Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 22769 Anno 2025
Civile Ord. Sez. U Num. 22769 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/08/2025
Sul ricorso iscritto al n. r.g. 733-2021 proposto da:
DI NOME COGNOME NOME COGNOME nella qualità di assuntore del Fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
NOME COGNOME in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME e NOME COGNOME
RAGIONE_SOCIALE Capogruppo del Gruppo Bancario Unicredit Albo dei Gruppi Bancari, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME INDIRIZZO presso lo studio
dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2798/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 23/10/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale chiede che la Corte di Cassazione, a Sezioni unite, accolga il ricorso quanto al primo motivo, lo rigetti quanto al terzo , dichiari assorbiti i motivi secondo e quarto.
FATTI DI CAUSA
1.1. Con ordinanza interlocutoria 27263/2024 la prima sezione civile di questa Corte, all’esito della trattazione camerale del ricorso promosso da NOME COGNOME e NOME COGNOME in danno di Unicredit s.p.a. e di Bank Tejarat, banca di diritto iraniano, ma con sede a Parigi, avente ad oggetto la cassazione della sentenza n.2798/2020 con la quale la Corte di appello di Bologna, pronunciando sulla domanda dei ricorrenti nei confronti di Bank Tejarat, aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano, ha rimesso gli atti alla prima presidente perché, in relazione alle questioni sollevate dai ricorrenti con il primo motivo di ricorso, involgenti la trattazione di profili della controversia afferenti al tema della giurisdizione, fosse disposta l’eventuale assegnazione a queste Sezioni Unite ai sensi dell’art. 374 cod. proc. civ.
1.2. Così disponendo la prima presidente, onde schiarire il conseguente quadro decisionale va debitamente premesso in linea di fatto che la controversia di che trattasi si radica nell’ambito del contenzioso che in passato ebbe ad opporre, a causa principalmente dell’inadempimento dei secondi, le imprese italiane che si erano rese fornitrici nei confronti di committenti iraniani, contenzioso a cui aveva inteso porre soluzione l’accordo denominato Credit extension agreement stipulato il 6.9.1995 tra il Mediocredito Centrale
Italiano, poi confluito in Unicredit s.p.aRAGIONE_SOCIALE, a cui le imprese interessate avevano conferito il mandato a negoziare per loro conto, e la Bank Tejarat, in forza del quale quest’ultima si impegnava, per conto dei debitori iraniani, a corrispondere in favore delle imprese italiane creditrici subito il 25% del credito rimasto inevaso e a rilasciare, fino alla concorrenza del saldo, pagherò cambiari o promissory notes che avrebbero dovuto rimanere in custodia presso il Mediocredito, il tutto a fronte della dichiarazione di rinuncia dell’impresa creditrice ad esercitare il proprio credito. L’accordo in questione si dava cura di regolare anche l’eventuale insorgenza di profili contenziosi prevedendo all’art. 17.02 che le Corti inglesi avrebbero avuto giurisdizione esclusiva sulle controversie da esso derivanti o derivanti dalle cambiali o comunque ad esse connesse e all’art. 17.03 che in alternativa, ma limitatamente alle sole controversie derivanti dall’agreement, le parti avrebbero avuto facoltà di adire l’autorità giudiziaria iraniana.
1.3. Tra le imprese aderenti all’accordo figurava anche il Fallimento della RAGIONE_SOCIALE, quantunque il credito di cui essa era titolare nei confronti del proprio corrispondente iraniano fosse stato fatto oggetto di una precedente cessione, quando ancora la creditrice era in bonis , in favore della una società di factoring RAGIONE_SOCIALE.
1.4. Appresa la circostanza, il curatore del Fallimento, in persona dell’odierno ricorrente COGNOME, si premurava di tutelare gli interessi della procedura attivando quattro giudizi: un primo giudizio era promosso a mezzo di ricorso per un provvedimento d’urgenza richiesto nel giugno 1995 avanti al Tribunale di Bologna per sentire dichiarare l’inefficacia della cessione del credito in favore della società di factoring e si concludeva nel 2000 con conforme pronuncia rimasta inoppugnata e passata quindi in giudicato; un secondo giudizio, in ossequio alla proroga della giurisdizione risultate dalle ricordate clausole del Credit extension agreement, era intentato nell’ottobre dello stesso anno in danno di Bank Tejarat avanti ai giudici londinesi con l’intenzione di ottenere la condanna della convenuta, che però in quella sede resisteva svolgendo a sua volta domanda riconvenzionale di ripetizione delle somme già corrisposte, al pagamento del residuo e veniva sospeso su istanza dello stesso
attore; un terzo giudizio nel febbraio 2008 era poi intentato verso Unicredit, richiesta di consegnare i titoli cambiari in suo possesso, e vedeva l’accoglimento della domanda, anch’essa non successivamente opposta e quindi divenuta cosa giudicata, a cui seguiva la consegna all’attore delle cambiali; un quarto giudizio promosso dal COGNOME -cui, nell’occasione, si sarebbe affiancato l’assuntore del concordato fallimentare, COGNOME -che è quello a cui fa capo il ricorso in scrutinio, era infine avviato sulla scorta delle cambiali ottenute in consegna promuovendo un ricorso per ingiunzione nei confronti di Bank Tejarat ed aveva ad oggetto l’intimazione al pagamento della somma di euro 1.881.449,84 quale saldo ancora dovuto del credito originario.
