2021 la Corte d’Appello di Ancona accoglieva l’appello e per l’effetto rigettava la domanda ab origine proposta da COGNOME NOME NOME NOMENOME volta, per un verso, all’accertamento del diritto del loro dante causa COGNOME NOME NOME‘ammissione dei benefici di cui all’art. 1, comma 1 bis, l. 237/1993, e, per altro verso, alla declaratoria di inesistenza del diritto di ripetizione ai sensi del comma 3 bis dell’art. 126 l. 388/2000.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME e NOME propongono ora ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Resiste con controricorso il RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1, cod. proc. civ.
I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ‘Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e segnatamente dell’art. 1273, 1292, 1294 e 1298 cod. civ. in correlazione con l’art. 1 comma 1 bis del D.L. 20/05/1993, n. 149 convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 comma 1 legge 19/07/1993, n. 237 (art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ.).
Lamentano che la corte territoriale non ha considerato l’orientamento della Suprema Corte, secondo cui l’accollo da parte dello RAGIONE_SOCIALE è previsto ex lege , per cui l’effetto liberatorio è immediato e non può essere messo in discussione.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ‘Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e segnatamente dell’art. 115 comma 1 cod. proc. civ., dell’art. 2697 cod. civ., dell’art. 1 comma 1 bis del D.L. 149/1993 e dell’art. 126 comma 3 bis legge 388/2000 e art. 444 cod. proc. pen., (art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ.). Omesso esame di un fatto decisivo e controverso (art. 360 comma 1 n. 5 cod. proc. civ.)’.
Lamentano che la corte territoriale non ha considerato che ai sensi dell’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., la sentenza di patteggiamento non ha efficacia nei giudizi civili e amministrativi, per cui dalla sentenza patteggiata da NOME COGNOME, loro dante causa, non poteva essere fatta discendere una sua responsabilità rilevante in sede civile e tale da costituire presupposto della revoca del beneficio dell’accollo della garanzia da parte dello
RAGIONE_SOCIALE.
3. Il primo motivo è infondato, nella misura in cui prospetta la natura automatica dell’accollo da parte del RAGIONE_SOCIALE ed una sorta di sua conseguente intangibilità.
Il d.l. 20 maggio 1993, n. 149, art. 1, comma 1, bis, (inserito dalla legge di conversione, legge 19 luglio 1993, n. 237) ha previsto la ‘assunzione’ a carico dello RAGIONE_SOCIALE dei debiti contratti dai soci fideiussori di cooperative agricole dichiarate fallite o sottoposte a liquidazione coatta amministrativa.
Dopo un primo orientamento, secondo cui ‘L’assunzione, da parte dello RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE garanzie prestate dai soci di cooperative agricole in favore RAGIONE_SOCIALE cooperative stesse, di cui sia stata previamente accertata l’insolvenza, prevista dall’art. 1, comma 1 bis, del d.l. 20 maggio 1993, n. 149 (convertito, con modificazioni, nella legge 19 luglio 1993, n. 237), ha avuto per effetto la liberazione dei garanti nei confronti dei terzi creditori, a nulla rilevando che tale effetto liberatorio fosse espressamente previsto soltanto nei decreti attuativi della suddetta legge (dd.mm. 2 febbraio 1994 e 2 gennaio 1995), giacché esso era comunque desumibile, in via di interpretazione, dalla finalità della legge ‘ (Cass., 19/02/2013, n. 4014; Cass., 20/04/2017, n. 9959, ed ancora Cass., 26596/2021), l’interpretazione di questa Corte si è consolidata nel senso per cui ‘L’assunzione da parte dello RAGIONE_SOCIALE dei debiti contratti dai soci fideiussori di cooperative agricole dichiarate fallite o sottoposte a liquidazione coatta amministrativa, con conseguente liberazione dei soci-garanti, ai sensi dell’art. 1, comma 1-bis, del d.l. n. 149 del 1993 (inserito dalla legge di conversione n. 237 del 1993), pur essendo un diritto a questi attribuito dalla legge non costituisce un effetto automatico della stessa, ma richiede un provvedimento espresso, da adottare all’esito di un procedimento amministrativo, in conformità con la generale previsione di cui all’art. 2, comma 1,
della l. n. 241 del 1990′ (così Cass., 26/08/2020, n. 17827; Cass., 18071/2019).
