Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 421 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 421 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
sul ricorso 29333/2020 proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrente – avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO di MILANO n. 1881/2020 depositata il 20/07/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/11/2024 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOME, successore ex lege , di NOME COGNOME ricorre a questa Corte al fine di sentire cassare l’epigrafata sentenza della Corte di Appello di Milano che, rigettandone l’appello, ha confermato le ragioni enunciate dal giudice di primo grado a confutazione dell’opposizione proposta dal COGNOME al decreto ingiuntivo notificatogli da RAGIONE_SOCIALE -cui sarebbe succeduta nel tempo l’attuale intimata -a fronte del l’ inadempimento del contratto di mutuo in cui il COGNOME era subentrato accollandosi il relativo debito all’atto dell’acquisto del bene che ne era gravato.
In particolare la Corte territoriale ha rigettato l ‘ eccezione di incompetenza territoriale del giudice adito in monitorio considerando che il credito azionato in quella sede discendeva dall’accollo che, ancorché intercorrente solo tra il debitore originario ed il terzo, aveva registrato in prosieguo, per gli effetti dell’art. 1273 cod. civ., anche l’adesione della banca, la quale, a fronte dell’inadempimento del terzo, aveva notificato al medesimo, prima, il precetto e, poi, il pignoramento, con l’ulteriore conseguenza che, essendo stato invocato l’accollo quale titolo legittimante l’intrapresa azione, correttamente era stata effettuata la scelta del foro del l’ accollo; ha disatteso l’eccezione di prescrizione considerando che, ricevuta la notifica dell’atto di precetto e del pignoramento, si era determinato l’effetto interruttivo permanente di cui all’art. 2945, comma 2, cod. civ., a nulla rilevando in contrario, ovvero ai fini dell’applicazione dell’art. 2945, comma 3, cod. civ., l’intervenuta estinzione del processo esecutivo a seguito della confisca in sede penale dell’immobile, atteso il carattere solo formale assunto nelle circostanze dall’estinzione, dato che il creditore procedente si era visto costretto, non potendo pervenire al soddisfacimento forzoso del credito, ad intraprendere la via obbligata della transazione ed a
rinunciare di conseguenza ad esso; ha ribadito il principio dell’inapplicabilità dell’usura sopravvenuta considerando che la mancata valorizzazione dell’obbligo di buona fede denunciata al riguardo presentava carattere di assoluta novità ed, in ogni caso, non poteva trovare seguito posto che, a fronte della documentata situazione di debito, l’opponente si era avvantaggiato della titolarità dell’immobile per un lungo periodo senza provvedere ad alcun rimborso.
Il mezzo proposto dall’odierna impugnante si vale di tre motivi, illustrati pure con memoria e resistiti avversariamente dall’intimata con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. Il primo motivo di ricorso -con cui, in relazione al decretato rigetto del motivo di appello afferente all’eccezione di incompetenza per territorio del giudice del monitorio, si lamenta la violazione degli artt. 18 e 20 cod. proc. civ. e dell’art. 1273 cod. civ. poiché la Corte di Appello avrebbe errato nel fondare la determinazione de qua sul l’ accollo, vero, al contrario, che il credito azionato discendeva dal mutuo e che una corretta valutazione degli atti e dei fatti di causa non avrebbe condotto la Corte ad enfattizare la rilevanza ascritta in questa direzione al precetto ed al successivo pignoramento indirizzati al Valenzisi, trattandosi di atti necessari ai fini della procedura notificati al predetto solo in quanto proprietario dell’immobile -ed il secondo motivo di ricorso -con cui, in relazione al decretato rigetto del motivo di appello afferente all’eccezione di prescrizione, si lamenta la violazione degli artt. 1273 e 1310 cod. civ. poiché la Corte di Appello avrebbe errato nel fondare la determinazione de qua sull’effetto interruttivo permanente ascritto alla notifica del precetto e del pignoramento, quantunque detti atti fossero stati notificati al Valenzisi solo in quanto proprietario del bene staggito -esaminabili
congiuntamente in quanto svolgenti la medesima censura, si prestano ad un preliminare ed assorbente rilievo di inammissibilità poiché palesemente versati in fatto.
