Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33637 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33637 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 24633-2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Cividale del Friuli (UD), INDIRIZZO, C.F. e P.IVA P_IVA, in persona del suo direttore generale dr. NOME COGNOME rappresentata e difesa per procura speciale a margine del presente atto, dagli avvocati NOME COGNOME C.F. CODICE_FISCALE, NOME COGNOME, C.F. CSS CODICE_FISCALE, e NOME COGNOME, C.F. CODICE_FISCALE, presso lo studio dei quali ultimi, in Roma (RM), INDIRIZZO elegge domicilio.
-ricorrente –
contro
Fallimento RAGIONE_SOCIALE, C.F. P_IVA, con sede legale in Treviso (TV), INDIRIZZO, in persona del Curatore dr.ssa NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME C.F. CODICE_FISCALE, e dall’Avv.to NOME COGNOME, con studio in Roma, INDIRIZZO presso il quale elegge domicilio.
-controricorrente –
avverso il decreto di rigetto n. cronol. 51/2020 reso dal Tribunale di Treviso, in data 14-22.7.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/11/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.In data 9.11.2006, la Banca di Cividale s.c.p.a. aveva iscritto ipoteca volontaria sui beni di proprietà della RAGIONE_SOCIALEr.l. in bonis a garanzia di un finanziamento concesso. Con atto di assegnazione di beni a soci del 23.12.2008 la società aveva trasferito la proprietà di taluni dei beni al socio NOME COGNOME. Previo frazionamento del mutuo originario, il COGNOME si era accollato le residue rate del mutuo garantito da ipoteca iscritta sui beni assegnatigli.
Con sentenza del 22.07.2013 il Tribunale di Treviso aveva dichiarato il fallimento di RAGIONE_SOCIALE e, con raccomandata a/r del 27.06.2014, il curatore aveva comunicato a Banca di Cividale s.c.p.a. l’intervenuto fallimento.
Nelle more, con domanda trascritta in data 3.02.2014 il curatore aveva proposto domanda revocatoria ex art. 2901 c.c. avente ad oggetto la dichiarazione di inefficacia, nei confronti della procedura, dell’atto di assegnazione dei beni del 23.12.2008.
Il Tribunale di Treviso, in accoglimento della domanda, aveva revocato l’atto di assegnazione con sentenza n. 1623/2017 del 7.07.2017, passata in giudicato per decorrenza del termine lungo di impugnazione in data 7.02.2018.
In data 8.08.2019, la Banca di Cividale s.c.p.a. aveva chiesto di essere ammessa in via privilegiata ipotecaria al passivo del Fallimento V.AN. s.r.l. per la somma complessiva di euro 358.655,39, a titolo di rate scadute e non pagate relative al mutuo che NOME COGNOME si era accollato con l’atto del 23.12.2008. La banca istante aveva esposto di essere venuta a conoscenza della dichiarazione di inefficacia dell’atto di assegnazione dei beni solo nel periodo giugno/luglio 2019, a seguito dei tentativi di pignoramento compiuti in danno dell’inadempiente COGNOME ed aveva dedotto che, essendo venuto meno, con il passaggio in giudicato della suddetta dichiarazione, l’accollo del
mutuo ipotecario, il Fallimento RAGIONE_SOCIALE era ‘rimasto’ quale unico obbligato alla restituzione della somma data a mutuo.
Il Giudice delegato, su proposta conforme del curatore, aveva dichiarato l’inammissibilità dell’istanza, ritenendone non giustificata la tardività, sul rilievo che la Banca di Cividale avrebbe potuto formulare la domanda di insinuazione in qualsiasi momento e che il suo credito eventualmente sarebbe stato ammesso con riserva.
