SENTENZA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI N. 6337 2025 – N. R.G. 00002337 2021 DEPOSITO MINUTA 09 12 2025 PUBBLICAZIONE 09 12 2025
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Napoli – ottava sezione civile – in persona dei magistrati
Dr. NOME COGNOME
Presidente
Dr. NOME COGNOME
Consigliere est.
Dr.ssa NOME COGNOME
Consigliere
allo scadere del termine assegnato per il deposito di note ex art 127 ter c.p.c., ha pronunziato e curato il deposito, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., della seguente:
S E N T E N Z A
nella causa in grado di appello iscritta al n. 2337 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2021 con OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo in materia di appalto e vertente
TRA
(c.f. ) elettivamente domiciliata in Napoli alla INDIRIZZO presso l’AVV_NOTAIO (c.f. ) che la rappresenta e difende, in uno all’AVV_NOTAIO (c.f. ), in virtù di procura a margine dell’atto di appello.
APPELLANTE
E
in persona dell’Amministratore Unico , con sede legale in INDIRIZZO (P. Iva , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (C.F. ), con il quale ha eletto domicilio in INDIRIZZO, in virtù di procura alle liti allegata P.
alla comparsa di costituzione depositata telematicamente. C.F.
APPELLATA
E
con sede in INDIRIZZO (P. Iva: ), in persona del rappresentante legale pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO presso il procuratore costituito in primo grado, AVV_NOTAIO. P.
nata a Formia il DATA_NASCITA (C.F. ) ed elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO presso l’AVV_NOTAIO (C.F. ) da cui è rappresentata e difesa giusta procura allegata alla comparsa depositata telematicamente il 26.9.24;
INTERVENTRICE VOLONTARIA
CONCLUSIONI
PER L’APPELLANTE : ‘Nel riportarci all’atto di appello, ai documenti prodotti, al verbale di mediazione negativo, alle note conclusive dell’1 -3-12.2025, si conclude come da atto di appello, verbali e note conclusive, impugnando ogni avverso dedotto, richiesta, eccezione. Si ribadisce il giudicato interno sui capi della sentenza non impugnati da controparte.
PER : ‘E’ presente, per l’interveniente e per l’appellata l’AVV_NOTAIO il quale si riporta alla propria comparsa di costituzione e risposta depositata in data 16.07.2021, all’atto di intervento depositato in data 26.09.2024 per , a tutti i pregressi verbali, atti di parte e documenti versati in giudizio e alle autorizzate note illustrative depositate in data 2/12/2025, chiedendone l’integrale accoglimento e contestuale rigetto dell’appello. In ogni caso, si voglia: 1) Dichiarare improcedibile e/o inammissibile l’appello proposto e per l’effetto, in ogni caso, confermare la sentenza gravata; 2) Rigettare nel merito il gravame in quanto infondato in fatto ed in diritto e, per l’effetto, in ogni caso, confermare la sentenza gravata; 3) Con vittoria di spese e compensi del doppio grado di giudizio, oltre rimborso forfettario per spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge con distrazione in favore del procuratore anticipatario’.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con ricorso ex artt. 633 e ss. c.p.c. la ha chiesto al Tribunale di S. NOME Capua Vetere di ingiungere a il pagamento della somma di € 46.200,00 oltre interessi e spese legali.
A sostegno della domanda la società ricorrente ha dedotto che, con contratto del 02.11.2010, le affidava in appalto lavori di ristrutturazione e finitura dell’immobile sito in Cellole alla INDIRIZZO e che, con l’art. 7 di detto contratto, la committente nominava quali propri rappresentanti nei rapporti con
l’impresa appaltatrice i figli e .
Ha ancora dedotto l’istante che il corrispettivo dei lavori eseguiti, accettati e mai contestati dalla controparte, ammontava a € 108.000,00 oltre iva, computati a misura come da contratto, e che, a fronte di tale importo la aveva versato soltanto acconti restando debitrice della somma di € 42.000,00 oltre Iva come risultava dalla ricognizione di debito sottoscritta dal rappresentante contrattuale della committente avente il seguente tenore testuale: ‘Da tot. 108.000 acc. 66.250 Conto finito € 42.000,00’.
Il provvedimento monitorio, emesso il 25.10.2011 e notificato il 15.11.2011, è stato tempestivamente opposto dall’ingiunta che ha citato innanzi al Tribunale di Santa NOME Capua Vetere la chiedendo la revoca dell’ingiunzione di pagamento adottata in suo danno. In particolare, l’opponente ha disconosciuto il preteso atto di riconoscimento di debito non contenente alcun riferimento al contratto di appalto, privo di data e luogo di sottoscrizione e contenente una mera elencazione di numeri.