3.1. In particolare, infatti, è stato precisato:
che la suddetta norma ha previsto un accollo liberatorio esterno (v. anche Cass., 19/02/2013, n. 4014, Rv. 625211 -01);
che per effetto di esso i soci-garanti sono stati liberati dai propri debiti (v. anche Cass., 19/02/2013, n. 4014, Rv. 625211 -01);
che quello alla liberazione dei debiti, introdotto dalla suddetta legge, costituisce un diritto soggettivo, e non un interesse legittimo (v. anche Cass., Sez. Un., 28/07/2004, n. 14346, Rv. 575695 -01);
che la circostanza che la liberazione del debitore sia un diritto a questi attribuito dalla legge non significa, però, che essa costituisca un effetto automatico della legge stessa.
Ai fini della liberazione dell’interessato sono infatti richiesti, da un lato, la domanda dell’interessato, indice evidente che non si verifica ipso iure , e, dall’altro, il possesso di una serie di requisiti da parte dell’istante, che spettava all’autorità amministrativa verificare, mediante il procedimento amministrativo disciplinato dal d.m. 2 febbraio 1994, n. 80161 e dalla Circolare del ministero per le politiche agricole 23 agosto 1994, n. 196 (in Gazz. Uff., 23 agosto 1994 n. 196).
I suddetti provvedimenti amministrativi hanno previsto:
l’obbligo, per gli interessati, di presentare un’apposita domanda entro un termine prestabilito, ed indirizzata al curatore od al commissario liquidatore della RAGIONE_SOCIALE in decozione (d.m. 2 febbraio 1994, art. 3, comma 2);
l’obbligo, per il curatore od il commissario liquidatore, di accertare la sussistenza dei requisiti di legge (ed in particolare, che la garanzia prestata dal socio risultasse
da ‘documentazione certa e inoppugnabile’, ed il debito garantito fosse stato già ammesso al passivo o, in mancanza di deposito dello stato passivo, fosse certificato dal curatore o dal commissario (d.m. 2 febbraio 1994, art. 2, comma 1);
l’inserimento dei richiedenti in un elenco, redatto dal RAGIONE_SOCIALE;
la comunicazione, dal ministero al curatore od al commissario, dell’avvenuta ammissione al beneficio;
la indicazione al ministero, da parte del curatore o del commissario liquidatore, dell’istituto di credito cui l’amministrazione avrebbe potuto delegare il pagamento (art. 6.1, secondo capoverso, della circolare 196/94).
3.2. Questo essendo il quadro normativo, se ne ricava che l’effetto liberatorio previsto dal d.l. n. 149 del 1993, art. 1, comma 1 bis, non poteva prodursi se non all’esito del suddetto procedimento amministrativo.
Peraltro, quel procedimento non si concludeva affatto con l’inserimento degli istanti nell’elenco redatto dal ministero, come i ricorrenti mostrano di ritenere, ma richiedeva comunque un provvedimento espresso ai sensi della legge n. 241 del 1990, art. 2.