5. La Banca di Cividale s.c.p.a. ha dunque proposto opposizione, ai sensi dell’art. 98 della legge fall ., e il Tribunale, con il decreto qui oggetto di ricorso per cassazione e nella resistenza del Fallimento V.AN. s.r.l.RAGIONE_SOCIALE ha respinto la predetta opposizione, osservando che: (i) ai sensi dell’art. 1273 c.c., l’adesione del creditore al patto di accollo comporta va liberazione del debitore originario solo se ciò costituiva condizione espressa della stipulazione o se il creditore dichiarava espressamente di liberarlo, con la conseguenza che, se non vi era stata liberazione del debitore, quest ‘ultimo rimaneva obbligato in solido con il terzo; (ii) nel caso di specie, la liberazione della debitrice originaria RAGIONE_SOCIALE dall’obbligazione assunta dal terzo NOME COGNOME non si era affatto verificata, posto che l ‘art. 17 dell’Allegato A dell’atto di assegnazione dei beni prevedeva testualmente: ‘ resta comunque ferma ed impregiudicata la facoltà della Banca ex art. 1273, primo comma, cod. civ. di aderire all’accollo così comunicatole. Salva specifica dichiarazione scritta della Banca ex art. 1273, secondo comma, cod. civ. l’accollo non produce liberazione dell’originaria parte finanziata. L’invio degli avvisi di pagamento o di altra certificazione all’accollante non costituisce liberazione del debitore originario ‘ ; (iii) l a liberazione di RAGIONE_SOCIALE non costituiva, all’evidenza, una condizione espressa della stipulazione e nessuna ‘dichiarazione scritta’ era stata resa dalla Banca sul punto né all’atto della conclusione dell’accollo né in occasione delle successive rinegoziazioni delle condizioni accessorie del mutuo; (iv) con l ‘ ulteriore conseguenza che RAGIONE_SOCIALE era rimasta solidalmente obbligata con NOME COGNOME al pagamento delle rate residue del mutuo ipotecario oggetto dell’accollo e che, dunque, Banca Cividale avrebbe potuto proporre l’istanza di insinuazione al passivo , quantomeno dal momento in cui era venuta a conoscenza della dichiarazione di fallimento di
RAGIONE_SOCIALE e ciò in forza della raccomandata del 27.06.2014, la cui ricezione non era stata peraltro contestata da parte dell’opponente e che risulta va comunque documentata; (v) infondata si presentava, pertanto, l’allegazione secondo la quale siffatta possibilità sarebbe sorta solo in conseguenza della dichiarazione di inefficacia dell’accollo e del ‘ripristino della situazione di fatto e giuridica’ precedente ; (vi) questa inerzia non era pertanto giustificata da un errore incolpevole dell’opponente e n on integrava dunque gli estremi della causa non imputabile di cui all’art. 101, ultimo comma, legge fall. ; (vii) ad analoga conclusione di rigetto doveva pervenirsi per la domanda subordinata, che la banca opponente aveva formulato sulla base dell’assunto che la fallita fosse una terza datrice di ipoteca, posto che , non essendo stato l’accollo liberatorio, la fallita era rimasta solidalmente obbligata con il Paludo nei confronti della Banca di Cividale, non risultando perciò conferente il richiamo ai principi elaborati dalla giurisprudenza – sia pure con contrastanti esiti applicativi , con riferimento all’ipotesi in cui i beni del fallito, acquisiti alla massa, siano vincolati a garanzia di un debito altrui.
Il decreto, pubblicato il 22.7.2020, è stato impugnato da Banca di Cividale s.c.p.a., con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui il RAGIONE_SOCIALEr.RAGIONE_SOCIALE. ha resistito con controricorso.
Il fallimento controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la banca ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ‘ Violazione o falsa applicazione da parte del Giudice di merito degli artt. 1273, comma 3, 1362 c.c., e conseguentemente dell’art. 101, ultimo comma, L.F. … per aver ritenuto non liberatorio l’accollo del mutuo stipulato in data 23.12.2008 ‘.
1.1Osserva la società ricorrente che, diversamente da quanto opinato dal Tribunale di Treviso, la menzionata pattuizione di cui all’art. 17 dell’allegato A non era affatto contenuta nell’atto di assegnazione ai soci del 23.12.2008, bensì unicamente negli allegati a completamento del regolamento negoziale disciplinanti il finanziamento fondiario stipulato il 7.11.2006 e, dunque, risalirebbe ad oltre due anni prima dell’assegnazione posta a fondamento dell’accollo, con la conseguenza che sarebbe stato impossibile desumere una
volontà diretta alla liberazione del debitore originario sulla base di disposizioni antecedenti l’accollo medesimo.
1.2 Aggiunge inoltre la ricorrente che, in tema di modificazione del lato passivo del rapporto obbligatorio, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di statuire come la manifestazione della volontà di liberare il debitore originario non debba essere espressa in forme sacramentali, purché sia diretta univocamente a tale risultato, anche mediante un contegno concludente, soprattutto quando, per la prospettata estinzione del debito principale, l’esclusione della solidarietà risponda in concreto all’interesse del creditore e all’intento pratico perseguito dalle parti di assicurare effettivamente al medesimo il soddisfacimento del suo credito. L’errata valutazione in ordine all’effetto dell’accollo, ritenuto dal Tribunale di Treviso cumulativo e non liberatorio, avrebbe determinato la violazione e/o falsa applicazione dal parte del giudice di primo grado dell’art. 101, ultimo comma, L.F., posto che unicamente con il passaggio in giudicato della sentenza di revoca dell’atto di assegnazione ai soci e con il conseguente venir meno dell’efficacia del collegato atto di accollo si sarebbe concretizzato il presupposto per il riconoscimento del credito della Banca in ambito concorsuale.
