Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3153 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3153 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/02/2024
R.G.N. 26192/18
C.C. 12/1/2024
ORDINANZA
Vendita -Preliminare ad esecuzione anticipata -Usucapione -Accollo delle imposte sul reddito sul ricorso (iscritto al N.R.G. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da: COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-ricorrenti –
contro
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), in qualità di eredi testamentari di NOME COGNOME, nonché COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), in qualità di chiamato ex lege a succedere a NOME COGNOME;
-intimati – avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro n. 1081/2018, pubblicata il 28 maggio 2018, notificata il 6 giugno 2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 gennaio 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 28 marzo 2008, NOME COGNOME conveniva, davanti al Tribunale di Crotone, COGNOME NOME e COGNOME NOME, al fine di sentirli condannare al pagamento della somma di euro 7.180,26, oltre interessi decorrenti dal 31 marzo 2008 sino al soddisfo, a titolo di rimborso delle imposte sul reddito (IRPEF e ICI) gravanti sull’appartamento sito in Crotone, INDIRIZZO, piano secondo, nonché sugli annessi vano terraneo uso garage e vano uso cantina, oggetto della scrittura privata del 19 dicembre 1986, con la quale l’immobile era stato promesso in vendita dalla NOME in favore dei coniugi COGNOME, i quali si erano accollati, tra l’altro, le predette imposte.
Si costituivano in giudizio COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali contestavano la domanda avversaria e ne chiedevano il rigetto, eccependo, nell’ordine: – che non vi fosse alcun titolo per pretendere la somma indicata; – che, comunque, tale credito si fosse estinto per intervenuta prescrizione; – ovvero, in subordine, che la detta somma fosse compensata con quella dovuta dalla NOME a titolo di risarcimento danni. I convenuti spiegavano altresì domanda riconvenzionale di risarcimento danni, da liquidarsi in via equitativa, per la mancata fruizione delle facoltà dispositive insite nel diritto di proprietà, a seguito dell’inadempimento della NOME alla clausola n. 5 della scrittura
privata del 19 dicembre 1986 e all’imputabilità alla medesima della mancata stipula dell’atto definitivo di vendita, chiedendo che fosse altresì pronunciata sentenza di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. o, in subordine, che fosse accertato l’avvenuto acquisto della proprietà dei cespiti, in forza della maturata usucapione ventennale ordinaria.
Nel corso del giudizio erano assunte le prove orali ammesse.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 573/2013, depositata il 21 maggio 2013, accoglieva la domanda principale e, per l’effetto, condannava i convenuti al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di euro 7.180,26, oltre interessi di mora dal 31 marzo 2008 al soddisfo, a titolo di rimborso delle imposte sul reddito (IRPEF e ICI) corrisposte dalla NOME, mentre rigettava le domande riconvenzionali proposte dai convenuti.
2. -Con separati atti di citazione notificati il 19 settembre 2013, proponevano appello avverso la sentenza di primo grado COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali lamentavano: 1) l’erronea e illegittima applicazione delle norme sulla ripetizione dell’indebito, delle disposizioni tributarie in materia di ICI nonché della clausola contrattuale di cui al n. 4, non essendo proprietari dell’immobile all’esito della stipulazione del preliminare; 2) l’erronea applicazione delle norme sull’interruzione della prescrizione estintiva; 3) la violazione di legge in merito al rigetto della domanda riconvenzionale di esecuzione in forma specifica; 4) la violazione di legge in merito al rigetto della domanda riconvenzionale di usucapione; 5) l’illegittimità del dispositivo relativamente alla liquidazione delle spese.
Si costituivano nel giudizio di impugnazione COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi testamentari di NOME NOME, i quali contestavano le ragioni addotte a fondamento del gravame e ne chiedevano la declaratoria di inammissibilità o il rigetto, chiedendo altresì che fosse dichiarato il difetto di legittimazione passiva sostanziale dell’ulteriore parte evocata in giudizio COGNOME NOME.