1.5. Nel successivo giudizio di opposizione incardinato da Bank Tejarat, in cui interveniva quale chiamata in causa Unicredit, la banca opponente eccepiva in principalità il difetto di giurisdizione del giudice adito, richiamando, da un lato, le viste disposizioni negoziali contenute nell’accordo di rientro e, dall’altro, opponendo che, anche nell’ipotesi in cui queste si fossero ritenute inapplicabili, in ogni caso era insussistente la giurisdizione del giudice italiano dal momento che era previsto dall’accordo di mandato a suo tempo intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE che il pagamento delle cambiali avvenisse presso la sede londinese di quest’ultimo, sì che in applicazione dell’art. 5, n. 1, della Convenzione di Bruxelles del 1968 in ragione del foro del convenuto andava riconosciuta la giurisdizione inglese.
1.6. Resistevano gli opposti COGNOME che, per quel che qui rileva, replicavano inizialmente che la giurisdizione del giudice italiano era già stata riconosciuta nei procedimenti afferenti alla cessione di credito e alla consegna dei titoli cambiari; osservavano poi che l’argomento ritratto dall’art. 5 n. 1, della Convenzione di Bruxelles del 1968 non era estensibile a Bank Tejarat non essendo stata questa parte dell’accordo di mandato; aggiungevano che la giurisdizione del giudice italiano era stata tacitamente accettata dalla banca ingiunta avendo il giudice adito dato rilevanza nell’occasione alle sole eccezioni di merito rispetto al difetto di giurisdizione; e concludevano che la giurisdizione del giudice italiano era comunque sussistente in base all’art. 6.1.
della Convenzione di Bruxelles, atteso che l’accordo di mandato individuava quale giudice competente il Tribunale di Roma.
All’esito del giudizio di opposizione il Tribunale di Bologna con sentenza 21.5.2013 accoglieva l’eccezione sollevata dalla banca opponente e dichiarava di conseguenza il proprio difetto di giurisdizione.
In sintesi il Tribunale riconosceva il primato dell’intesa negoziale stipulata tra Mediocredito e Bank Tejarat e rimarcava, perciò, che come ivi convenuto, l’accordo di estensione prevedeva, secondo le condizioni di cui ai citati artt. 17.02 e 17.03, la giurisdizione esclusiva dei tribunali inglesi o in alternativa di quelli iraniani. Declinava poi le obiezioni delle controparti opponendo: a) che la banca ingiunta non era stata parte di alcuno dei processi richiamati, aventi peraltro ad oggetto azioni differenti da quella del giudizio in atti; b) che erano prive di effetto sulla proroga di giurisdizione risultante dalle citate disposizioni dell’agreement le modalità di ritrasferimento pattuite nell’accordo di mandato; c) che Bank Tejarat non aveva mai accettato la giurisdizione italiana, essendosi difesa nel merito subordinatamente al rigetto dell’eccepito difetto di giurisdizione; e d) che nessuna domanda coeva a quella proposta per mezzo dell’ingiunzione era stata promossa nei confronti di Unicredit tanto da poter rendere applicabile l’art. 5 della Convenzione di Bruxelles.
1.7. La sentenza di primo grado era gravata di appello dai COGNOME–COGNOME che, per quanto qui interessa, deducevano, nell’ordine, a) che, afferendo la lite alla materia fallimentare, alle controversie di tal fatta non si applicano le disposizioni della Convenzione di Bruxelles né quelle successive -richiamabili nella specie ratione temporis -del reg. 44/2001, sì che la domanda riconvenzionale della banca ingiunta di restituzione di quanto a suo tempo pagato genera un vis attractiva del procedimento al foro fallimentare; b) che le clausole di cui agli artt. 17.02 e 17.03, configurando una concorrente giurisdizione dei giudici inglesi e dei giudici iraniani, erano affette da nullità per indeterminatezza e totale contraddittorietà; c) che l’azione da loro promossa non era fondata sull’agreement, non avendo essi inteso azionare l’azione cambiaria o l’azione causale sottesa all’emissione dei provvisory notes, ma era fondata sul credito originario; ed in ultimo d) che Bank Tejarat
si era volontariamente assoggettata alla giurisdizione del giudice italiano allorché aveva chiesto al giudice delegato di accantonare i pagamenti effettuati e le cambiali ottenute in restituzione.
