Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25311 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25311 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9771/2022 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 773/2022 depositata il 12/01/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con citazione notificata in data 9.11.2012 NOME COGNOME aveva convenuto in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, Unicredit S.p.A. per opporsi al decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti in data 28.07.2012 per la somma di € 7.505,48 pretesa da Unicre dit s.p.a. dopo che la stessa aveva pagato tale importo sulla base di un decreto emesso dal giudice dell’esecuzione immobiliare, nella procedura promossa da Banco di Sicilia S.p.A. contro il NOME COGNOME.
Con il decreto si liquidavano le competenze in favore del custode giudiziario ponendo il relativo pagamento a carico solidale delle parti della procedura (pagamento poi eseguito da Unicredit S.p.A. -subentrata a Banco di Sicilia – e chiesto in restituzion e all’opponente in virtù degli accordi sottesi alla cessione del credito del Banco di Sicilia S.p.A.).
Il Tribunale con sentenza del 1° aprile 2016 rigettava l’opposizione e condanna l’opponente al pagamento delle spese di lite.
Con atto di citazione notificato l’8 giugno 2016 NOME COGNOME proponeva appello sostenendo l’erroneità della sentenza di primo grado e chiedendone la riforma.
Si costituiva RAGIONE_SOCIALE chiedendo il rigetto dell’appello.
La Corte territoriale di Milano con sentenza del 4 febbraio 2022 rigettava l’appello condannando l’appellante al pagamento delle spese di lite.
Avverso tale decisione NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso Unicredit S.p.A. Le parti depositano memorie ex art. 380-bis1 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione – ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c. – degli artt. 1273, 1346, 1348, 1367 e 1958 c.c., in riferimento al negozio di ‘accollo interno di debito futuro’ perfezionato tra le parti, in o rdine alla determinabilità dell’oggetto del predetto negozio, siccome erroneamente interpretato dalla Corte d’appello, che non avrebbe considerato che, all’atto della stipula, non erano identificabili gli elementi per individuare ex ante i debitori e gli eventuali debiti futuri per il debitore accollato.
In sostanza, la validità del patto di accollo di debiti futuri sarebbe subordinata (quantomeno) alla determinabilità di tali eventuali debiti.
Contrariamente a quanto argomentato nella sentenza impugnata non si sarebbe perfezionato un valido accordo tra lo RAGIONE_SOCIALE e la S.p.A. Unicredit, per accollare al cessionario ogni spesa ed onere comunque derivati alla cedente in riferimento a qualsivoglia futura procedura esecutiva.
Un tale accordo dovrebbe essere nullo per indeterminatezza dell’oggetto ai sensi degli artt. 1346 e 1348 c.c.
Dal combinato disposto delle clausole emergerebbe l’assunzione di debiti futuri da parte dello COGNOME, quale cessionario, in relazione alla posizione processuale della cedente, la Società Banco di Sicilia. Si tratterebbe di un accollo ai sensi dell’art. 1 273 c.c., (accollo cd. Interno), in virtù del quale l’accollante (COGNOME) assume il peso del debito dell’accollato (Soc. Banco di Sicilia), senza attribuire alcun diritto al creditore originario.
Secondo il ricorrente l’unica interpretazione che impedirebbe la sanzione della nullità delle clausole per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto sarebbe quella secondo cui lo COGNOME avrebbe dovuto tenere manlevata la cedente Soc. Banco di Sicilia unicamente degli esborsi che il cessionario poteva ragionevolmente rappresentarsi sarebbero insorti a carico della Banca cedente.
Con il secondo motivo si lamenta la violazione a falsa applicazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c. – degli artt. 1325, 1421 c.c., 112, 115 e 116 c.p.c., nonché dei principi affermati da Cass. SS.UU. n. 26242/2014 e 26243/2014 e Cass. n. 4175/2020. La nullità della clausola relativa alla previsione di accollo interno di debito futuro siccome erroneamente interpretata dal Giudice di appello con oggetto indeterminabile.
L’interpretazione negoziale consentirebbe soltanto due opzioni ermeneutiche: quella patrocinata dal ricorrente, in linea con il disposto dell’art. 1367 c.c., secondo cui le clausole di accollo di debiti futuri onerano lo Spadini unicamente degli esborsi che lo stesso poteva rappresentarsi all’atto del perfezionamento della scrittura di cessione del credito.
Diversamente, le clausole di accollo di debiti futuri in esame sarebbero affette da nullità insanabile e rilevabile d’ufficio.
La decisione impugnata va corretta ai sensi dell’art. 384 ultimo comma c.p.c. con riferimento alla questione posta a fondamento dei primi due motivi, atteso che la motivazione in diritto è errata ma il dispositivo è comunque conforme a diritto.
La Corte territoriale ha accolto l’eccezione di parte appellata di inammissibilità della domanda di nullità della scrittura del 02.10.2001 per indeterminatezza dell’oggetto ex artt. 1346 e 1348 c.c., qualificando la questione di nullità come ‘domanda nuova , proposta per la prima volta in appello, di contro al divieto di ius novorum di cui all’art. 345 c.p.c., e sulla quale la appellata ha dichiarato di non accettare il contraddittorio’.