Quest’ultimo rimaneva contumace.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Catanzaro, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’appello spiegato e, per l’effetto, confermava integralmente la pronuncia impugnata.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che, attraverso lo stipulato preliminare di vendita, le parti avevano previsto che l’atto definitivo sarebbe intervenuto allo spirare del termine di dieci anni dall’assegnazione dell’appartamento, avvenuta a cura della Cooperativa in favore della promittente alienante in data 14 aprile 1983, ossia in un’epoca coincidente con la data del 14 aprile 1993; b ) che, ai sensi dell’art. 4 della scrittura privat a conclusa il 19 dicembre 1986, con immediata immissione dei promissari acquirenti nella disponibilità del bene, i coniugi COGNOME si erano assunti l’obbligo del pagamento delle imposte sul reddito; c ) che, dunque, la clausola pattizia, secondo un’interpretazione letterale e complessiva del negozio sottoscritto, obbligava i coniugi promissari acquirenti -che, da subito, avevano ricevuto la disponibilità dell’abitazione a rimborsare alla NOME promittente venditrice, che ‘di fatto’ sarebbe rimasta proprietaria dell’alloggio
sino al rogito notarile, oltre che le rate del mutuo, anche ogni altra spesa gravante sul reddito della stessa, come quantificata dalla prodotta e non contestata consulenza tecnica di parte; d ) che, ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 504/1992, presupposto per il pagamento dell’ICI era il possesso dei fabbricati, sicché tale obbligo di pagamento non era posticipato alla stipula dell’atto definitivo di trasferimento della proprietà, stante che i promissari acquirenti, nelle more, avevano ricevuto il ‘possesso’ dell’immobile, di cui avevano la piena utilizzazione, ed erano rimasti inadempienti in ordine all’impegno assunto con la clausola n. 4; e ) che nessuna prescrizione estintiva era maturata, posto che la promittente alienante aveva chiesto il rimborso di quanto pagato a titolo di IRPEF e ICI a mezzo di missive raccomandate del 18 maggio 2004, del 4 ottobre 2004 e del 25 novembre 2006 ed, inoltre, con la successiva domanda giudiziale del 4 aprile 2008, aveva chiesto il rimborso delle somme indebitamente corrisposte a far data dal 1994 e ad ogni singola scadenza, entro 10 anni decorrenti da quando il diritto stesso poteva essere esercitato; f ) che nessun inadempimento poteva essere imputato alla promittente venditrice mentre la mancata stipula del definitivo doveva essere ascritta all’inadempimento dei promissari acquirenti, i quali -con missiva del 28 maggio 2004 -avevano chiesto il rinvio dell’incontro dinanzi al notaio incaricato della stipula per il mese di settembre 2004, senza mai presentarsi, e rimanendo inadempienti anche in esito alla successiva diffida del 20-24 novembre 2006; g ) che le risultanze probatorie acquisite dimostravano l’assoluta buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto, da parte della promittente venditrice, conclusione
corroborata altresì dalla relazione notarile del 3 maggio 2004, con la quale il notaio rogante aveva dichiarato che per i beni descritti, nell’ultimo ventennio, non esistevano iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli e non risultavano gravami di sorta, ad eccezione dell’ipoteca della BNL, relativamente alle rate del mutuo, e della trascrizione del sequestro conservativo in favore della società RAGIONE_SOCIALE, eseguito illegittimamente sulla proprietà della NOME nel 1981 e comunque non pregiudizievole, poiché il relativo procedimento si era perento già nel 1991 per mancata prosecuzione del giudizio esecutivo; h ) che nessun possesso utile ai fini dell’usucapione poteva essere riconosciuto in capo ai promissari acquirenti, poiché la disponibilità del bene era stata da loro acquisita nella piena consapevolezza che l’effetto traslativo non si fosse ancora verificato, sicché la relazione con il bene doveva essere ricondotta ad una mera detenzione qualificata, come era comprovato dal loro rifiuto di corrispondere l’ICI spettante al proprietario.
-Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, COGNOME NOME e NOME.