1.8. La Corte di appello di Bologna con sentenza 2798/2020 -che è la sentenza di cui qui si discute -ha rigettato il gravame ed ha così confermato la declinatoria di giurisdizione del giudice italiano.
Nel dettaglio, il decidente ha ricusato tutte le contestazioni degli appellanti COGNOME–COGNOME.
RG 733/2021 Di NOME-BankTejarat Ha, perciò, escluso, nell’ordine, in relazione all’oggetto della lite: a) la sussistenza di una riserva fallimentare, dal momento che se, più in generale, «la esplicita esclusione delle materie del ‘fallimento, concordati e procedure affini’ dall’ambito applicativo della Convenzione di Bruxelles, poi sostituita dal Reg. CE 44/2001, è da interpretare in termini restrittivi», nel merito è poi affermazione corrente, a cui recano pari conforto la giurisprudenza unionale e quella di queste Sezioni Unite, ritenere che siano «connesse alla procedura fallimentare quelle sole azioni derivanti direttamente dal fallimento e che siano strettamente inserite nel procedimento fallimentare, attribuendo così rilevanza all’intensità del legame esistente ‘tra l’azione giurisdizione come quella oggetto della causa principale e la procedura di insolvenza’»; nessun ostacolo in questa direzione può invero argomentarsi dalla pretesa riconvenzionale della banca, vuoi perché, «a differenza di quanto sostenuto dagli appellanti, la Banca iraniana non aveva avanzato alcuna domanda riconvenzionale di restituzione degli importi in sede di opposizione a decreto ingiuntivo tale da determinare la vis attractiva della questione all’interno della competenza del Giudice Fallimentare, ex art. 43 l.fall.», vuoi perché «anche qualora fosse stata proposta domanda riconvenzionale, l’orientamento della Suprema Corte è nel senso di ritenere che la proposizione della riconvenzionale (comunque inammissibile o improcedibile nel giudizio di cognizione ordinaria, dovendo essere proposta con domanda di ammissione al passivo) non ostacoli il proseguimento del giudizio innanzi al giudice competente per la domanda proposta dal curatore, essendo la domanda di recupero dei crediti del fallito proposta dal curatore, in ragione della sua
preesistenza rispetto al patrimonio del fallito, non contemplata nel novero delle azioni derivanti dal fallimento (Cass. Sezioni Unite 10.12.2004 n. 23077)»; b) l’eccepita nullità per indeterminatezza e contraddittorietà degli artt. 17.02 e 17.03, posto che «il tenore letterale della disposizione richiamata è assolutamente chiaro ed univoco nello stabilire che ciascuna delle parti del suddetto accordo si sottopone alla giurisdizione esclusiva delle corti inglesi di Londra circa eventuali controversie che possano sorgere dal o in relazione al Credit Extension Agreement o alle cambiali» e che, fermo altresì quanto previsto dalla clausola 17.03, «i contraenti accettano altresì che qualsiasi procedimento sorto dal o in relazione al Credit Extension Agreement (e non anche dalle o in relazione alle cambiali) possa essere promosso innanzi alle corti iraniane. Di conseguenza, per le controversie derivanti dall’accordo hanno giurisdizione alternativamente il giudice inglese o il giudice iraniano mentre per le controversie riguardanti le cambiali le parti possono agire solamente innanzi al giudice inglese»; c) l’allegazione che l’azionata domanda avesse fondamento nel credito originario, oltre che per la novità della questione, perché «contraddittoria atteso che nella comparsa di risposta di primo grado avevano precisato di agire proprio alla stregua del ‘rapporto giuridico sottostante, di cui al Credit Extension Agreement »; d) l’argomentazione secondo cui la Banca iraniana si era assoggettata volontariamente alla giurisdizione italiana, sulla considerazione che l’istanza per l’accantonamento delle somme di denaro e dei titoli in possesso del curatore «non poteva che essere rivolta al Tribunale di Bologna, ove era incardinata la procedura fallimentare di RAGIONE_SOCIALE» e, quanto «ai procedimenti promossi dal Fallimento RAGIONE_SOCIALE innanzi al Tribunale di Bologna, prima nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e poi avverso Unicredit, la circostanza che il giudice abbia accolto le domande del Fallimento RAGIONE_SOCIALE non implica alcuna accettazione della giurisdizione italiana da parte di Bank Tejarat»; infatti «Bank Tejarat non ha partecipato quale parte in causa nei suddetti procedimenti e dunque non avrebbe mai potuto eccepirne o impugnarne l’esito per manifestare una qualche forma di accettazione» e «si tratta inoltre di cause dotate di causae petendi e petita differenti rispetto a quelli della
presente causa, in cui l’Agreement è sempre rimasto sullo sfondo, sino ad essere, nel procedimento avverso LFC, del tutto estraneo alla materia del contendere non essendo la società inglese parte contraente del suddetto accordo», fermo in ogni caso che non si è al riguardo formato alcun giudicato esterno, «atteso che la sua formazione è subordinata alla condizione che i processi abbiano ‘per oggetto cause identiche, non solo soggettivamente ma anche oggettivamente, a quelle in cui si è formato il giudicato esterno’ (Cass. civ. S.U. 27.01.1993 n. 1007; Cass. civ. S.U. 2.3.2018 n. 4997)».