Ha ancora eccepito di aver corrisposto alla tutto quanto dovuto in relazione al contratto concluso e che i lavori non erano stati eseguiti a regola d’arte presentando una serie di vizi, immediatamente contestati all’impresa appaltatrice al termine dei lavori stessi, così riassumibili: a) non corretta posa in opera del porfido esterno e delle relative fughe; b) intonaco del vano garage con notevoli macchie di umidità; c) non corretta posa in opera della pavimentazione, lato ingresso pedonale; d) rottura mattonelle al piano terra; e) mancanza di stucco alle mattonelle del vano scala. La committente ha infine eccepito che i lavori, iniziati nell’ottobre del 2009, venivano consegnati con notevole ritardo solo alla fine del mese di luglio del 2011.
Sulla scorta di tali allegazioni in fatto, l’opponente ha quindi chiesto di dichiarare l’inesistenza, nullità e/o inefficacia dell’atto di ricognizione di debito posto a fondamento del ricorso monitorio e di rigettare la domanda proposta dalla Ha, inoltre, spiegato domanda riconvenzionale di condanna dell’opposta al pagamento della somma necessaria per eliminare i vizi dei lavori eseguiti, nonché al pagamento di € 30.000,00 a titolo di penale per il ritardo nella consegna dell’opera, chiedendo, in subordine, la compensazione parziale delle somme richieste da controparte con il maggior credito vantato.
Si è costituita la chiedendo il rigetto dell’opposizione e della domanda riconvenzionale proposta, in quanto infondate in fatto ed in diritto.
Nello specifico l’opposta ha eccepito l’inammissibilità del disconoscimento della ricognizione di debito in quanto non proveniente dal suo sottoscrittore. Ha inoltre eccepito il maturare della decadenza prevista dall’art.
1667 c.c. essendo la contestazione dei lavori tardivamente intervenuta solo alcuni mesi dopo la loro ultimazione e successivamente all’atto di riconoscimento di debito che poteva essere qualificato come accettazione dell’opera. Relativamente al ritardo nell’ultimazione dei lavori contestatole dall’opponente, la società opposta ha infine ha eccepito che lo stesso era da addebitare ad una serie di ulteriori lavorazioni ulteriori richieste in corso d’opera dalla committente e che in ogni caso, proprio per tale motivo, le parti avevano concordemente modificato l’art. 4 del contratto di appalto eliminando la clausola penale originariamente prevista.
Con atto depositato il 15.04.2019 è volontariamente intervenuta nel giudizio la producendo un atto di cessione in proprio favore del credito vantato dalla nei confronti
di .
La causa, istruita mediante il deposito di documenti, il raccoglimento dell’interrogatorio formale deferito all’opponente, l’escussione di quattro testi e l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio per la determinazione del corrispettivo delle opere appaltate e la stima dei costi da sostenere per eliminare i vizi, è stata decisa con sentenza n. 1345/2021, depositata il 27.04.21 e notificata lo stesso giorno, che ha così statuito: ‘a) in accoglimento parziale dell’opposizione, revoca il decreto ingiuntivo opposto; b) condanna al pagamento in favore di quale cessionaria del credito della della somma di € 19.470,28, oltre interessi dalla domanda al soddisfo; c) rigetta le domande riconvenzionali proposte da ; d) condanna al pagamento delle spese di lite in favore delle controparti, che liquida in complessivi € 4.200,00, oltre spese generali al 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge, con attribuzione in favore dell’AVV_NOTAIO dichiaratosene anticipatario; e) pone le spese di CTU definitivamente a carico di ‘.
Tale decisione, per quanto in questa sede rileva, è stata così motivata: ‘Va premesso che risulta documentato oltre che non contestato che le parti in data 02.11.2010 hanno sottoscritto un contratto di appalto per l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione del fabbricato di proprietà di e che quest’ultima ha corrisposto all’appaltatrice la somma di € 66.250,00.
Va, inoltre, premesso che al documento prodotto in atti dall’odierna opponente sin dalla procedura monitoria, indicante come somma ancora dovuta la somma di € 42.000,00, non può darsi valore di riconoscimento di debito ai sensi dell’art. 1988 c.c. Invero, come rilevato anche dal giudice precedentemente assegnatario del presente procedimento nel provvedimento del 10.4.2014, sebbene la contestazione
dell’autenticità della sottoscrizione di un soggetto che abbia agito in nome e per conto di un altro, ove operata dal soggetto rappresentato, non è riconducibile alla disciplina dettata dagli artt. 214 e ss. c.c., tale contestazione può essere utilizzata ai fini della valutazione dell’autenticità della sottoscrizione del rappresentante secondo il libero apprezzamento del giudice del merito alla stregua degli elementi acquisiti (Cass. 7769/90; Cass. 4077/85).