Ciò è confermato, oltre che dalla struttura del procedimento sopra tratteggiata, da tre previsioni normative espresse:
la prima è la legge n. 388 del 2000, art. 126, comma 2, che stabilisce che il pagamento da parte dello RAGIONE_SOCIALE dei debiti già gravanti sui soci-garanti RAGIONE_SOCIALE cooperative fallite sarebbe avvenuto secondo la graduatoria approvata con decreto ministeriale, ‘salve le successive modifiche conseguenti a pronunce definitive in sede amministrativa’: norma, questa, che dimostra come il mero inserimento dell’avente diritto nell’elenco
ministeriale non è irreversibile;
la seconda è il d.m. 2 febbraio 1994, art. 7, il quale attribuiva allo stato il diritto di insinuazione nello stato passivo RAGIONE_SOCIALE cooperative garantite dai soci il cui debito era stato assunto dallo RAGIONE_SOCIALE, ma solo ‘successivamente all’adozione del provvedimento di accollo RAGIONE_SOCIALE garanzie’, il che dimostra che l’accollo richiedeva comunque un provvedimento ad hoc ;
la terza è il già ricordato art. 6.1, secondo capoverso, della circolare 196/94, il quale prevedeva (inutilmente, alla luce del generale potere di autotutela spettante alla p.a.) che anche dopo la comunicazione, da parte del curatore al ministero, dell’istituto di credito cui quest’ultimo avrebbe potuto delegare il pagamento, restava comunque ‘salva (una) diversa determinazione’ del RAGIONE_SOCIALE.
Aggiungasi, inoltre, che sempre in attuazione della legge n. 388/2000 è stato emanato il d.m. 2 ottobre 1995, che all’art. 4 prevede: ‘Il RAGIONE_SOCIALE, preliminarmente all’accollo RAGIONE_SOCIALE garanzie, svolgerà tutti gli accertamenti necessari ed idonei ad acclarare il permanere dell’entità del credito garantito, l’inesistenza di eventuali procedimenti penali nei confronti dei soci istanti ammessi e riportati nell’apposito elenco (…), nonché di eventuali altri adempimenti ritenuti necessari’.
Infine, la legge 27 febbraio 2009, n. 14, di conversione del d.l. 20 dicembre 2008, n. 307, ha introdotto al citato art. 126 della legge 388/2000, il seguente comma 3-bis , che espressamente prevede: ‘ Resta salvo il diritto dello RAGIONE_SOCIALE di ripetere quanto corrisposto a seguito dell’intervento , nei confronti dei soci che abbiano comunque contribuito alla insolvenza della RAGIONE_SOCIALE o che in ogni caso non abbiano titolo a beneficiare dell’intervento, subentrando nelle relative garanzie’.
3.3. Sulla base di siffatto articolato complesso normativo, si
evince pertanto che il mero inserimento, quale avente diritto, negli elenchi ministeriali non è irreversibile, dato che la pubblica amministrazione, dopo una prima istruttoria finalizzata appunto a comporre gli elenchi con i nominativi dei possibili beneficiari, ha la facoltà di svolgere ancora una successiva istruttoria, volta a rivalutare la sussistenza o meno dei presupposti dell’originario accollo, e, comunque, ad acclarare l’inesistenza di procedimenti penali a carico dei beneficiari ovvero ancora ad accertare che i medesimi non abbiano contribuito alla insolvenza della RAGIONE_SOCIALE.
Orbene, nel caso di specie la corte di merito ha rilevato: a) che i decreti, in numero di undici, con cui il RAGIONE_SOCIALE ha disposto il pagamento nei confronti dei creditori, non hanno determinato la conclusione del procedimento di verifica destinato a stabilire la sussistenza dei presupposti del beneficio della liberazione dei garanti; anzi, ognuno dei decreti conteneva in premessa la riserva nei confronti di alcuni soci, tra cui NOME COGNOME, di agire ai sensi dell’art. 4 d.m. 2 ottobre 1995 e dell’art. 1298 cod. civ. verso i soci o i loro eredi che risulteranno non avere titolo ai benefici di legge; b) che lo stesso NOME COGNOME, in risposta alle richieste istruttorie della p.a., aveva dichiarato di aver patteggiato l’esito di un procedimento penale a suo carico; c) che pertanto la verifica di meritevolezza del beneficio non aveva avuto esito positivo e, come anche viene riferito nel ricorso, il RAGIONE_SOCIALE comunicava preavviso di esclusione dai benefici di cui alla legge 237/1993, per poi pervenire al definitivo provvedimento di esclusione con contestuale richiesta ai soggetti esclusi di restituzione della quota parte a proprio carico.