1.9. La cassazione di detta sentenza è stata chiesta dai soccombenti COGNOMECOGNOME con un ricorso affidato a quattro motivi seguito da memoria e resistito dalle banche intimate con controricorso e memoria.
RG 733/2021 Di NOME-BankTejarat 1.10. In particolare con il primo motivo di ricorso -che é alla radice dell’ordinanza di remissione -i ricorrenti deducono la «erronea statuizione sulla giurisdizione e sulla competenza inderogabile, violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, segnatamente l’art. 3, comma 2, 4 e 11, legge n. 218/1995, l’art. 24 L.f., gli articoli 21, 22, 25 e 28 della Convenzione di Bruxelles del 26 gennaio 1968, in relazione all’art. 360, primo comma, numeri 1, 2, 3, 4, c.p.c.». L’impugnata decisione si mostrerebbe, ad avviso dei ricorrenti, viziata in parte qua : 1) per aver accolto un’interpretazione restrittiva dell’esclusione della materia fallimentare dall’ambito applicativo della Convenzione di Bruxelles e per aver in tal modo negato la giurisdizione del giudice nazionale malgrado, in ragione della natura fallimentare della lite, la fattispecie si sottraesse all’applicazione della disciplina pattizia e si rendesse perciò applicabile l’art. 3, comma 2, l. 31 maggio 1995, n. 218, con il riconoscimento della giurisdizione italiana e, quindi, della competenza esclusiva del Tribunale di Bologna; 2) per aver disatteso il dettato dell’art. 11 l. 218/1995, posto che la giurisdizione italiana era stata implicitamente accettata dalla banca convenuta avendo costei instato il giudice dell’opposizione al decreto ingiuntivo perché ne sospendesse l’esecutorietà e chiesto al giudice delegato l’accantonamento dei pagamenti e delle cambiali rilasciate a garanzia; 3) per aver ignorato il giudicato formatosi sulla giurisdizione del giudice italiano in conseguenza dei pronunciamenti
intervenuti in punto alla cessione del credito a suo tempo operata in favore della società di factoring e alla consegna dei titoli, divenuti definitivi perché non oggetto di impugnazione; 4) per aver comunque disconosciuto la giurisdizione del giudice italiano, malgrado alla luce della pronunciamenti in ordine all’inefficacia della cessione del credito e alla consegna dei titoli ingiunta ad Unicredit, dovessero applicarsi gli articoli 21, 22, 25 e 28 della Convenzione di Bruxelles del 1968, ove si prevede che se il giudice di uno Stato contraente abbia dichiarato in una propria decisione la sussistenza della propria giurisdizione o si sia dichiarato competente a conoscere anche con riferimento a cause connesse, tale statuizione non può più essere oggetto di esame e di diversa pronuncia da parte di un giudice di altro Stato contraente, restando la giurisdizione radicata avanti a questo giudice.
1.11. Di seguito alla richiamata ordinanza interlocutoria e alla assegnazione della controversia a queste Sezioni Unite il Procuratore Generale ha fatto conoscere le proprie conclusioni chiedendo che sia accolto il primo motivo di ricorso, siano dichiarati assorbiti il secondo ed il quarto e rigettato il terzo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In funzione delimitativa dell’odierna trattazione va precisato che la Prima sezione civile ha inteso rimettere all’esame di queste Sezioni Unite solo il primo motivo di ricorso con cui si contesta il capo della decisione impugnata che ha disconosciuto la giurisdizione del giudice italiano a pronunciarsi sulla materia oggetto di lite.
Peraltro, anche rispetto a questo ambito, il sindacato qui sollecitato si mostra ancora più ristretto, dato che l’ordinanza interlocutoria, richiamandosi quanto alle altre questioni all’art. 374, comma 1, cod. proc. civ. -in guisa del quale anche sui ricorsi per motivi di giurisdizione è in facoltà delle sezioni semplici potersi pronunciare “se sulla questione di giurisdizione proposta si sono già pronunciate le sezioni unite” -ha inteso sollecitare queste Sezioni Unite unicamente in relazione ai profili 2 e 4 del punto 1.10. della pregressa narrativa di fatto.