Inoltre, tale atto contiene unicamente il riferimento a delle somme senza nessuna indicazione del rapporto contrattuale a cui si riferiscono e, nella specie, al contratto di appalto stipulato tra le parti, né è suffragato da fatture riguardanti gli importi già versati e dallo stato di avanzamento dei lavori, oltre a non essere indicata la data ed il luogo della redazione dello stesso.
Inoltre, al contrario di quanto sostenuto dall’opposta, l’opponente non ha in alcun atto riconosciuto che per i lavori eseguiti veniva concordata la somma di € 108.000,00, oltre IVA. Pertanto, in considerazione della circostanza che l’art. 2 del contratto di appalto in questione prevede che l’importo netto dell’appalto sarà determinato alla fine dell’opera e valorizzato tra le parti, e che nessun documento risulta redatto dalle parti circa l’importo complessivo delle opere appaltate, per la quantificazione dei lavori eseguiti dalla in favore di rilevante risulta la consulenza tecnica espletata nel corso del giudizio. Va, preliminarmente, superata l’eccezione di nullità della detta consulenza per violazione del contradditorio…
Ciò detto e tornando alla quantificazione dei lavori eseguiti dalla in favore di , va rilevato che il CTU, sulla base del contratto di appalto e delle successive note integrative, prodotte in atti, ha analiticamente individuato le opere eseguite dalla prima e ne ha quantificato l’ammontare in € 82.719,28. In risposta alle osservazioni del CTP di parte opposta che ha lamentato il mancato computo di alcune lavorazioni, il CTU con relazione integrativa depositata in data 25.1.2017 ha rilevato che il lavoro riguardante la tramezzatura interna non è quantificabile senza adeguata documentazione non presente in atti e che i lavori relativi alla canna fumaria, al muro perimetrale, agli zoccolini battiscopa e agli intonaci interni sono già stati computati. Relativamente alle altre lavorazioni indicate il CTU ha quantificato in € 3.001,00 il prezzo delle stesse. Può, quindi, concludersi, sulla base della consulenza espletata, che questo giudice fa propria in quanto adeguatamente argomentata ed immune da vizi logici e tecnici, che la somma dovuta da per i lavori eseguiti dalla ammonta ad € 85.720,28. Pertanto, avendo l’opponente
già corrisposto, come non contestato, la somma di € 66.250,00, la stessa deve corrispondere all’opposta la somma residua di € 19.470,28.
Passando alla valutazione della domanda riconvenzionale proposta da , va rilevato che l’art. 1667 c.c. stabilisce, al primo comma, che l’appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell’opera e che la garanzia non è dovuta se il committente ha accettato l’opera e le difformità e i vizi erano da lui riconoscibili, purché in questo caso non siano stati in mala fede taciuti dall’appaltatore; al secondo comma, che il committente deve, a pena di decadenza, denunziare all’appaltatore i vizi e le difformità entro sessanta giorni dalla scoperta. È stato, tuttavia, precisato dalla giurisprudenza di legittimità che ‘con riguardo ai vizi dell’opera conosciuti o riconoscibili, il committente, che non abbia accettato l’opera medesima, non è tenuto ad alcun adempimento, a pena di decadenza, per far valere la garanzia dell’appaltatore, poiché, ai sensi dell’art. 1667, primo comma, c.c., solo tale accettazione comporta liberazione da quella garanzia. Pertanto, prima dell’accettazione e consegna dell’opera non vengono in rilievo problemi di denuncia e di prescrizione per i vizi comunque rilevabili, i quali, se non fatti valere in corso d’opera, possono essere dedotti alla consegna: ma prima dell’accettazione non vi è onere di denuncia, e prima della consegna non decorrono i termini di prescrizione’ (Cass. 14584/04)…
D’altro canto, relativamente al contratto di appalto, già da tempo la giurisprudenza di legittimità ha affermato che ‘in tema di garanzia per difformità e vizi nell’appalto, l’accettazione dell’opera segna il discrimine ai fini della distribuzione dell’onere della prova, nel senso che, fino a quando l’opera non sia stata espressamente o tacitamente accettata, al committente è sufficiente la mera allegazione dell’esistenza dei vizi, gravando sull’appaltatore l’onere di provare di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte, mentre, una volta che l’opera sia stata positivamente verificata, anche per facta concludentia, spetta al committente, che l’ha accettata e che ne ha la disponibilità fisica e giuridica, dimostrare l’esistenza dei vizi e delle conseguenze dannose lamentate, giacché l’art. 1667 c.c. indica nel medesimo committente la parte gravata dall’onere della prova di tempestiva denuncia dei vizi ed essendo questo risultato ermeneutico in sintonia col principio della vicinanza al fatto oggetto di prova’ (Cass. 19146/13).