3.4. Tale accertamento in fatto, motivato dalla corte d’appello in riferimento sia al sistema normativo sopra delineato ed applicabile al caso di specie, sia agli insegnamenti posti dalla più recente giurisprudenza di questa Suprema Corte (v. le già citate
Cass., 26/08/2020, n. 17827 e Cass., 18071/2019, nonché Cass., 11/10/2018, n. 25163, che espressamente afferma che, rispetto ai soggetti dei cui lo RAGIONE_SOCIALE si accolla la garanzia, ‘ la giurisprudenza di questa corte, da cui, si ribadisce, non sono emerse ragioni per discostarsi, riconosce allo RAGIONE_SOCIALE un’azione di regresso nei confronti dei soggetti liberati senza averne avuto il diritto ‘, per cui ‘ai fini dell’esercizio dell’azione di regresso (…) l’amministrazione ricorrente potrà, previo accertamento negativo del diritto al beneficio goduto, chiedere la restituzione RAGIONE_SOCIALE somme erogate ai non aventi diritto’) risulta scevro da vizi logico-giuridici e resiste pienamente al sindacato di legittimità.
3.5. Infine, il rilievo, attribuito dai ricorrenti ancora in memoria illustrativa, al fatto che il RAGIONE_SOCIALE, dopo aver emesso i decreti con cui si è accollato la garanzia, si sarebbe insinuato nella procedura della RAGIONE_SOCIALE fallita, risulta dedotto in violazione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., dato che l’impugnata sentenza non ne fa menzione, per cui i ricorrenti avrebbero dovuto specificare se, dove e quando, nel contesto dei precedenti gradi di merito, abbiano sollevato la questione; aggiungasi, peraltro, che la possibilità di insinuazione allo stato passivo RAGIONE_SOCIALE cooperative garantite dai soci il cui debito era stato assunto dallo RAGIONE_SOCIALE è espressamente riconosciuta dall’art. 7 del citato d.m. 2 febbraio 1994.
4. Anche il secondo motivo è infondato.
In disparte il non marginale rilievo per cui l’art. 445 cod. proc. civ. esclude che la sentenza di patteggiamento produca effetti nel ‘ giudizio civile o amministrativo’ , mentre nel caso di specie è stata valutata nell’ambito d i un procedimento amministrativo, cioè quello di riconoscimento dei benefici della legge 237/1993, va osservato, in via del tutto dirimente, che la sentenza impugnata ha espressamente attribuito alla sentenza di
patteggiamento una mera ‘evidenza fattuale’ , ed ha poi sviluppato un autonomo percorso motivazionale, fondato sulla valutazione di quanto emerso all’esito del dibattimento penale nei confronti di altri due soci della RAGIONE_SOCIALE, in cui conclude che le condotte degli amministratori avevano aggravato il dissesto e dunque contribuito all’insolvenza della RAGIONE_SOCIALE e che per questo la p.a. le aveva -correttamente- ritenute rilevanti ai fini dell’esclusione del beneficio .
Pertanto, nessuna violazione della regola dell’onere della prova, né dei principi posti da questa Corte (i ricorrenti richiamano Cass., Sez. Un., 26/01/2011, n. 1768) in tema di autonomia tra giudizio penale e giudizio civile, è ravvisabile nella motivazione della sentenza impugnata, mentre, per altro verso, le motivate valutazioni svolte sul fatto e sulle risultanze probatorie sfuggono al sindacato di legittimità (ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, cle Pagina 16 R.G.N. 4751/ Udienza del 9 febbraio 20 6 8 Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che “la valutazione e la interpretazione RAGIONE_SOCIALE prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione”).
Anche l’ulteriore censura che compone il motivo, fondata sul n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., è infondata.
Sollecita, infatti, un riesame del fatto e della prova, precluso in sede di legittimità secondo il suindicato costante orientamento di questa Corte.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
La considerazione dell’altalenante andamento dei precedenti gradi di merito e del contrasto, non sincronico, nella giurisprudenza di legittimità, impone la compensazione tra le parti RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione il 18 marzo 2024.
Il Presidente NOME COGNOME