4. Il compito a cui perciò sono chiamate a dare risposta queste Sezioni Unite afferisce ai predetti profili, leggendosi al riguardo nell’ordinanza di rimessione che «11. Ad avviso di questo Collegio, però, resta da affrontare dalle Sezioni Unite di questa Corte, non trattandosi di questioni sulle quali la pronuncia possa essere rimessa alla sezione semplice, sia la questione in ordine alla “accettazione implicita” della giurisdizione italiana da parte di COGNOME (avendo quest’ultima chiesto la sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo opposto al giudice ordinario, oltre che l’accantonamento somme al giudice delegato del Fallimento), sia quella sulla applicazione degli artt. 21, 22, 25 e 28 della Convenzione di Bruxelles 12. – Occorre difatti valutare, da un lato, se è intervenuta una accettazione tacita della giurisdizione del giudice italiano e, dall’altro, la deduzione dei ricorrenti per cui la giurisdizione italiana deriverebbe dalla previsione di cui agli articoli 21, 22, 25 e 28 della Convenzione di Bruxelles del 1968, ove si prevede che se il giudice di uno stato contraente ha dichiarato in una propria decisione la sussistenza della propria giurisdizione o si sia dichiarat(o) competente a conoscere anche con riferimento a cause connesse, tale statuizione non può più essere oggetto di esame e di diversa pronuncia da parte di un giudice di altro stato contraente, restando la giurisdizione radicata avanti questo giudice».
5. Ciò premesso, ritengono le SS.UU. che l’argomento illustrato dai ricorrenti con riferimento al tema sollevato al richiamato punto 2 non meriti adesione, ancorché il suo accoglimento sia stato caldeggiato dal Procuratore Generale dell’avviso, rassegnato nelle proprie requisitorie, che «l’istanza formulata dalla Banca iraniana di sospensione cautelare della provvisoria esecutività del decreto opposto, nonché l’istanza della medesima al giudice delegato diretta ad ottenere l’accantonamento di somme e titoli in possesso del curatore indubbiamente integrano fatti concludenti dai quali è dato trarre il fatto dell’assoggettamento alla giurisdizione nazionale. Nessuna delle due istanze è subordinata a eccezioni di difetto di giurisdizione né questione di giurisdizione viene adombrata. Come sostenuto dai ricorrenti, ciò ha implicato
l’accettazione tacita della giurisdizione secondo la previsione di cui all’art. 11 cit.».
6. La tesi dei ricorrenti, come quella del Procuratore Generale, si basa sul principio codificato con l’art. 11 l. 218/1995, in forza del quale “il difetto di giurisdizione può essere rilevato, in qualunque stato e grado del processo, soltanto dal convenuto costituito che non abbia espressamente o implicitamente accettato la giurisdizione italiana». La norma deve la sua introduzione nell’ordinamento interno alla preesistente previsione contenuta nell’art. 18 della Convenzione di Bruxelles e replicata, poi dall’art. 24 Reg. Ce 44/2001 e dall’art. 26 Reg. UE 1215/2012 a tenore del quale ” … l’autorità giurisdizionale di uno stato membro avanti al quale il convenuto sia comparso è competente. Tale norma non è applicabile se la comparizione avviene per eccepire l’incompetenza …”.
Come ha da tempo chiarito la giurisprudenza unionale le norme in parola dettano «una regola di competenza giurisdizionale fondata sulla costituzione del convenuto per tutte le controversie in cui la competenza giurisdizionale del giudice adito non risulti da altre disposizioni del regolamento stesso. Tale disposizione si applica anche nei casi in cui il giudice sia stato adito senza osservare le disposizioni del regolamento medesimo e implica che la costituzione del convenuto possa essere considerata quale accettazione tacita della competenza giurisdizionale del giudice adito e, quindi, quale proroga della competenza giurisdizionale del medesimo. . La proroga tacita di competenza del giudice adito è esclusa nel caso in cui il convenuto sollevi eccezione di incompetenza giurisdizionale, esprimendo in tal modo la propria volontà di non accettare la competenza di detto giudice, ovvero qualora si tratti di controversie per le quali il precedente art. 22 prevede regole di competenza esclusiva» (così in motivazione, ex plurimis , Corte giust UE, 20/05/2010, in causa C-111/09, Ceská podnikatelská pojištovna as, Vienna Insurance Group).