Ciò detto in punto di diritto, va osservato che con l’atto di opposizione non ha contestato la mancata ultimazione delle opere commissionate alla ma unicamente la presenza di vizi nelle opere eseguite. Ed invero, nel detto atto, l’opponente ha dedotto che le opere sono state ultimate e
l’immobile è stato consegnato nel mese di luglio del 2011, dolendosi della tardiva consegna dei lavori.
La consegna dei lavori nel mese di luglio del 2011 è stata contestata da parte opposta, la quale ha eccepito che i lavori sono stati ultimati e consegnati nel mese di maggio del 2011. Ebbene, in presenza della contestazione di parte opposta circa la data di ultimazione dei lavori ed in considerazione del fatto che, in applicazione dei principi sopra espressi, il termine di sessanta giorni per la denuncia dei vizi riscontrati va fatto decorrere dalla consegna dell’opera, gravava sull’opponente l’onere di dimostrare il momento dell’avvenuta consegna. Tuttavia, dai documenti prodotti e dall’istruttoria espletata, non emerge adeguata e sufficiente prova circa il momento di ultimazione e consegna dei lavori.
Invero, dei quattro testi escussi, sola la teste ha dichiarato di ricordare quando sono terminati i lavori e nello specifico nel mese di luglio del 2011. Tuttavia, la dichiarazione della detta teste non risulta pienamente attendibile, sia perché, come dalla stessa dichiarato, la teste oltre ad essere compagna del figlio dell’opponente doveva trasferirsi nell’abitazione ove sono stati eseguiti i lavori e sia perché la dichiarazione risulta contraddittoria.
Invero, in un primo momento la teste ha dichiarato di essersi recata spesso sui luoghi di causa durante l’esecuzione dei lavori mentre in un secondo momento ha dichiarato di non aver assistito all’esecuzione degli stessi. Va, inoltre, aggiunto che la denuncia dei vizi con raccomandata del 30.8.2011, depositata in atti, in risposta alla raccomandata inviata dalla controparte per il pagamento delle somme dovute, risulta assolutamente generica. Nella detta denuncia, invero, si fa riferimento in modo generico a vizi riscontrati nei lavori eseguiti dalla senza alcuna ulteriore precisazione.
Infine, va rilevato che comunque dei vizi riscontrati dal CTU agli intonaci, al rivestimento in mattoncini delle facciate, alla pavimentazione e alla posa in opera della canna fumaria, non vi è alcun riferimento nell’atto introduttivo a quello relativo al rivestimento in mattoncini delle facciate e a quello relativo alla canna fumaria. Inoltre, il vizio relativo alla pavimentazione non risulta pienamente riconducibile all’attività posta in essere dalla atteso che dalla istruttoria espletata ed in particolare dalle dichiarazioni delle testi indotte dall’opponente, emerge che la pavimentazione è stata completata da altra ditta.
La domanda riconvenzionale proposta dall’opponente tesa alla eliminazione dei vizi riscontrati va, quindi, rigettata.
Parimenti va rigettata la domanda riconvenzionale proposta dall’opponente tesa ad ottenere il
pagamento della penale per il ritardo nell’ultimazione dei lavori commissionati. Invero, l’opposta ha depositato in atti un documento di rettifica del contratto di appalto, sottoscritto da entrambe le parti e non disconosciuto, con il quale le parti hanno concordato di eliminare la clausola penale prevista nel contratto di appalto, a causa di alcuni ritardi non imputabili alla ditta esecutrice…
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Con atto notificato il 18.05.2021 ed iscritto a ruolo il 25.05.2021 ha proposto tempestivo appello avverso tale sentenza chiedendo a questa Corte di riformarla, previa sospensione della sua efficacia esecutività, in aderenza alle seguenti richieste: ‘in accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata dalla signora nel giudizio di primo grado si condanni la a titolo di risarcimento danni per la mancata esecuzione a regola d’arte dei lavori di ristrutturazione dell’immobile, al pagamento della somma di €. 27.996,05 ovvero, in subordine, della somma determinata dal c.t.u di euro 12.994,21 per le attività necessarie alla eliminazione dei vizi e difetti riscontrati nell’esecuzione dei suindicati lavori, così come indicati ed accertati dal c.t.u, oltre interessi e rivalutazione; in accoglimento della domanda e/o eccezione di compensazione spiegata dalla signora nel giudizio di primo grado si dichiari la compensazione delle somme liquidate alla appaltatrice a titolo di residuo corrispettivo (euro 19.470,28) con il credito dalla signora a titolo di danni e conseguentemente si condanni la al pagamento in favore della appellante della residua somma ad essa dovuta per i danni conseguenti alla esecuzione non a regola d’arte delle opere e dei lavori eseguiti dalla appellata; 4. Vittoria di spese ed onorari del doppio grado di giudizio ed in subordine compensazione parziale delle spese di giudizio di primo grado. In via istruttoria si chiede, ai sensi dell’art. 257 comma 2° c.p.c., che sia disposta la rinnovazione dell’esame del teste , per chiarimenti sulla sua deposizione resa nel giudizio di primo grado, nonché disporre c.t.u. per la esatta quantificazione degli incrementi dei danni dovuti dalla così come determinati dal consulente ing. di parte appellante nelle note del 21.04.2016’.