Sono rimasti intimati COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME NOME, nelle anzidette qualità.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, consistente nella presenza di iscrizioni pregiudizievoli sull’immobile all’epoca del maggio 1993,
il quale avrebbe integrato inadempimento della promittente alienante, nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la conseguente violazione e/o disapplicazione e/o falsa applicazione degli artt. 1460 e 2932 c.c., per essersi la Corte di merito esclusivamente attenuta alla relazione notarile del 3 maggio 2004, secondo cui, in tale data, non sarebbero risultati ‘gravami di sorta’, senza alcun confronto con la relazione notarile del 12 ottobre 1994, dalle cui ‘osservazioni eventuali’ sarebbero emersi diversi vincoli pregiudizievoli ‘tuttora annotati su tutto il complesso edilizio della predetta Cooperativa’.
Ad avviso degli istanti, l’obbligo di trasferire l’immobile libero da ‘gravami di sorta’ non avrebbe dovuto essere valutato alla data del 2004, allorquando, con ingiustificato ritardo, la promittente venditrice era riuscita ad eliminare tali vincoli, ma a quella antecedente in cui il contratto definitivo doveva essere stipulato in base al preliminare, cioè alla data del maggio 1993, quando l’intero complesso immobiliare, oltre a risultare formalmente sottoposto a sequestro conservativo, era altresì ancora gravato da pignoramento trascritto il 14 aprile 1982, a richiesta del RAGIONE_SOCIALE.
Con la conseguenza che avrebbe dovuto essere valutato l’inadempimento originario della promittente venditrice, con la correlata legittimità dell’opposizione alla stipula del definitivo, a cura dei promissari acquirenti, e con il successivo, ulteriore, perdurante inadempimento della promittente alienante, che aveva illegittimamente subordinato la stipula del definitivo alla pretesa di pagamento di somme non dovute.
2. -Con il secondo motivo i ricorrenti contestano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per difetto assoluto e/o carenza e/o contraddittorietà della motivazione, inerente ai criteri interpretativi adoperati in relazione alla clausola n. 4, nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o disapplicazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1365, 1366, 1367, 1368, 1369 e 1371 sull’interpretazione dei contratti e la violazione e/o errata e/o falsa applicazione dell’art. 1 del d.lgs. n. 504/1992, per avere la Corte territoriale interpretato la clausola n. 4 del contratto preliminare nel senso che l’accollo di ‘eventuali imposte sul reddito gravanti sull’appartamento’ dovesse essere esteso, oltre che alle rate del mutuo, anche ad ‘ogni altra spesa gravante sul reddito’ della promittente venditrice, includendovi, quindi, anche l’ICI, la quale sarebbe imposta patrimoniale e non sul reddito, nonostante i promissari acquirenti avessero la mera detenzione dell’immobile.
Obiettano gli istanti che tale approdo ermeneutico avrebbe leso: a ) il criterio letterale -che avrebbe dovuto, invece, indurre a limitare l’accollo al solo rimborso dell’IRPEF, quale imposta sul reddito, e non già agli importi versati a titolo di ICI, in quanto imposta patrimoniale -; b ) la valutazione del comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto -posto che la promittente venditrice non aveva avanzato alcuna pretesa economica concernente le suddette imposte per il periodo precedente al maggio 1993 -; c ) il criterio dell’inte rpretazione sistematica delle clausole contrattuali le une per mezzo delle altre -atteso che, in ragione del collegamento
tra le clausole nn. 4 e 5, il bene era rimasto nel patrimonio della promittente venditrice fino alla stipula del definitivo -; d ) la delimitazione conseguente all’uso di espressioni generali o di indicazioni esemplificative -considerato che il contenuto dell’obbligo di restituzione avrebbe dovuto essere limitato al reddito prodotto dall’appartamento -; e ) l’interpretazione secondo buona fede -che avrebbe dovuto escludere che tra le imposte sul reddito gravanti sull’appartamento rientrassero anche quelle di natura patrimoniale -; f ) l’interpretazione conservativa del contratto -alla luce dell’impiego delle parole ‘eventuali’, ‘sul reddito’ e ‘gravanti sull’appartamento’ -; g ) il criterio del (mancato) riferimento a ipotetiche, diverse pratiche generali interpretative; h ) il richiamo al senso più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto in ordine a espressioni astrattamente polisense, in spregio all’interesse che le parti intendevano soddisfare attraverso la stipula del negozio.