Questa linea di pensiero trova puntuale riscontro nella giurisprudenza di rito interno. Che « il difetto di giurisdizione nei confronti dello straniero non possa essere sollevato da quest’ultimo, che si sia costituito in giudizio,
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accettando espressamente o tacitamente la giurisdizione italiana e che tale accettazione è ravvisabile se egli si costituisce davanti al giudice italiano e non pone in limine litis la questione di giurisdizione» è affermazione risalente nella giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. U, 29/03/1973, n. 863). Anche nel vigore della l. 218/1995 si è reiterato il giudizio che, siccome «la contestazione della giurisdizione del giudice italiano resta preclusa ove non proposta dal convenuto con il suo primo atto difensivo» (Cass., Sez. U, 24/10/2006, n. 22818), «sussiste la giurisdizione italiana per accettazione tacita nei confronti dello straniero, il quale non abbia eccepito, e neppure in alcun modo adombrato, il difetto di giurisdizione del giudice italiano nella sua comparsa di costituzione e risposta» (Cass., Sez. U, 23/11/2000, n. 1200). Si è al riguardo precisato, in stretta adesione ai principi del diritto unionale, che «l’accettazione della competenza giurisdizionale del giudice adito resta esclusa non solo quando il convenuto, con la prima difesa, si sia limitato a contestare la giurisdizione, ma anche quando abbia sollevato congiuntamente eccezioni di merito, purché, in via subordinata rispetto a quella relativa alla giurisdizione stessa» (Cass., Sez. U, 21/05/1986, n. 3376); al contrario, «la cosiddetta proroga tacita di cui all’art. 18 deve ravvisarsi se, in aggiunta ad altre deduzioni difensive, chieda di queste l’esame e la soluzione in via prioritaria rispetto alla questione di giurisdizione» (così in motivazione, Cass., Sez. U, 28/03/1990, n. 2500). Si è così consolidato l’assunto che «lo straniero, convenuto in giudizio in Italia , non può rilevare il difetto di giurisdizione del giudice italiano, qualora ne abbia accettato espressamente o tacitamente la giurisdizione, ravvisandosi la tacita accettazione nel caso in cui egli si sia costituito e, senza porre “in limine litis” la questione di giurisdizione, si sia difeso nel merito, ovvero si sia limitato ad opporre eccezioni procedurali o l’inammissibilità della domanda, implicando dette eccezioni, ove non subordinate all’espressa eccezione del difetto di giurisdizione, l’ammissione della sussistenza del potere del giudice italiano di decidere la causa» (Cass., Sez. U, 10/06/1994, n. 5640). Sviluppi più recenti, (cfr. SS.UU. 9971/2024), hanno portato ad allargare il campo di inapplicabilità dell’accettazione tacita anche alle domande riconvenzionali, essendosi osservato a più riprese che « l a
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proposizione di difese di ordine procedurale o di una domanda riconvenzionale da parte del convenuto straniero non comporta accettazione tacita della giurisdizione del giudice italiano, qualora venga espressamente subordinata al mancato accoglimento dell’eccezione di difetto di giurisdizione di detto giudice» (Cass., Sez. U, 28/03/2006, n. 7035).
Lo stato della giurisprudenza è ora, dunque, questo: 1) la giurisdizione italiana nei confronti del convenuto straniero resta inoppugnabile in caso di accettazione espressa; 2) parimenti resta ferma in caso di accettazione tacita che si ha quando la giurisdizione non sia stata esplicitamente contestata o quando il convenuto si sia difeso solo nel merito; 3) essa viene invece meno nel caso in cui, eccepito il difetto di giurisdizione del giudice italiano e difendendosi nel merito, il convenuto abbia subordinato la disamina delle eccezioni procedurali o delle difese di merito al mancato accoglimento dell’eccezione di giurisdizione; 4) la giurisdizione italiana viene meno anche nel caso in cui il convenuto, eccepito il difetto di giurisdizione, abbia svolto domanda riconvenzionale, ma abbia subordinato la decisione si questa al mancato accoglimento dell’eccezione di giurisdizione.
Ciò, come anticipato, smentisce alla radice la fondatezza dell’argomento in disamina.
E’ convinzione, sul punto, da ultimo sintetizzata dai ricorrenti davanti a queste SS.UU. che, poiché un’eventuale iniziale eccezione di giurisdizione del giudice adito possa essere rinunciata espressamente o tacitamente dal convenuto, come nella specie sia evidente che « detta rinuncia sia in tutto e per tutto integrata dalla proposizione delle due istanze che Bank Tejarat ha formulato, avanti alla Corte di appello di Bologna, per la sospensione dell’esecuzione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto. L’opponente, in esse, non ha in alcun modo fatto menzione della sua volontà di insistere nella contestazione della giurisdizione del giudice adito»; parimenti, posto che la funzione delle norme richiamate è quella di tutelare il legittimo affidamento che l’attore ripone nell’attendibilità delle dichiarazioni o delle condotte del convenuto, in ragione delle quali si possa credere che egli intenda accettare o comunque non contestare la giurisdizione italiana in un futuro giudizio, «nella
fattispecie che ci riguarda una simile condotta inequivoca è sicuramente quella di Bank Tejarat, la quale ha chiesto l’accantonamento di somme al giudice delegato del fallimento senza formulare riserve in punto di giurisdizione».