Con comparsa depositata il 16.07.2021 si è costituita la in persona del legale rappresentante pro tempore , che ha chiesto il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata con vittoria delle spese processuali da distrarre in favore del procuratore anticipatario.
Con comparsa di intervento volontario depositata il 26.09.2024 si è inoltre costituita in proprio producendo un ‘atto di cessione di credito ed accollo del debito’ sottoscritto il 22.08.2022, con cui la
le attribuiva il credito litigioso, e chiedendo il rigetto dell’appello.
La causa, sospesa l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni invitando le parti ed esperire tentativo di mediazione, presso un organismo accreditato ai sensi dell’art. 4 D. lgs. n. 28 del 2010, e a documentare l’esito dello stesso.
In data 18.06.2025 il procuratore dell’appellante ha depositato verbale negativo di mediazione. Con ordinanza comunicata il 18.07.25 la causa è stata poi rinviata per la discussione e la decisione ai sensi dell’art 281 sexies c.p.c. concedendo alle parti termine in sostituzione dell’udienza per il deposito telematico di note illustrative e conclusive ex art. 127-ter c.p.c., allo scadere del quale si provvede al deposito della presente sentenza.
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Con il proposto appello lamenta l’erroneo rigetto, sotto svariati aspetti, della domanda riconvenzionale proposta in prime cure per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti ai vizi delle opere realizzate dall’appaltatore, e rappresentati dai costi da sostenere per la loro eliminazione, nonostante l’accertamento di vizi e costi da parte del consulente tecnico di ufficio.
Deduce in primo luogo l’appellante che l’art. 1665 co. 4 c.c., pur non fornendo la nozione di accettazione tacita dell’opera, indica i fatti e i comportamenti da cui occorre presumere la sua sussistenza e, in particolare, prevede come presupposto dell’accettazione tacita la consegna dell’opera al committente – alla quale è parificabile l’immissione nel possesso – e come fatto concludente la ricezione della stessa senza riserve, anche se non si sia proceduto a verifica. Prosegue l’appellante osservando che occorre distinguere tra “consegna” e “accettazione” dell’opera in quanto la consegna costituisce un atto puramente materiale, che si compie mediante la messa a disposizione del bene a favore del committente una volta ultimata l’opera, mentre l’accettazione esige che il committente esprima (anche per facta concludentia) il gradimento dell’opera stessa, con una manifestazione negoziale che comporta effetti ben determinati, quali l’esonero dell’appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità dell’opera ed il conseguente suo diritto al pagamento del prezzo.
Muovendo da tali principi l’istante deduce che, dall’istruttoria svolta nel giudizio di primo grado è emerso che non manifestava alcun ‘gradimento’ per i lavori realizzati dalla contestando la mancata esecuzione a regola d’arte degli stessi sia durante la loro esecuzione sia al momento della cessazione di attività nel mese di luglio del 2011.
Si evidenzia, al riguardo, come il teste si sia così espressa: ‘Ero presente in alcune occasioni quando la si lamentava dell’esecuzione dei lavori non a regola d’arte…ricordo che la si lamentava di come era stato messo il porfido all’esterno, tanto è vero che a seguito di pioggia si formarono delle pozzanghere. Altri danni che ho potuto constatare sono tracce di umidità nelle pareti esterne ma anche nell’ingresso della scalinata del portone principale, nel garage…’ La teste aveva inoltre dichiarato: ‘…che la signora , al momento in cui la ditta gli chiese il pagamento dei lavori, contestò sia il ritardo che i vizi suddetti. Tale circostanza si verificò a luglio 2011, quando io ero personalmente presente…’.
Il legale rappresentante della società appaltatrice non si era poi presentato per rispondere all’interrogatorio formale a lui deferito con conseguente possibilità per il giudice, ai sensi dell’art. 232, comma 1, c.p.c., di ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio formale, valutando ogni altro elemento probatorio.
Tale circostanza non era stata invece minimamente considerata dal giudice di primo grado nonostante la mancata risposta all’interrogatorio potesse fornire elementi di giudizio integrativi, idonei a determinare il suo convincimento sui fatti dedotti nell’interrogatorio medesimo.