Siffatta conclusione esegetica avrebbe violato altresì le norme sull’individuazione del soggetto debitore di imposta nei confronti dell’amministrazione finanziaria, stante che il soggetto debitore di imposta sarebbe stato sempre e comunque la proprietaria, fino alla stipula del rogito notarile di trasferimento del bene.
3. -Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2932 c.c. e 100 c.p.c., per avere la Corte distrettuale accolto la pretesa di rimborso delle somme sostenute a titolo di imposta sul reddito gravante sull’appartamento al di fuori del contesto di una domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica del contratto
preliminare, con la conseguenza che sarebbe stato carente l’interesse ad agire per l’adempimento della specifica obbligazione contenuta nella clausola n. 4, a fronte di un contratto preliminare del quale non era stato richiesto l’adempimento giudiziale nella sua totalità.
Osservano gli istanti che, avendo agito la promittente alienante solo per ottenere il pagamento di tali somme, la relativa pretesa sarebbe stata assolutamente ingiustificata, in quanto non avrebbe realizzato alcun interesse giuridicamente rilevante e/o meritevole di tutela, ponendosi all’esterno di un sinallagma contrattuale che avrebbe potuto trovare la sua realizzazione in uno scambio dei consensi oppure nella richiesta di una sentenza volta a produrre gli effetti del contratto definitivo non concluso, sicché -in difetto di alcun collegamento con l’effetto traslativo la pretesa creditoria avrebbe dovuto ritenersi paralizzata in nuce .
4. -Con il quarto motivo i ricorrenti prospettano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2943, quarto comma, e 2948, primo comma, n. 4, c.c., per avere la Corte del gravame riconosciuto efficacia interruttiva della prescrizione alla lettera raccomandata del 18 maggio 2004, con la quale la promittente alienante aveva invitato i promissari acquirenti alla stipula dell’atto pubblico, previa definizione di ogni pendenza, senza tuttavia specificare l’oggetto della richiesta, rimasto assolutamente indeterminato.
Con la conseguenza che solo la missiva inviata il 4 ottobre 2004 sarebbe stata idonea a interrompere la prescrizione estintiva, con il correlato, errato computo degli importi dovuti,
che avrebbe dovuto essere limitato alle somme versate all’amministrazione finanziaria dalla promittente venditrice in ordine alle scadenze fiscali ricomprese tra il 4 ottobre 1999 e il 4 ottobre 2004.
5. -Con il quinto motivo i ricorrenti si dolgono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1140 e 1141 c.c. nonché del combinato disposto degli artt. 9, 231 e 141 del T.U. n. 1165/1938 e, ancora, degli artt. 1140 e 1145 c.c. e degli artt. 1158, 1146, secondo comma, e 1422 c.c., per avere la Corte d’appello disatteso la domanda riconvenzionale subordinata di usucapione, alla stregua della grave contraddizione in cui il giudicante sarebbe incorso, qualificando i promissari acquirenti – dapprima – come possessori, al fine di accollare loro la restituzione delle somme versate a titolo di ICI, e – successivamente – quali meri detentori.
Secondo gli istanti, non vi sarebbe stata una motivazione logica e coerente in ordine alla qualificazione del contratto del 19 dicembre 1986 quale vendita -che sarebbe stata nulla per violazione dell’obbligo di inalienabilità nel decennio 1983 -1993, ma comunque idonea a realizzare il passaggio del possesso e il conseguente acquisto per usucapione -ovvero quale mero preliminare di vendita. Con il precipitato che, ove si fosse ritenuto che l’effetto traslativo risalisse direttamente alla scrittura privata del 19 dicembre 1986, sarebbe maturata la fattispecie dell’acquisto a titolo originario per possesso ultraventennale continuato e pacifico, in ragione della presunzione di possesso anteriore sin dalla data del titolo e della successione nel possesso.
