Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27110 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 27110 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5732/2021 R.G. proposto da:
ZACCARIA
NOME,
domiciliazione
telematica
,
rappresentato
e
difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliazione telematica
,
rappresentati e
difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 1915/2020 depositata il 24/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che
NOME COGNOME ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 1915 del 2020 della Corte di appello di Venezia, esponendo che:
–NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME avevano ottenuto decreto ingiuntivo nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, deducendo di aver provveduto a costituire in pegno, in favore di RAGIONE_SOCIALE, titoli di loro proprietà per un controvalore pari ad euro 180.000,00, indicato a garanzia delle linee di credito concesse dalla RAGIONE_SOCIALE in favore degli ingiunti;
-gli istanti COGNOME avevano rappresentato che, a fronte del pegno, l’istituto di credito aveva provveduto a rilasciare una garanzia a prima richiesta in favore di NOME COGNOME per il pagamento del prezzo della vendita, in favore del fratello NOME COGNOME, della propria quota di partecipazione al capitale sociale della società RAGIONE_SOCIALE;
-quando NOME COGNOME, acquirente della quota di capitale sociale ceduta, si era reso inadempiente al pagamento delle ultime rate del prezzo pattuito, la garanzia rilasciata dalla banca era stata escussa;
-la banca aveva quindi agito «in regresso» provvedendo a escutere il pegno sui titoli di proprietà di COGNOME, e dunque, sulla base di tali circostanze, questi ultimi avevano richiesto l’emessa ingiunzione sia nei confronti di NOME COGNOME, che con il proprio inadempimento aveva dato causa all’incasso della «garanzia fideiussoria» rilasciata da
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e, perciò, all’escussione del pegno dei convenuti, sia nei confronti di NOME COGNOME;
-il decreto era divenuto definitivo nei soli confronti di NOME COGNOME, che non si era opposto diversamente da quanto fatto dal deducente, il quale aveva così contestato la propria legittimazione passiva, indicata come priva di base documentale, evidenziando di non avere alcun obbligo nei confronti di NOME COGNOME e quindi, nel caso, dei COGNOME;
-il Tribunale aveva respinto l’opposizione con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui, in particolare:
-era documentalmente provato che la prestazione di garanzia da parte di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in favore di NOME COGNOME era stata richiesta sia da NOME COGNOME sia da NOME COGNOME, com ‘era evincibile dalla raccomandata loro indirizzata dalla RAGIONE_SOCIALE, che aveva così richiamato « l’art. 2 del modulo di prestazione di garanzia del 12.5.2004 da Voi sottoscritta», quale fonte dell’obbligo di garanzia gravante su entrambi;
-a ciò si aggiungeva che sulla lettera di fideiussione del 12.5.2004, prodotta in fase monitoria, era stata apposta la sottoscrizione ‘per accettazione e benestare’ di COGNOME e COGNOME, senza che, come rilevato dal giudice di primo grado, quella firma potesse avere altro significato se non se quello, appunto, di coobbligarsi nei confronti della banca in caso di «regresso», ovvero in caso di escussione della garanzia bancaria;
-inoltre, i limiti legali di prova di un contratto a forma scritta, richiesta ad substantiam o ad probationem , operavano esclusivamente nell’ipotesi in cui quello fosse invocato in giudizio come fonte di reciproci diritti e obblighi
tra le parti contraenti, e non anche quando dello stesso, stipulato come nel caso non tra le parti processuali ma tra una sola di esse e un terzo, si evocasse l’esistenza come semplice fatto storico influente sulla decisione del processo;
-in un quadro presuntivo, poi, deponevano in modo convergente: la data della costituzione in pegno, 10.5.2004, da parte dei COGNOME, in stretta relazione con il rilascio della fideiussione da parte di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE il 12.5.2004, precedente di pochi giorni la cessione delle quote intervenuta tra NOME COGNOME e NOME COGNOME il 13.5.2004; la lettera integrativa di pegno del 22.8.2008 in cui era chiaramente indicato che gli ‘affidamenti garantiti’ con il pegno in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME coincidevano con la ‘ fideiussione ‘ prestata da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, come evincibile dall’importo garantito dalla RAGIONE_SOCIALE a quella data, ossia 220.000,00 euro poiché le prime tre rate annuali erano state pagate, in uno alla correlata riduzione del pegno, da euro 350.000,00 euro a euro 180.000,00 euro; la circostanza che la RAGIONE_SOCIALE aveva sempre considerato propri debitori solidali sia NOME COGNOME che NOME COGNOME, accomunandoli nella medesima posizione negoziale e invitandoli al pagamento delle somme di cui era creditrice a sé guito dell’escussione della garanzia, senza che mai il deducente COGNOME, prima del giudizio, avesse contestato il proprio coinvolgimento nella vicenda;
resistono con controricorso NOME, NOME, NOME, NOME COGNOME;
le parti hanno depositato memorie;
Rilevato che
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1325, 1418, 2697, 2729, cod. civ., 115, 116, 360, n. 5, cod. proc. civ., 117, t.u.b., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che mancava la necessaria prova scritta del contratto bancario «fideiussorio» il cui esercizio aveva determinato quello dell’istituto di credito sui titoli, atteso che il modulo preliminare di richiesta della garanzia in questione non risultava essere stato acquisito agli atti, mentre il documento della garanzia medesima indicava il rilascio della stessa in relazione alle obbligazioni di NOME COGNOME per assicurare il relativo adempimento nei confronti di NOME COGNOME in ragione dell’acquisto delle quote sociali, senza che la mera dicitura ‘per accettazione e benestare’, apposta anche dal deducente in calce alla scrittura, potesse avere altro significato se non quello di approvazione e condivisione del testo, tenuto conto del fatto che il deducente stesso era consulente societario del debitore principale, e senza che la lettera integrativa del pegno, indicato con ampiezza come a garanzia degli affidamenti concessi a «NOME COGNOME e NOME COGNOME», potesse incidere sulla correlazione tra escussione della garanzia in parola e inadempimento del singolo obbligato;