Assolutamente a torto il tribunale aveva poi ritenuto non attendibile la deposizione di , compagna di uno dei figli dell’appellante che aveva riferito dell’ultimazione dei lavori nel luglio del 2011, non sussistendo alcun principio di necessaria inattendibilità connessa all’esistenza di vincoli di coniugio, parentela o affinità tra il teste e una delle parti. Allo stesso mondo non rilevava il fatto, valorizzato dall’autore della sentenza impugnata, che la teste doveva andare ad abitare nello stabile in cui sono stati eseguiti i lavori trattandosi di circostanza assolutamente neutra e comunque irrilevante rispetto al dato riferito della ultimazione dei lavori nel luglio del 2011.
Non sussisteva, inoltre, alcuna contraddizione interna nelle dichiarazioni della testimone la cui deposizione risultava piana, precisa, lineare e convergente con quanto riferito anche dalla teste .
Quanto sostenuto dalla società appaltatrice circa la consegna dei lavori nel mese di maggio del 2011 non aveva poi trovato alcuna conferma nella deposizione dei suoi testi e tanto meno nel comportamento della la quale formalizzava la prima richiesta scritta di pagamento in data 18 agosto 2011 mentre era molto più logico e aderente alla realtà ritenere che tale richiesta di pagamento fosse intervenuta poco dopo l’abbandono del cantiere, avvenuto solo alla fine del mese di luglio 2011, così come dedotto e provato
dall’appellante in corso di causa.
La sentenza di primo grado era infine da considerare errata nella parte in cui aveva rilevato che la denuncia dei vizi operata dalla con raccomandata del 30.8.2011, inviata in risposta alla richiesta scritta di pagamento della controparte, conteneva un generico riferimento a vizi dei lavori eseguiti dalla ‘senza alcuna ulteriore precisazione’, ponendosi in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la denunzia dei vizi ex art. 1667 c.c. non deve essere necessariamente specifica ed analitica, bastando anche una sintetica indicazione a conservare l’azione di garanzia del committente per quei difetti che sia possibile accertare nella loro consistenza solo dopo la denunzia.
§§§§§§
Le doglianze sin qui esposte sono fondate e conducono all’accoglimento del proposto gravame. Sul punto occorre innanzi tutto evidenziare come, per giurisprudenza di legittimità costante ed ampiamente consolidata, l’obbligo di denunziare, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla loro scoperta, le difformità o i vizi dell’opera appaltata ex art. 1667, comma 2, c.c., presuppone che un’accettazione dell’opera – espressa o tacita sia stata anteriormente manifestata dal committente al momento della consegna o della verifica e che la scoperta sia avvenuta dopo tale accettazione (cfr. in termini già cass. 1177 del 14.04.1972 e, da ultimo, cass. 18409 del 07.07.2025). Altrettanto pacifica in giurisprudenza è poi l’affermazione secondo cui, in tema di appalto, la presa in consegna dell’opera da parte del committente non va confusa con l’accettazione della stessa e non implica di per sé la rinunzia a far valere la garanzia per i difetti conosciuti o conoscibili.
Ciò in quanto la consegna costituisce un atto puramente materiale, che si compie mediante la messa a disposizione del bene a favore del committente, mentre l’accettazione esige, al contrario, che il committente esprima – anche per facta concludentia il gradimento dell’opera stessa, con conseguente manifestazione negoziale la quale comporta effetti ben determinati, quali l’esonero dell’appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità dell’opera conosciuti o riconoscibili ed il conseguente suo diritto al pagamento del prezzo (cfr. per il distinguo cass. n. 7260 del 12.05.2003, cass. n. 19019 del 31.07.2017, cass. n. 15711 del 21.06.2013) .
L’art. 1665 c.c., pur non fornendo la nozione di accettazione tacita dell’opera appaltata, indica infatti le circostanze ed i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell’accettazione da parte del committente e, in particolare, al comma 4 prevede, come presupposto dell’accettazione tacita, la consegna dell’opera al committente (alla quale è parificabile l’immissione nel possesso) e come fatto concludente la sua
ricezione senza riserve da parte di quest’ultimo, anche se non si sia proceduto alla verifica. La concreta esistenza di tali circostanze costituisce poi una ‘quaestio facti’ rimessa all’apprezzamento del giudice del merito (per tali principi, oltre alle pronunce già citate, cfr. cass. 10452 del 03.06.2020 e 13224 del 16.05.2019).
Il committente che non abbia accettato l’opera non è dunque tenuto ad alcun adempimento, da dover curare a pena di decadenza per far valere la garanzia per vizi dell’appaltatore, poiché, ai sensi dell’art. 1667, primo comma, cod. civ., solo l’accettazione comporta liberazione da quella garanzia.