10.1. Né l’una, né l’altra sottolineatura portano alla conclusione auspicata dai ricorrenti.
10.2. Non la prima -che fa leva sull’argomento della tacita rinuncia all’eccezione di giurisdizione posta in essere da Bank Tejarat -poiché dalla consultazione degli atti processuali a cui la Corte può procedere in ragione del vizio denunciato (così, ancora in motivazione, SS.UU. 9971/2024), consta esattamente il contrario. Ne sono prova l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, ove la banca ha anzitutto formulato l’eccezione di giurisdizione nel paragrafo 3 e quindi nel paragrafo 4 ha avuto cura di precisare che «le seguenti eccezioni, come pure la successive difese di merito, sono proposte solo in via subordinata in caso di mancato accoglimento dell’eccezione di difetto di giurisdizione sopra prospettata», soggiungendo, poi, al paragrafo 6, che «le circostanze svolte sopra circa il difetto di giurisdizione, sono elementi tali da giustificare, sotto il profilo del fumus boni iuris, la revoca (rectius sospensione) della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto, poiché lo stesso non avrebbe comunque potuto essere emesso, indipendentemente da qualsiasi valutazione relativa al merito della domanda (le cui eccezioni e difese sono state proposte solo in via subordinata)». Impostazione difensiva, questa, poi ribadita proprio con le istanze cautelari di cui discorrono i ricorrenti; infatti con istanza del 19.10.2010, Bank Tejarat, nel chiedere al giudice dell’opposizione di fissare l’udienza per discutere della sospensiva ai sensi dell’art. 649 cod. proc. civ., richiamava anzitutto la propria eccezione di giurisdizione tra «le questioni che appaiono di per sé sufficienti a giustificare il provvedimento richiesto»; e nell’insistere nuovamente per la concessione della misura con istanza 31.03.2011 la banca ribadiva il proprio convincimento che «le eccezioni prospettate nell’atto di citazione giustificano, sotto il profilo del fumus boni iuris, la richiesta sospensione», con ciò intendendo confermare anzitutto l’eccezione di giurisdizione.
RG 733/2021 COGNOME Stefano-BankTejarat
Coerentemente perciò a quanto si è anticipato in linea di diritto le sollecitazioni indirizzate al giudice dell’opposizione ai fini della sospensione dell’esecutorietà dell’ingiunzione non possono intendersi quale rinuncia implicita e, quindi, quale accettazione tacita da farsi valere ai sensi dell’art. 11 l. 218/1995, all’eccepito difetto di giurisdizione del giudice italiano, in quanto la loro delibazione è sempre stata espressamente condizionata al mancato accoglimento dell’eccezione di giurisdizione.
10.3. Ma neppure la seconda -che, in relazione alla richiesta di accantonamento indirizzata al giudice delegato da Bank Tejarat, non accompagnata anche dalla reiterazione dell’eccezione di giurisdizione, fa leva sull’affidamento che la parte è portata a riporre sull’attendibilità delle dichiarazioni condotta altrui -giacché le Sezioni Unite reputano senz’altro di dover aderire al punto di vista espresso al riguardo dal giudice di appello («l’istanza di Banque Tejarat per l’accantonamento delle somme di denaro e dei titoli in possesso del curatore non poteva che essere rivolta al Tribunale di Bologna, ove era, incardinata la procedura fallimentare di RAGIONE_SOCIALE); ma in pari tempo non possono non osservare che, qualunque ne sia la forma, l’accettazione di cui all’art. 11 l. 218/1995 è comunque espressione di una deliberazione volitiva liberamente assunta dal convenuto che, senza esserne obbligato, accetta anche in forma tacita o ricusa in forma espressa la giurisdizione del giudice italiano avanti al quale sia chiamato a comparire. Questa condizione non è all’evidenza riconoscibile nel caso in cui la scelta del convenuto non sia libera ed egli non possa che indirizzare, se non al giudice adito dall’attore, le proprie istanze di difesa. Rettamente, perciò, si deve escludere come già esplicitato dal decidente del grado che sia ravvisabile un atto di accettazione tacita della giurisdizione italiana nell’inoltrare al giudice delegato e non ad altri l’istanza di accantonamento dei denari e dei titoli corrispondenti al credito.
11. Non allontana dalla conclusione che le SS.UU. intendono dare alla questione rimessa con l’ordinanza interlocutoria neppure il profilo richiamato al punto 4 del pregressa narrativa di fatto.