con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare l’effettiva volontà negoziale, il ruolo dei soggetti coinvolti, e il tenore delle espressioni utilizzate, quanto all’interpretazione della dicitura ‘per accettazione e benestare’ apposta in calce alla garanzia, che non poteva altro che significare la condivisione del testo stesso, da parte del deducente consulente societario del soggetto debitore principale, NOME COGNOME;
Considerato che
i motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati;
per opportuna chiarezza deve premettersi, in iure , che l’art. 117, testo unico bancario, è inserito nel Titolo VI, Capo I, «che delimita il campo applicativo delle disposizioni in esso contenute alle attività svolte nel territorio della Repubblica dalle ‘banche e dagli intermediari finanziari’, sicché, come già si è incidentalmente osservato (‘che la fideiussione stipulata a garanzia di crediti bancari non costituisca, di per se stessa, un’operazione o un servizio bancario ossia un’operazione o un servizio reso dalla banca a propri clienti è del tutto evidente’, si legge in Cass., Sez. I, 9/11/2007, 23391), essa non si applica in relazione alla fideiussione anche quando questa sia rilasciata in favore di una banca» (Cass., 17/03/2023, n. 7804);
in questo quadro è stato precisato che «le disposizioni del d.lgs. n. 38571993 riguardano i contratti o negozi bancari, tra cui possono includersi le fideiussioni rilasciate personalmente dalle banche a garanzia di obbligazioni altrui (la convenzione fideiussoria bancaria offerta al committente di un appalto pubblico) e dunque tutti i negozi relativi ad operazioni e servizi stipulati tra la banca (imprenditore fornitore di servizi) e il cliente (fruitore del relativo servizio), sicché le norme di validità o di trasparenza negoziale previste dalla normativa primaria o secondaria di settore vanno intese non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore o cliente della banca assunta dalla norma, e non sono indirizzate a regolare propriamente il negozio unilaterale stipulato dal fideiussore del debitore principale della banca, il quale non può essere considerato, per osmosi, alla stregua di un cliente della banca, proprio per il carattere accessorio di tale obbligazione rispetto a quella del debitore garantito, ex art. 1936 cod. civ.»: in altri termini, «la norma che riguarda la forma dei contratti appartenenti alle due diverse specie (contratto bancario o finanziario) non si estend direttamente e automaticamente alla garanzia unilaterale e personale rilasciata dal
terzo al debitore principale della banca o dell’intermediario finanziario, proprio perché in tal caso non si tratta di instaurare con quest’ultimo un rapporto o una relazione che necessita di un’ulteriore forma di protezione o di garanzia per chi la sottoscrive, essendo sufficiente la protezione accordata dalla normativa speciale al contratto stipulato tra la banca o l’intermediario e il debitore principale, cui la garanzia necessariamente si ricollega» (Cass., 27/03/2024, n. 2891, pag. 7);
ciò posto, pur muovendo dalla premessa della necessità di forma scritta, che la Corte di appello e il Tribunale non hanno escluso a fronte delle deduzioni di parte opponente al decreto ingiuntivo (pag. 6 della sentenza gravata), resta il fatto che tale forma è stata ritenuta sussistente evincendola dal testo stesso della garanzia, in cui, in calce, è stata apposta anche la firma dell’odierno deducente «per accettazione e benestare», intesa plausibilmente come tale, ossia come manifestazione per iscritto dell’assunzione congiunta delle obbligazioni sopra descritte e correlate al pagamento delle quote sociali da parte di NOME COGNOME in favore di NOME COGNOME;
non essendovi base normativa alcuna per ipotizzare una diversa e specifica modalità sacramentale della suddetta forma, la scrittura in discussione deve ritenersi riscontrata;
di ciò è consapevole la stessa parte ricorrente, che infatti censura l’ermeneutica negoziale del predetto testo e, in specie, la vista dicitura;
sul punto va in contrario ricordato che simili censure non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione data dal ricorrente al negozio e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto
l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., 28/11/2017, n. 28319, e succ. conf.), residuando nell’ipotesi, conclusivamente, una richiesta di rilettura istruttoria estranea alla presente sede di legittimità;
resta quindi irrilevante la mancata acquisizione agli atti del modulo preliminare di richiesta del rilascio della garanzia;
in questo contesto, peraltro, è chiaro che non vi è stato alcun omesso esame da parte della Corte territoriale, fermo restando che la censura in parola è comunque preclusa dalla doppia decisione conforme dei giudici di merito: ciò ai sensi dell’art. 348 -ter, quinto comma, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis , peraltro al contempo reintrodotto dal d.lgs. n. 149 del 2022, come previsto dall’art. 360, quarto comma, cod. proc. civ.;
né parte ricorrente ha dimostrato che le ragioni di fatto poste a base delle due decisioni di merito sono state diverse (Cass., 22/12/2016, n. 26774, Cass., 28/02/2023, n. 5947);
spese secondo soccombenza;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 3.400,00, oltre a 200,00 euro per esborsi, 15% di spese forfettarie e accessori legali, in favore dei controricorrenti, in solidarietà attiva.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, al competente ufficio di merito, da parte ricorrente, se dovuto e nella misura dovuta, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 6/6/2024.