Pertanto, prima dell’accettazione dell’opera, non vengono in rilievo problemi di denuncia per i vizi comunque rilevabili i quali, se non fatti valere in corso d’opera, possono essere dedotti alla consegna. Prima dell’accettazione non vi è pertanto onere di denuncia (cfr. così cass. n. 14584 del 30.07.2004 e, negli stessi termini, cass. n. 9174 dell’11.12.1987).
Ciò premesso, occorre passare a rilevare come le risultanze istruttorie conducano univocamente ad escludere che, nella fattispecie in esame, vi sia stata alla consegna dell’opera una manifestazione implicita di gradimento, insita nella sua ricezione senza riserve, tale da condurre a ravvisare la sua accettazione tacita e la conseguente necessità di una tempestiva denunzia per poter far valere la garanzia per vizi. La teste escussa all’udienza del 26.09.2019, ha infatti reso le seguenti dichiarazioni: ‘Conosco la signora in quanto sono la compagna del figlio . La conosco dall’anno 2006 circa. All’epoca dei fatti già ero la compagna del figlio di parte opponente. Durante l’esecuzione dei lavori per cui è causa mi recavo spesso con il mio compagno nell’abitazione di parte opponente, in quanto i lavori ci interessavano direttamente dovendoci trasferire nella predetta abitazione una volta pronta. La ditta alla quale erano stati commissionati i lavori è la L’abitazione dell’opponente è una palazzina di tre piani. I lavori avevano ad oggetto la ristrutturazione di tutta la palazzina. In particolare dovevano essere rifatti i pavimenti esterni ed interni, i balconi, i camini. Non ricordo quando cominciarono i lavori. Ricordo che dovevano termine a febbraio 2011; lo ricordo bene in quanto come detto mi dovevo trasferire lì con il mio compagno. I lavori sono terminati a luglio 2011. I lavori non furono eseguiti a regola d’arte in quanto i massetti, il pavimento e il camino presentavano dei vizi. Tuttora il camino della parte in cui vivo, sita nella parte superiore della palazzina, non si accende. I mattoncini posti sulla parte all’esterno dell’abitazione dopo la chiusura del cantiere si sono gonfiati e sono caduti. Non ero presente durante l’esecuzione dei lavori e quindi non ho assistito a contestazioni durante l’esecuzione ma ricordo che c’erano difetti e vizi dell’opera eseguita e
che la signora al momento in cui la ditta gli chiese il pagamento dei lavori contestò sia il ritardo che i vizi suddetti. Tale circostanza si verificò a luglio 2011, quando io ero personalmente presente. A luglio 2011 la ditta abbandonò il cantiere senza completare i lavori e senza togliere le impalcature … Ricordo che la signora doveva pagare una somma residua che si rifiutò di corrispondere a causa dei vizi predetti …’.
Detta deposizione, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, non può essere ritenuta inattendibile valorizzando un rapporto tra la teste e l’appellante che non è nemmeno di affinità posto che la non è la nuora della in assenza di un rapporto di coniugio con il figlio dell’appellante.
Allo stesso modo del tutto neutra e insuscettibile di valorizzazione per affermare l’inattendibilità della teste è la circostanza che ella dovesse andare ad abitare nella palazzina interessata dai lavori. La contraddizione rilevata dal tribunale, inoltre, non sussiste non essendovi alcuna inconciliabilità tra l’affermazione della testimone di non aver assistito a contestazioni di vizi in corso d’opera, pur essendosi recata spesso sui luoghi, e la parallela dichiarazione di aver personalmente riscontrato l’esistenza di difetti esecutivi e di essersi trovata presente nel luglio del 2011 quando l’appaltatore lasciava il cantiere e la si rifiutava di pagargli il saldo in considerazione dei difetti dell’opera realizzata.
L’attendibilità della teste, come pure l’esistenza di contestazioni pregresse, è inoltre confermata dalla deposizione dell’altra testimone — la quale ha riferito circostanze in parte sovrapponibili ed in parte integrative dell’altra deposizione dichiarando quanto segue: ‘…La viveva nella casa durante il periodo in cui venivano eseguiti i lavori. Io frequentavo la casa della stessa durante quel periodo. I lavori commissionati consistevano nella ristrutturazione di una parte dell’appartamento e nell’ultimazione dell’appartamento sito all’ultimo piano che era ancora allo stato grezzo e poi nella sistemazione delle parti esterne. Ricordo che la ditta alla quale furono affidati i lavori si chiamava presente in alcune occasioni quando la si lamentava dell’esecuzione dei lavori non a regola d’arte…ricordo che la si lamentava di come era stato messo il porfido all’esterno, tanto è vero che a seguito di pioggia si formarono delle pozzanghere…Altri danni che ho potuto constatare sono tracce di umidità nelle pareti esterne ma anche nell’ingresso della scalinata del portone principale, nel garage…’.