6. -Il primo motivo è inammissibile.
E tanto perché, a fronte di una ‘doppia conforme’, con instaurazione del giudizio di gravame successivamente all’11 settembre 2012 (nel caso di specie gli atti di citazione introduttivi dell’appello sono stati notificati il 19 settembre 2013), ai sensi dell’art. 348 -ter , quinto comma, c.p.c., vigente ratione temporis , la doglianza di omesso esame di fatti decisivi, formulata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., non è esaminabile (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 11439 del 11/05/2018; Sez. 1, Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Sez. 5, Sentenza n. 26860 del 18/12/2014).
E ciò non solo quando la decisione di secondo grado sia interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logicoargomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Cass. Sez. 6-L, Ordinanza n. 19828 del 20/06/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 17520 del 31/05/2022; Sez. 62, Ordinanza n. 7724 del 09/03/2022; Sez. 6-3, Ordinanza n. 2506 del 27/01/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 33483 del 11/11/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 29222 del 12/11/2019).
Né parte ricorrente si è onerata di specificare le ipotetiche differenze tra le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 5947 del 28/02/2023; Sez. 6-2, Ordinanza n. 8320 del 15/03/2022; Sez. L, Sentenza n.
20994 del 06/08/2019; Sez. 1, Sentenza n. 26774 del 22/12/2016).
La contestata violazione di legge è meramente consequenziale alla dedotta omissione di un fatto decisivo, sicché l’inammissibilità della censura pregiudiziale determina altresì l’inammissibilità della doglianza riflessa, in quanto sul piano dell’impostazione strutturale della doglianza articolata -l’integrazione del vizio di violazione o di sussunzione è strettamente correlata e presuppone la mancata valutazione della circostanza in tesi non considerata.
7. -A questo punto è pregiudiziale, sul piano logico e giuridico, lo scrutinio del quinto motivo, con il quale i ricorrenti hanno contestato il mancato accoglimento della domanda di usucapione, alla stregua dell’equivoca situazione giuridica acquisita per effetto del contratto concluso, quale possesso ovvero quale detenzione.
Nella fattispecie la sentenza impugnata ha qualificato la scrittura privata conclusa tra le parti il 19 dicembre 1986 quale preliminare di vendita in ragione delle seguenti argomentazioni: a ) la previsione del contratto (art. 5), secondo cui l’atto definitivo di vendita sarebbe intervenuto allo spirare di dieci anni dall’assegnazione dell’appartamento (di edilizia economica e popolare), in favore della promittente alienante; b ) l’immediato ricevimento della mera disponibilità dell’immobile in favore dei promissari acquirenti, a fronte della persistenza della proprietà in capo alla promittente venditrice.
Tali argomentazioni sono il frutto di un debito accertamento in fatto, che non si scontra, né con una motivazione apodittica o
apparente o intrinsecamente contraddittoria, né con i canoni ermeneutici del negozio -peraltro non espressamente evocati in detto motivo di ricorso -.
Ebbene, il contratto preliminare e il contratto definitivo di compravendita si differenziano per il diverso contenuto della volontà dei contraenti, che è diretta, nel primo caso, a impegnare le parti a prestare, in un momento successivo, il loro consenso al trasferimento della proprietà e, nel secondo, ad attuare il trasferimento stesso, contestualmente o a decorrere da un momento successivo alla conclusione del contratto, senza necessità di ulteriori manifestazioni di volontà.
La qualificazione del contratto come preliminare o definitivo costituisce, pertanto, un accertamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione adeguata e non inficiata da vizi logici o giuridici (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 7666 del 16/03/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 33916 del 17/11/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 21650 del 23/08/2019; Sez. 2, Sentenza n. 24150 del 20/11/2007; Sez. 5, Sentenza n. 21381 del 04/10/2006; Sez. 1, Sentenza n. 7429 del 21/05/2002; Sez. 1, Sentenza n. 564 del 17/01/2001; Sez. L, Sentenza n. 10961 del 02/11/1998).