Osservato, per vero, quanto al primo motivo che è principio stabile nella giurisprudenza di questa Corte che nell’accollo semplice intercorrente tra il debitore ed il terzo, a cui il creditore, in ragione della rilevanza meramente interna dell’accordo, è estraneo, è sempre in facoltà di quest’ultimo aderirvi rendendo in tal modo definitiva, secondo lo schema tipico del contratto a favore di terzo, la stipulazione a proprio favore, acquistando in tal modo il diritto all’adempimento da parte del terzo (Cass., Sez. II, 27/01/1997, n. 821); ed ancora, quanto al secondo motivo, che analogamente si afferma che l’efficacia interruttiva permanente determinata dall’introduzione del processo esecutivo, estesa anche al coobbligato ex art. 1310 cc, si protrae, agli effetti dell’art. 2945, comma 2, cod. civ., fino al momento in cui la procedura abbia fatto conseguire al creditore procedente, in tutto o in parte, l’attuazione coattiva del suo diritto ovvero, alternativamente, fino alla chiusura anticipata del procedimento determinata da una causa non ascrivibile al creditore medesimo, mentre, nell’ipotesi opposta, di estinzione cd. tipica del procedimento esecutivo, dovuta a condotte inerziali, inattive o rinunciatarie del creditore procedente, all’interruzione deve riconoscersi effetto istantaneo, a norma dell’art. 2945, comma 3, cod. civ. (Cass., Sez. III, 24/03/2021, n. 8217), va pure detto che la Corte di Appello è pervenuta a maturare il giudizio in contestazione sulla scorta dell’interpretazione delle risultanze istruttorie emerse dal giudizio che compete a lei medesima effettuare nella sua veste di giudice del merito. Ed allora, allorché essa onde rappresentare l’adesione del creditore all’accordo di accollo tra il debitore ed il terzo ha dato rilievo all’atto di precetto e al pignoramento, e se si vuole
pure all’invito in tal senso direttamente indirizzato al COGNOME ed ha inteso in questa stessa logica rimarcare pure l’idoneità, segnatamente, del pignoramento ad interrompere, con effetto sospensivo corrispondente all’intera durata della procedura, la prescrizione, non ha fatto altro che esercitare le prerogative che l’ordinamento processuale le accorda in via esclusiva di valutare le prove raccolte nel corso del giudizio secondo il metro del proprio prudente apprezzamento, con ciò formulando un giudizio in fatto che, nei termini censurati, non si presta a rivisitazione in questa sede in quanto la Corte di Cassazione non è notoriamente giudice del fatto sostanziale.
3.1. Il terzo motivo di ricorso -con cui, in relazione al decretato rigetto del motivo di appello afferente all’usurarietà dei tassi applicati al contratto di mutuo, si lamenta la violazione della l. 7 marzo 1996, n. 108, dell’art. 644 cod. pen. e dell’art. 1815 cod. civ. poiché la Corte di Appello avrebbe errato nel fondare la determinazione de qua in vista della ritenuta irrilevanza dell’usura sopravvenuta pure ricorrente nella specie e dell’inammissibilità, inoltre, della pure denunciata inosservanza da parte della banca dell’obbligo di buona fede per aver preteso la corresponsione di interessi usurari -è infondato e si sottrae perciò al vaglio qui richiesto.
3.2. Va invero evidenziato sotto una prima angolazione che in ragione di quanto si è inteso statuire in sede di interpretazione autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108, laddove si è affermato che “si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”, le SS.UU. di questa Corte con la sentenza 24675/2017 hanno da tempo chiarito, come esattamente ha ricordato il decidente, che «nei contratti di mutuo, allorché il tasso
degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula». Donde, perciò, ab imis l’infondatezza della doglianza.
3.3. Né, per vero, -e qui si innesta un ulteriore ragione di attenzione -vi è ragione di credere che, in relazione a quanto nella stessa occasione le SS.UU. si sono date cura di precisare circa il fatto che la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, possa essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto, voglia marcare su questo versante un cambio di passo il precedente di cui si discorre nella memoria, nel senso che la ripetibilità degli interessi divenuti usurari in corso di rapporto sarebbe sempre consentita in quanto la condotta del creditore che reclami la corresponsione di interessi sproporzionati sarebbe sempre contraria al dovere di buona fede. E ciò perché, lungi dal voler differenziarsi in qualche misura dal comando delle SS.UU., il che presupporrebbe l’applicazione dell’art. 374, comma 3, cod. proc. civ. -il precedente di che trattasi altro non fa che ribadire la centralità nella materia de qua del principio della buona fede, così come del resto già sancito dalle medesime SS.UU. quando affermano che «la violazione del canone della buona fede non è riscontrabile nell’esercizio in sé considerato dei diritti scaturenti dal contratto, bensì nelle particolari modalità di tale
esercizio in concreto, che siano appunto scorrette in relazione alle circostanze del caso».
Circostanze del caso che nella vicenda che ne occupa -come la sentenza bene chiarisce a pag. 12 della motivazione -non si hanno per verificate così da escludere anche sotto questo versante ogni rilevanza alla violazione qui denunciata.
Il ricorso va dunque respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico della ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in euro 8200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il 29.11.2024.
Il Presidente Dott. NOME COGNOME