Non rileva, inoltre, che alcuni dei vizi indicati dalla teste (quello relativo alla canna fumaria e quello al rivestimento in mattoncini) non siano stati menzionati nell’atto di opposizione posto essi sono indicati
nella perizia di parte a firma dell’ing. , depositata ancor prima della concessione dei termini di cui all’art. 183 co. 6. c.p.c., sono stati riscontrati dal consulente d’ufficio e la stessa teste ha riferito della manifestazione di taluni difetti solo in epoca successiva alla consegna delle opere. La mancata presentazione del legale rappresentante della per rendere l’interrogatorio formale deferitogli , e in particolare la mancata risposta al capo 2) che recita ‘vero che durante l’esecuzione dei lavori sono stati prontamente denunciati i vizi e le difformità delle opere realizzate’, pur non producendo l’effetto automatico della ficta confessio rappresenta, infine, un fatto qualificato, riconducibile nell’ambito del comportamento processuale della parte, cui il giudice può attribuire, nel concorso di altri elementi, valore di ammissione dei fatti dedotti.
Deve pertanto concludersi che l’appellante, non avendo accettato l’opera ricevendone la consegna senza rimostranze, non aveva oneri di tempestiva denunzia per poter far valere la garanzia per vizi dell’appaltatore.
Restano di conseguenza assorbite le restanti doglianze concernenti: a) la riconducibilità dei vizi in esame ai ‘gravi difetti’ previsti dall’art. 1669 c.c. con conseguente applicabilità del più lungo termine di decadenza previsto per la loro denunzia di un anno dalla scoperta; b) la spettanza dell’onere della prova dell’ultimazione dei lavori e della relativa data; c) l’inapplicabilità delle disposizioni speciali previste dagli art. 1667 e 1668 c.c. in caso di mancata ultimazione di lavori e la necessità di ricorrere, in tal caso, ai principi generali in tema di responsabilità per inadempimento di cui agli art. 1453 e 1454 c.c.
Per quel che attiene poi alla stima dei costi da affrontare per porre rimedio ai vizi delle opere appaltate, ritiene la Corte che essi siano stati correttamente contabilizzati dal CTU in € 12.994,21, come da computo metrico allegato alla relazione peritale, apparendo sovrastimata la quantificazione del consulente di parte in quale ha ritenuto che detto importo vada incrementato di altri € 15.000,84.
La somma dovuta dall’opponente agli aventi causa della al netto dei costi da affrontare per l’eliminazione dei vizi, è dunque di € 85.720,28 -€ 12.994,21 = € 72.726,07.
Tenuto conto dell’importo di € 66.250,00, già versato in corso d’opera dall’appellante, residua dunque la somma di € 6.476,07.
La riforma della sentenza impugnata, che ha condotto all’accoglimento per quanto di ragione della domanda riconvenzionale proposta da , impone di procedere ex novo alla regolamentazione delle spese processuali a prescindere dall’ultimo motivo di gravame con cui l’appellante deduce che le stesse andavano compensate quanto meno parzialmente tenuto conto del fatto che ‘il provvedimento monitorio
concesso per euro 46.200/00 è stato revocato con riduzione della pretesa della appaltatrice per euro 19.000/00′.
Stante la reciproca soccombenza determinatasi per effetto dell’accoglimento della domanda riconvenzionale, e la rilevantissima riduzione del credito azionato in INDIRIZZO, si stima pertanto equo dichiarare le spese dei due gradi di giudizio interamente compensate tra le parti.
P. Q. M.
La Corte di Appello di Napoli – ottava sezione civile con definitiva pronunzia sull’appello proposto da avverso la sentenza del Tribunale di Santa NOME Capua Vetere n. 1345/2021 pubblicata il 27.04.2021, così provvede:
Accoglie l’appello e per l’effetto, in riforma dei capi b), c), d) ed e) di detta sentenza, condanna al pagamento in favore di , quale cessionaria del credito di della minor somma di € 6.476,07 dichiarando le spese del giudizio di primo grado, ivi incluse quelle di c.t.u., interamente compensate tra le parti.
Dichiara le spese del giudizio di appello interamente compensate tra le parti.
Così deciso in Napoli, in camera di consiglio, il 05.12.2025.
IL PRESIDENTE
IL CONSIGLIERE EST.
Dr. NOME COGNOME
Dr. NOME COGNOME
La presente sentenza è stata redatta con la collaborazione dell’ dr.ssa NOME COGNOME.