Quale precipitato di tale qualificazione la consegna anticipata della res integra una situazione di mera detenzione qualificata e non già di possesso idoneo all’acquisto per usucapione per effetto della sua prolungata e pacifica continuazione nel tempo (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 318 del 05/01/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 36153 del 28/12/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 29447 del 24/10/2023; Sez. 3, Sentenza n. 24637 del 02/12/2016; Sez. 2,
Sentenza n. 5211 del 16/03/2016; Sez. 1, Sentenza n. 4863 del 01/03/2010; Sez. U, Sentenza n. 7930 del 27/03/2008).
Sicché correttamente l’acquisto a titolo originario è stato escluso, sulla scorta dell’inesistenza di una situazione tutelabile di possesso ( recte di una signoria di fatto estrinsecantesi ad immagine di un diritto di proprietà: ius possessionis ).
8. -All’esito, deve essere esaminato il terzo motivo, mediante il quale i ricorrenti hanno fatto valere la carenza di interesse della promittente alienante a pretendere il rimborso delle somme versate a titolo di imposte sul reddito gravanti sull’immobile, in difetto di una correlata domanda volta ad ottenere la produzione degli effetti traslativi del contratto definitivo di vendita.
8.1. -La doglianza è infondata.
Si premette che la domanda di condanna al rimborso delle somme sborsate dalla promittente alienante, a titolo di imposte sul reddito gravanti sul cespite oggetto della promessa, è stata accolta indipendentemente da alcuna declaratoria sulla produzione dell’effetto traslativo, ma in ragione del nesso di corrispettività con la disponibilità immediata del bene.
Sicché l’effettiva assunzione dell’accollo delle ‘eventuali imposte sul reddito gravanti sull’appartamento’ ossia, più propriamente, l’impegno a rimborsare le imposte sul reddito non era condizionata alla produzione dell’effetto traslativo.
Segnatamente l’effettiva assunzione dei debiti nei confronti degli accollatari (e, in specie, l’assunzione delle rate di mutuo gravante sull’immobile oggetto della promessa) è normalmente collegata al prodursi dell’effetto traslativo, fatta salva la pattuizione di segno contrario (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14372
del 05/06/2018; Sez. 6-2, Ordinanza n. 29849 del 29/12/2011; Sez. 2, Sentenza n. 2093 del 30/03/1984).
Ne discende che -alla stregua della correlazione dell’obbligo assunto di rimborsare la proprietaria degli esborsi annualmente sostenuti a titolo di imposte sul reddito inerenti all’immobile oggetto del preliminare con il godimento immediato del bene, nelle more della stipulazione del definitivo, a titolo di esercizio di un diritto personale di godimento -la condanna è stata disposta senza alcuna dinamica correlazione con una domanda di esecuzione in forma specifica o di accertamento della stipulazione del definitivo in conseguenza di una libera determinazione delle parti.
E tanto perché il menzionato accollo costituiva appunto, non già una componente relativa alla regolamentazione del prezzo, sinallagmaticamente connessa alla produzione del trasferimento della proprietà (effetto non disposto con la sentenza impugnata, in ragione del rigetto della domanda di adempimento coattivo proposta dai promissari acquirenti e della mancata proposizione di alcuna simile domanda a cura della promittente venditrice).
Costituiva, per contro, corrispettivo della consegna anticipata, secondo l’assunto non efficacemente confutato della pronuncia impugnata.
9. -In conseguenza, deve essere scrutinato il quarto motivo (sull’esclusione di idoneo atto interruttivo della prescrizione e sulla conseguente limitazione del quantum dovuto).
Precisamente, il ricorrente ha lamentato che sia stata riconosciuta efficacia interruttiva della prescrizione alla lettera raccomandata del 18 maggio 2004, con la quale la promittente
alienante aveva invitato i promissari acquirenti alla stipula dell’atto pubblico, previa definizione di ogni pendenza, senza tuttavia che fosse specificato l’oggetto della richiesta, rimasto assolutamente indeterminato.