La argomentazione giuridica è errata poiché non si confronta con il principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui il giudice del gravame è obbligato comunque a rilevare di ufficio ogni possibile causa di nullità, ferma la sua necessaria indicazione alle parti ai sensi dell’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ. e deve convertirla ed esaminarla come eccezione di nullità legittimamente
formulata dall’appellante, giusta il secondo comma del citato art. 345 c.p.c. (Cass. Sez. U., 12/12/2014, n. 26243, Rv. 633566 – 01).
La dedotta nullità, però, non sussiste, attesa la determinabilità in concreto dell’oggetto del contratto, in applicazione del principio secondo cui ‘la convenzione con la quale un ente creditizio, in corrispettivo della cessione di tutte le attività mobiliari ed immobiliari di altra banca sottoposta a liquidazione coatta amministrativa, si accolli, tra gli altri, i debiti che dovessero per questa venire ad esistenza a seguito dell’accoglimento delle domande di revoca di pagamenti, proposte a norma dell’art. 67 legge fallimentare della curatela fallimentare di terzi debitori della banca ceduta, configura, alla stregua dei criteri interpretativi dettati dagli artt. 1362 e 1363 cod. civ., non già una promessa o negozio preliminare di accollo, bensì un accollo esterno di un debito futuro, ad oggetto determinabile, essendo identificabili, all’atto della stipula della convenzione, gli eventuali debiti ed i rispettivi creditori’ (Cass. Sez. 1, 23/09/1994, n. 7831, Rv. 487867 – 01)
Nel caso di specie, in particolare, la scrittura privata in questione prevede che la parte cessionaria (COGNOME si impegna ad esonerare e manlevare il Banco di Sicilia S.p.A. da qualunque onere e responsabilità, di qualunque specie, in ordine alle vicende future, anche di natura processuale, del credito oggetto della stessa, stabilendo che le azioni intraprese saranno continuate dal cedente, nell’interesse del cessionario, con spese ed oneri a carico di quest’ultimo.
L’art. 6 dell’accordo, in particolare, prevede che la gestione delle varie azioni legali intraprese sarà di esclusiva competenza dello Spadini, dovendo il Banco di Sicilia S.p.A. attenersi alle indicazioni dallo stesso fornite, “a carico del quale resteranno tutti gli oneri e le spese, di qualunque natura”.
Come rilevato in narrativa, la parte opposta ha corrisposto al custode della procedura esecutiva immobiliare l’importo di euro 7.505,48 e
che, in data 31 maggio 2010, il GE ha emesso decreto di liquidazione in favore del custode, ponendo il relativo onere “a carico solidale di tutti i creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo”.
Ai sensi della scrittura privata del 2 ottobre 2011 alla cessione del credito vantato dal Banco di Sicilia, poi Unicredit, in favore dell’opponente consegue l’obbligo per il cedente di perfezionare le azioni intraprese “con spese ed oneri a carico di quest’ultimo” e che parte opponente avrebbe manlevato la cedente da oneri e responsabilità di qualunque specie, in ordine alle vicende future, anche di natura processuale, del credito oggetto della scrittura privata.
Come rilevato dai giudici di merito le parti hanno pattuito che ‘le azioni intraprese saranno continuate dal cedente, dietro impulso ed indicazione, e nell’interesse, del cessionario, con spese ed oneri a carico di quest’ultimo’ (art. 4).
I motivi, pertanto, vanno rigettati.
Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione – ai sensi dell’art. 360 c. 1, n. 3) c.p.c. – degli artt. 1292 ss. c.c. in riferimento al negozio di ‘accollo interno di debito futuro’ perfezionato tra le parti, in ordine alla solidarietà delle obbligazioni nonché al regresso tra condebitori.
In particolare, sarebbe criticabile l’interpretazione adottata dal giudice del gravame in ordine all’ulteriore censura avanzata in sede d’appello dallo COGNOME consistente nella necessità di qualificare come parziaria l’obbligazione incombente sullo COGNOME cessionario/accollante di restituzione degli esborsi sostenuti dalla Banca cedente/accollata, con conseguente imputazione in capo al predetto cessionario/accollante degli oneri e delle spese della procedura esecutiva che incombevano solo sulla originaria cedente/accollata, S.p.A. Banco di Sicilia, secondo la quota di spettanza scaturita dalla ripartizione del numero dei ‘creditori muniti di titolo esecutivo’.
Il motivo è inammissibile perché consiste in una censura alla interpretazione delle clausole negoziali fornita dalla Corte territoriale, senza alcun riferimento ai criteri di ermeneutica contrattuale.
Al fine di far valere una violazione ermeneutica il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione (artt. 1362 e segg. c.c.) mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 09/10/2012, n. 17168; Cass. 11/03/2014, n. 5595; Cass. 27/02/2015, n. 3980; Cass. 19/07/2016, n. 14715).
Di conseguenza, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. 22/02/2007, n. 4178; Cass. 03/09/2010, n. 19044).
Il richiamo all’art. 1367 c.c. (peraltro riferito al secondo motivo) è solo formale e privo del doveroso rinvio alle considerazioni secondo le quali il giudice del merito si sarebbe discostato dai canoni legali assunti come violati o la allegazione della applicazione di tali canoni sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.
Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-
quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in favore del controricorrente in € 1200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, oltre esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte Suprema di Cassazione in data 14 aprile 2025
Il Presidente NOME COGNOME