Al riguardo i ricorrenti, invocano il gli arrt. 21, 22, 25 e 28 della Convenzione di Bruxelles e fanno valere il precetto secondo cui, qualora il giudice di uno Stato contraente abbia dichiarato in una propria decisione la sussistenza della propria giurisdizione o si sia dichiarato competente a conoscere anche con riferimento alle cause connesse, «tale statuizione non può più essere oggetto di esame e di diversa pronuncia da parte di un giudice di altro Stato contraente, restando la giurisdizione radicata avanti a questo giudice» per sostenere che una tale eventualità sarebbe occorsa nel caso di specie all’atto in cui il giudice nazionale aveva dichiarato l’inefficace del negozio di cessione del credito ed aveva disposto in adesione al ricorso per ingiunzione proposto dal curatore del fallimento la restituzione in favore di questo dei titoli già a mani di Unicredit, giudizi questi che si mostrerebbero «entrambi strettamente connessi al presente giudizio».
Ancorché, per come declinata, l’allegazione possa portare a credere il contrario, il collegio reputa, alla luce di quanto già affermato dalla sezione semplice, che il tema di investigazione che l’ordinanza interlocutoria abbia voluto rimettere alla trattazione delle SS.UU. investa il solo profilo della connessione ipotizzata tra la controversia odierna e quelle definite con le pronunce a cui hanno inteso fare richiamo i ricorrenti.
Residuando, dunque, all’attenzione delle SS.UU. il solo tema della connessione occorre al riguardo ricordare in via di principio che secondo un comune insegnamento della giurisprudenza unionale ( ex plurimis , Corte giust. UE, 13/02/2025, in causa C-393/23 RAGIONE_SOCIALE) e condiviso anche dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. U, 15/12/2020, n. 28675) con particolare riferimento all’analogo criterio che consente il cumulo soggettivo ai sensi ora dell’art. 8 Reg. 1215/2012, le regole di competenza speciale, poiché sono dettate in deroga alla competenza generale del foro del domicilio del convenuto, devono essere oggetto di un’interpretazione restrittiva e non devono consentire un’interpretazione che vada oltre le ipotesi prese in considerazione esplicitamente dal citato regolamento. E’ ben vero che, come ancora si ripete dalla giurisprudenza della Corte UE, le deroghe di che trattasi rispondono all’intento di agevolare la buona amministrazione della
giustizia, di ridurre al minimo la possibilità di pendenza di procedimenti paralleli e di evitare così decisioni eventualmente tra loro incompatibili in caso di trattazione separata (Corte giust., 20/04/2016, in casua C-366/13, Profit Investment); ma come si è già raccomandato in sede interna, paventando segnatamente il fenomeno del c.d. forum shopping a cui potrebbe dare ingresso l’applicazione della norma in presenza di una connessione “debole” (Cass., Sez. U, 5/11/2021, n. 31963), la connessione, a cui oggi fa richiamo anche l’art. 30 Reg UE 1215/2012, -ma che pure già così era regolata dall’art. 22 della Convenzione di Bruxelles -non è evocabile «qualora le domande abbiano oggetto e titolo diversi, siano tra loro compatibili, e non una subordinata all’altra, e non sussista il rischio di decisioni incompatibili, ma solo la possibilità di una divergenza nella loro soluzione o la potenziale idoneità dell’accoglimento di una di esse a riflettersi sull’entità dell’interesse sotteso all’altra» (Cass., Sez. U, 11/05/2017, n. 11519). Se questo, dunque, già basta per escludere che si possa far luogo ad uno spostamento della competenza in quanto non si rende, in ragione dei descritti indici, ravvisabile tra le cause di cui si asserisce la connessione “un collegamento cosi stretto da rendere opportuna un’unica trattazione e decisione per evitare il rischio di giungere a decisioni incompatibili derivante da una trattazione separata”, nondimeno può credersi che un siffatto collegamento si renda riconoscibile in relazione alle cause di che trattasi che, come bene ha sottolineato il Procuratore Generale, non condividono con la causa in trattazione, all’evidenza, né la causa petendi né tantomeno il petitum e che devono unicamente la loro evocazione in questo giudizio in quanto eventi riconducibili alla parabola originata dal fallimento dell’originaria creditrice.
Il motivo di ricorso, nei limiti in cui è stato oggetto qui di esame, va dunque integralmente rigettato.
La causa va rimessa nuovamente alla I sezione civile di questa Corte per l’ulteriore seguito.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo di ricorso e rimette la causa alla I sezione civile della Corte per l’ulteriore seguito.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della Sezioni Unite civili il giorno 25 marzo 2025.
Il Presidente
NOME COGNOME