Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21898 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21898 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 23408 -2022 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO dal quale è rappresentata e difesa con l’AVV_NOTAIO, giusta procura allegata al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
NOME e NOME, elettivamente domiciliate in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO e dell’AVV_NOTAIO, dai quali sono rappresentate e difese giusta procura allegata alla memoria di costituzione depositata il 5/12/2023, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2218/2022 della CORTE D’APPELLO di MILANO, pubblicata il 23/06/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9/2/2024 dal consigliere COGNOME;
letta la memoria delle controricorrenti.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato in data 19/11/2018, NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Milano, NOME COGNOME e, assumendo di essere creditrici sue e dei suoi defunti genitori NOME COGNOME e NOME COGNOME, chiesero di accertare, in capo alla convenuta, la qualità di erede pura e semplice dei suddetti genitori, in virtù di accettazione implicita ex art. 485 cod. civ. delle rispettive eredità o, in subordine, in virtù di accettazione tacita ex art. 476 cod. civ..
Con sentenza n. 8676/2020, il Tribunale di Milano accolse la domanda e dichiarò NOME COGNOME erede pura e semplice di NOME COGNOME e di NOME COGNOME.
Con sentenza n. 2218/2022, la Corte di appello di Milano rigettò l’appello di NOME COGNOME; ritenne infatti che vi fossero elementi indiziari gravi, precisi e concordanti dell’esercizio, da parte di COGNOME, di un possesso dell’immobile oggetto dell’asse ereditario rilevante ex art. 485 cod. civ., escludendo, per quel che qui ancora rileva, che il diverso luogo di residenza della chiamata all’eredità fosse dirimente in senso contrario.
Avverso questa sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo; NOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
In data 10/7/2023, il Consigliere delegato di questa sezione ha formulato proposta di definizione anticipata, ex art. 380 bis cod. proc. civ. , rilevando l’inammissibilità del motivo.
Con istanza del 4/9/2023, NOME COGNOME ha chiesto la decisione del ricorso.
Nei termini prescritti dall’art. 380 bis 1 cod. proc. civ., NOME e NOME COGNOME hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo ed unico motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la ricorrente ha sostenuto la violazione e falsa applicazione degli artt. 116, 486 cod. proc. civ. ed art. 2729 cod. civ. per avere la Corte d’appello ritenuta dimostrata, attraverso sole presunzioni, la relazione materiale con i beni ereditari utili ai fini dell’art. 485 cod. civ., nonostante NOME e NOME COGNOME NOME non avessero allegato nessuna prova diretta della disponibilità da parte sua dell’immo bile ereditario. In tal senso, la Corte avrebbe errato a ritenere sufficiente, per integrare il possesso rilevante ex art. 485 cod. civ., il fatto che l’ufficiale giudiziario l’avesse sempre trovata nell’immobile suddetto e che lì le avesse personalmente consegnato più volte atti giudiziari o raccomandate, non essendo l’immobile il suo luogo di residenza; tali circostanze da sole non avrebbero potuto costituire un’idonea prova del suo possesso e non rappresenterebbero presunzioni aventi i caratteri della gravità, della precisione e della concordanza di cui all’art. 2729 cod. civ. .
1.1. Il motivo è infondato.
Per quel che qui rileva, la semplice delazione che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sufficiente per l’acquisto della qualità di erede, ma diventa operativa soltanto se il chiamato alla successione accetta di essere erede o mediante una dichiarazione di volontà ( aditio ), oppure in dipendenza di un comportamento obiettivamente acquiescente ( pro herede gestio ). Il chiamato che sia nel possesso o compossesso anche di un solo bene, tuttavia, ex art. 485 comma II cod. civ., si considera erede puro e
semplice se non forma l’inventario nel termine di tre mesi decorrenti dal momento di inizio del possesso, sicché in tal caso l’accettazione ex lege dell’eredità è determinata dall’apertura della successione, dalla delazione ereditaria, dal possesso dei beni e dalla mancata tempestiva redazione dell’inventario (Cass. Sez. 6 – 2, n. 5247 del 06/03/2018).