1.3 Il motivo è inammissibile.
1.3.1 La ricorrente pretende infatti da parte della Corte di cassazione un nuovo apprezzamento dei fatti per inferirne la natura liberatoria dell’originario accollo, profilo sul quale il Tribunale ha speso una motivazione adeguata e scevra da possibili censure di carattere giuridico, risolvendosi la censura qui proposta, dunque, in un nuovo scrutinio della quaestio facti , peraltro articolato sotto l’egida applicativa del vizio di violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
1.3.2 Sul punto giova ricordare che – in tema di ricorso per cassazione – il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione
della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017). Più precisamente è stato affermato sempre dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità che le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019).
2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ‘ degli artt. 1273, comma 3, c.c. e 1293 c.c. e conseguentemente dell’art. 101, ultimo comma, L.F. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), per: a) non aver considerato, in esito ad accollo con rilevanza esterna di mutuo fondiario conseguente ad atto di assegnazione a soci e quand’anche lo stesso accollo dovesse ritenersi privo di effetto liberatorio, il carattere sussidiario dell’obbligazione dell’accollato; b) per aver dunque ritenuto che la Banca avesse diritto di insinuare al passivo fallimentare della compagine il proprio credito derivante dal mutuo fondiario,
senza la preventiva escussione dell’accollante; c) per aver così negato che il diritto all’insinuazione conseguisse al passaggio in giudicato della sentenza con la quale era stata dichiarata l’inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 c.c., dell’atto di assegnazione ai soci dei beni oggetto di ipoteca volontaria a garanzia delle obbligazioni derivanti da mutuo successivamente oggetto di accollo; d) per aver infine così ritenuto, quale conseguenza della esclusiva imputabilità alla Banca del ritardo, inammissibile la domanda di insinuazione formulata dalla Banca ai sensi dell’art. 101, ultimo comma, L.F. ‘
2.1 Secondo la società ricorrente, la motivazione proposta dal Tribunale, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale e di accreditata dottrina, sarebbe stata resa in violazione degli artt. 1273, comma 2, c.c. e 1293 c.c., in quanto, anche secondo la giurisprudenza di legittimità, nell’accollo cumulativo il creditore non può rivolgersi indifferentemente all’accollante o all’accollato o ad entrambi, ma, prima di rivolgersi all’accollato, ha l’onere di chiedere l’adempimento all’accollante senza essere tuttavia tenuto ad escuterlo, agendo in executivis , e solo dopo che la richiesta sia rimasta infruttuosa può rivolgersi all’accollato. In materia di accollo la disciplina della solidarietà non concederebbe al debitore originario il beneficio dell’ordine e il creditore può richiedergli direttamente il pagamento, senza prima doversi rivolgere all’assuntore. Se tuttavia il creditore – come avvenuto nel caso concreto – avesse aderito all’accollo, avrebbe trovato applicazione analogica la regola della delegazione che degrada l’obbligazione del delegante ad obbligazione sussidiaria, pur se solidale. Il nuovo debitore assumerebbe, infatti, su di sé il carico esclusivo dell’obbligazione e l’accettazione del creditore dovrebbe dunque normalmente intendersi come accettazione del nuovo debitore nel suo ruolo di obbligato principale.
2.3 Anche il secondo motivo è inammissibile.
Ritiene il Collegio che, anche a voler superare il pur assorbente rilievo che la doglianza qui in esame sembra essere stata agitata dalla parte ricorrente per la prima volta in questo giudizio di cassazione, le relative censure risultano formulate in modo comunque inammissibile perché non colgono a pieno la ratio decidendi del provvedimento impugnato, e ciò in ragione dell’evidente considerazione che proprio il non contestato rapporto di solidarietà passiva
imponeva comunque l’immediata richiesta di ammissione al passivo in conseguenza anche del rapporto di sussidiarietà dell’obbligazione dell’accollato. Quanto sin qui detto non può essere disgiunto dalla considerazione che è proprio l’art. 96, comma 3, n. 1, l. fall. a prevedere l’ammissione con riserva dei crediti condizionati e di quelli indicati nell’ultimo comma dell’art. 55 l. fall. ove è previsto che tra i crediti ‘condizionali’ sono compresi quelli ‘che non possono farsi valere contro il fallito, se no n previa escussione di un obbligato principale’.
Senza contare che laddove il ricorrente sostiene, nel motivo qui in esame, che l’accollante sarebbe stato ‘ adempiente ‘, anche dopo il decorso dei 12 mesi (cfr. ricorso, p.19), in fondo sollecita questa Corte ad un inammissibile riesame di circostanze di fatto.
Ne discende la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 9.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 27.11.2024