9.1. -La censura è inammissibile.
Tale argomentazione introduce, infatti, una nuova circostanza in fatto sul contenuto dell’atto asseritamente interruttivo, non sindacabile nel giudizio di legittimità.
Parte istante non ha, infatti, dato atto di avere già sollevato tale obiezione nei gradi di merito, in che termini e in quale specifico frangente processuale.
A fortiori , si rileva che la valutazione del giudice del merito, circa l’idoneità di un determinato atto ad integrare un atto interruttivo della prescrizione, quale apprezzamento in fatto, è incensurabile in sede di legittimità, se sorretta da congrua motivazione ed esente da errori giuridici e, allo stato della normativa processuale, ove la motivazione non sia frutto dell’omissione di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23821 del 24/11/2010; Sez. L, Sentenza n. 9016 del 20/06/2002; Sez. 3, Sentenza n. 58 del 07/01/2004; Sez. L, Sentenza n. 9662 del 17/07/2001; Sez. 1, Sentenza n. 10504 del 24/09/1999).
10. -Il secondo motivo (sul rimborso che avrebbe dovuto essere limitato alla sola imposta sul reddito, ossia all’IRPEF, e non già all’imposta patrimoniale sulla proprietà, ossia all’ICI) è fondato.
In proposito, la Corte territoriale ha ritenuto che le ‘imposte sul reddito gravanti sul bene’ includessero l’ICI alla stregua della
seguente argomentazione: ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 504/1992, presupposto per il pagamento dell’ICI sarebbe stato il ‘possesso’ dei fabbricati, sicché tale obbligo di pagamento non sarebbe stato posticipato alla stipula dell’atto definitivo di trasferimento della proprietà, stante che i promissari acquirenti, nelle more, avevano ricevuto il ‘possesso’ dell’immobile, di cui avevano la piena utilizzazione, ed erano rimasti inadempienti in ordine all’impegno assunto con la clausola n. 4.
All’esito, si evidenzia per converso -che, in materia di ICI, il presupposto d’imposta costituito dalla proprietà del bene (di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 504/1992), in caso di esecuzione forzata dell’obbligo di concludere il contratto ex art. 2932 c.c., si realizza con l’effetto traslativo, prodotto dal passaggio in giudicato della relativa sentenza (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 25942 del 31/10/2017), e non già in ragione della disponibilità immediata del cespite per effetto della sua consegna anticipata.
Pertanto, l’onere di pagamento dell’ICI grava sul proprietario, il quale beneficia del reddito del bene, anche quando non lo utilizzi direttamente, in quanto tale reddito concorre al soddisfacimento dei debiti (Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 5736 del 07/03/2013; Sez. 5, Sentenza n. 8057 del 28/03/2008).
Senonché, quanto agli evocati criteri di interpretazione letterale e sistematica, a fronte della previsione del rimborso delle imposte sostenute dalla proprietaria sul reddito, l’ICI è un’imposta sul patrimonio e non sul reddito basato, invece, su indici di produttività del bene -, sicché tale tributo incide sul ‘possesso’ dell’immobile, in forza di un titolo dominicale, e non sul profitto ricavabile dalla cessione del suo godimento a titolo di
mera detenzione (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9512 del 11/04/2008; Sez. 5, Sentenza n. 6314 del 23/03/2005).
Ne deriva che -sulla scorta del riferimento al tenore della clausola n. 4 del contratto -nella previsione sul rimborso delle imposte sul reddito gravanti sul cespite non doveva essere inclusa l’ICI.
11. -In definitiva, il secondo motivo del ricorso deve essere accolto, nei sensi di cui in motivazione, mentre il primo e il quarto motivo sono inammissibili e il terzo e il quinto motivo sono infondati.
La sentenza impugnata va, dunque, cassata, limitatamente al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi agli enunciati principi di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il secondo motivo del ricorso, dichiara inammissibili il primo e il quarto motivo, rigetta il terzo e il quinto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 12 gennaio 2024.
Il Presidente NOME COGNOME