In tal senso, il possesso rilevante ai fini dell’art. 485 cod. civ. non deve necessariamente manifestarsi in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà dei beni ereditari, ma si esaurisce in una mera relazione materiale tra i beni e il chiamato all’eredità, e cioè in una situazione di fatto che consenta l’esercizio di concreti poteri sui beni, sia pure per mezzo di terzi detentori, con la consapevolezza della loro appartenenza al compendio ereditario: ne consegue che la previsione legale si estende ad ogni specie di possesso, quale che ne sia il titolo giustificativo e include anche la detenzione a titolo di custodia o di affidamento temporaneo (Sez. 2, Sentenza n. 4835 del 25/07/1980 con numerosi richiami, Sez. 2, Sentenza n. 4707 del 14/05/1994, Sez. 2, Sentenza n. 1301 del 05/04/1977, Sez. 2, Sentenza n. 11018 del 05/05/2008, Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 15690 del 23/07/2020).
Così ricostruita in diritto la nozione di possesso, la Corte d’appello, confermando il Tribunale, ha enucleato gli elementi di fatto da cui dedurre questa relazione materiale, con un ragionamento deduttivo che non risulta adeguatamente censurato.
Questa Corte ha già chiarito, infatti, che il Giudice, quando ricava la prova di un fatto (nella specie, la relazione materiale con il bene ereditario), con un ragionamento presuntivo, è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., ad ammettere solo presunzioni «gravi, precise e concordanti», laddove il requisito della «precisione» è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della «gravità» al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto
desumibile da quello noto, mentre quello della «concordanza», richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza.
Nella specie, dunque, il fatto noto è costituito dall’avvenuta ricezione, anche a mani proprie, di molteplici atti, nella casa oggetto di successione, dopo il decesso dei due genitori (3/3/2013 e 20/7/2015) e l’apertura delle rispettive successioni ( in particolare, la ricezione della cartolina del precetto notificato in data 29 giugno 2015, della raccomandata del 28 febbraio 2017, della successiva raccomandata del 28 aprile 2017, della notifica, a mani, dell’atto di precetto eseguita dall’ufficiale giudizia rio il 1° giugno 2017, della notifica di un atto di citazione eseguita a mani il 7 giugno 2018).
Come è evidente, NOME COGNOME è sempre stata trovata presso l’immobile ereditario , appartenuto ai due genitori danti causa, sito in Gardone Riviera INDIRIZZO), INDIRIZZO, tutte le volte in cui l’ufficiale giudiziario e il postino vi si sono recati per consegnarle atti giudiziari o raccomandate; è stata ritenuta, in conseguenza, dimostrata la sua autonoma capacità di poter utilizzare il bene.
Su questa presenza costante nell’immobile è stato fondato il giudizio di probabilità del fatto ignoto e, cioè, la relazione materiale con il bene ereditario nella consapevolezza della sua natura.
Ciò precisato, la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma I, n. 3 cod. proc. civ., può prospettarsi quando il giudice di merito abbia affermato che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero abbia fondato la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota; nella fattispecie,
invece, la critica si è incentrata nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali e nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella applicata dal giudice di merito, senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (sulle modalità di censura del ragionamento deduttivo, Cass. Sez. 2, n. 9054 del 21/03/2022). In conseguenza, la critica risulta inefficace e infondata.
3. Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna di NOME COGNOME al rimborso, in favore di NOME e NOME COGNOME, delle spese processuali di questo giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo in relazione al valore.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ex art. 380 bis cod. proc. civ., in applicazione, secondo la previsione del comma terzo dello stesso art. 380 bis cod. proc. civ., del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., la ricorrente deve essere condannata al pagamento, in favore delle controricorrenti, di una somma equitativamente determinata nella misura di cui in dispositivo, nonché al pagamento di un’ulteriore somma, pure equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende.
Come evidenziato da Cass. Sez. U 27-9-2023 n. 27433 e Cass. Sez. U 13-102023 n. 28540, l’art. 380 bis comma III cod. proc. civ., richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96 comma III e IV cod. proc. civ., codifica, att raverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore, un’ipotesi di abuso del processo, giacché non attenersi alla delibazione del proponente che trovi conferma nella decisione finale lascia presumere una responsabilità aggravata.
Stante il tenore della pronuncia, va pure dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di
un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna NOME COGNOME al rimborso, in favore di NOME e NOME COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; condanna NOME COGNOME, ex art. 96 comma III cod. proc. civ., al pagamento di Euro 3.000,00 in favore di NOME e NOME COGNOME e, ex art. 96 comma IV cod. proc. civ., di ulteriori Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda