Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1918 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1918 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al R.G.N. 14464-2018 proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME , rappresentati e difesi, giusta procura speciale in atti, congiuntamente e disgiuntamente, dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale in atti, dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2133/2017 del TRIBUNALE di COSENZA, depositata il 31/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/02/2023 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME opponevano dinanzi al Giudice di Pace di Acri -in distinti giudizi poi riuniti per connessione oggettiva – due decreti ingiuntivi emessi in favore della RAGIONE_SOCIALE, portanti ciascuno la somma di euro 3.103,02 oltre accessori e spese a titolo di residuo del fatturato relativo allo stato finale di un contratto di appalto datato 14/02/2007, finalizzato alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primarie e secondarie relative all’attuazione di un piano di lottizzazione. Gli opponenti contestavano tra l’altro l’inidoneità della fattura a comprovare il credito, siccome contestato sotto il profilo del superamento del prezzo previsto in contratto, da ritenersi fisso e immutabile e della omessa comunicazione degli stati di avanzamento dei lavori al fine della verifica delle opere e del loro corrispettivo; spiegavano altresì domanda riconvenzionale diretta ad ottenere il pagamento della penale contrattuale nei limiti della competenza per valore del giudice adito.
Costituitasi in giudizio la RAGIONE_SOCIALE resisteva all’opposizione deducendo di aver eseguito tutte le opere a regola d’arte e di aver ricevuto l’incarico di lavori extra capitolato dal direttori dei lavori, cui erano stati consegnati tutti gli stati di avanzamento.
Con sentenza n. 144/2012 il Giudice di Pace di Acri riteneva non provato il credito ingiunto e non dimostrato
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neppure il ritardo nella consegna dei lavori. Accoglieva di conseguenza l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo opposto.
Avverso questa decisione ha proposto appello la RAGIONE_SOCIALE.
Nella resistenza dei COGNOME, con sentenza n. 2133/2017 il Tribunale di Cosenza, in composizione monocratica, accoglieva l’appello e, ad integrale riforma della sentenza gravata, rigettava l’opposizione proposta dai COGNOME, confermando integralmente i decreti ingiunti emessi dal Giudice di Pace di Acri.
Contro tale decisione NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidandosi a quattro motivi illustrati da memoria.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, i ricorrenti deducono, ai sensi dell’ art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c.: a) la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. per avere la sentenza gravata ritenuto sussistente il credito oggetto dell’originaria ingiunzione opposta dai ricorrenti, nonostante il creditore opposto non abbia provato il titolo negoziale dal quale originava la propria pretesa creditoria; b) la violazion e dell’art. 56 comma 5 della legge n. 144/1949 per avere erroneamente ritenuto che uno dei direttori dei lavori -il geom. NOME COGNOME -fosse munito dei poteri di rappresentanza dei committenti nel ratificare la contabilità espressa nella relazione di collaudo redatta il 05.05.2010 dall’AVV_NOTAIO per il RAGIONE_SOCIALE di Acri, cui doveva essere trasferita la proprietà dei lavori appaltati, in assenza di specifico incarico in tal senso.
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2.Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., la n ullità/illegittimità della sentenza impugnata per violazione dell’obbligo di motivazione previsto dall’art. 111 comma 4 Cost., nonché dell’art. 132 c.p.c.
Sostengono i ricorrenti che la motivazione della sentenza è apparente e presenta un contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili in merito alla asserita sussistenza della prova del credito dell’appaltatore , non avendo il Tribunale accertato se l’incarico conferito al direttore dei lavori NOME, di natura strettamente tecnica, comprendesse espressamente anche la verifica dei costi dell’opera e la liquidazione del prezzo spettante all’appaltatore. Sarebbe altresì riscontrabile una contraddittorietà processuale della motivazione, posto che la circostanza valorizzata dal Tribunale, secondo la quale esisterebbe prova documentale dell’approvazione espressa del conto finale dei lavori contenuta nella relazione di collaudo asseverata dal rappresentante dei committenti in sede di consegna delle opere al RAGIONE_SOCIALE, non troverebbe alcun riscontro nel contenuto informativo dei relativi atti.
3.Il terzo motivo censura la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., perché il Tribunale avrebbe errato laddove ha considerato che i ricorrenti, in sede di formulazione dei motivi di opposizione, non avevano inteso contestare la ripartizione dei costi tra i committenti, ma unicamente l’insussistenza di un diritto di credito per importi superiori al corrispettivo previsto in contratto siccome teoricamente fisso e invariabile, quando invece i ricorrenti – a fronte della richiesta di pagamento – avevano richiesto sia ai direttori dei lavori sia all’odierna intimata la
consegna dell’ultimo e di tutti i precedenti stati di avanzamento dei lavori, ritenendo insufficiente il solo stato finale degli stessi.
4.Il quarto motivo è così rubricato: ‘ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 comma 1 n. 5 cpc -erronea e/o mancata ricostruzione completa dei fatti – travisamento delle prove -nullità/illegittimità della sentenza ‘.
I ricorrenti criticano la sentenza per avere omesso del tutto l’esame di un fatto decisivo per il giudizio (contestazioni effettuate anche all’indirizzo del geom. COGNOME relativamente alle fatture, allo stato finale dei lavori e al collaudo delle opere, ove veniva erroneamente certificato il credito residuo dell’appaltatrice) che era stato specificamente (e più volte) sollevato dalle parti e per avere travisato il contenuto della delega conferita dai lottizzanti a tale direttore dei lavori, espressamente finalizzata e limitata alla mera consegna delle opere (e non all’approvazione del conto finale dei lavori), nonché nel verbale di consegna delle opere stesse al RAGIONE_SOCIALE di Acri, ove la detta delega veniva richiamata ed allegata.
5.Pur potendosi superare l’eccezione preliminare della controricorrente riguardante l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 comma 1, n. 3 c.p.c. in ragione di una pedissequa riproduzione del contenuto degli atti processuali, posto che l’ esposizione sommaria dei fatti di causa può comunque desumersi per estrapolazione dai motivi del ricorso, lo stesso non merita comunque accoglimento.
5.1.In sintesi, nei suoi passaggi argomentativi, la motivazione della sentenza impugnata:
-pur escludendo che la fattura emessa dall’appaltatore sia utilizzabile come prova scritta della concessione del decreto
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ingiuntivo, ma non anche dell’ammontare del credito nel giudizio di cognizione che si apre con l’opposizione, ha ritenuto che nel caso di specie sussiste prova documentale dei poteri di rappresentanza con i quali uno dei direttori dei lavori (il geom. COGNOME) ha ratificato la contabilità espressa nella relazione di collaudo redatta il 5.5.2010 dall’AVV_NOTAIO per il RAGIONE_SOCIALE di Acri, cui doveva essere trasferita la proprietà dei lavori appaltati;
ha riscontrato che in sede di consegna definitiva delle opere al RAGIONE_SOCIALE di Acri, avvenuta il 14/03/2011, tutti i committenti compresi gli appellati – avevano conferito al condirettore dei lavori delega specifica, finalizzata alla consegna delle opere, sottoscritta il 16/10/2010;
-ha appurato che nel verbale di consegna è stata allegata anche la copia della relazione di collaudo del 05/05/2010, contenente il riepilogo dei certificati di acconto, corrispondenti ad altrettanti stati di avanzamento, nonché, precipuamente, il conto finale dei lavori , dal quale risultava un ribasso d’asta e che ‘ certificava il credito residuo dell’appaltatrice, poi azionato in monitorio in relazione alla quota dei COGNOME ‘ ;
ha riconosciuto quindi che l’approvazione esplicita del conto finale ‘ comporta una valutazione di sussistenza del credito oggetto dell’ingiunzione opposta dai COGNOME ‘;
ha rilevato che il condirettore dei lavori si era anche ‘ premurato di dichiarare espressamente che, da sopralluogo effettuato, era stata verificata riscontrata la piena conformità delle opere eseguite al progetto, potendosi quindi procedere alla consegna delle opere di cui è stata accertata l’ultimazione e la regolare esecuzione ‘;
-ha concluso che, di conseguenza, ‘ esiste prova documentale dell’approvazione espressa del conto finale dei lavori, contenuta nella relazione di collaudo, asseverata dal rappresentante – uno dei direttori dei lavori, giusta espressa delega – dei committenti in sede di consegna delle opere al RAGIONE_SOCIALE di Acri ‘.
6.Tali argomentazioni non sono intaccate dal primo motivo di ricorso, che attinge al merito della causa, si fonda su censure fattuali e chiede al giudice di legittimità, inammissibilmente, una rivalutazione del materiale probatorio.
Non si riscontra nella sentenza impugnata la denunciata violazione dell’art. 2697 c.c., avendo la Corte territoriale correttamente statuito secundum alligata et probata , né si riscontra alcuna violazione del l’art. 56 comma 5 della legge n. 144/1949, consistendo anche tale doglianza non già nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, ma nella ‘allegazione di un’erronea valutazione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa ‘, che ‘è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito ‘ (tra le tante: Cass. n. 4651/2021) .
7.Il secondo motivo è infondato.
La Corte distrettuale ha incentrato la sua decisione essenzialmente sulla circostanza che la contabilità redatta dal direttore dei lavori è venuta a piena conoscenza dei committenti in sede di consegna definitiva delle opere al RAGIONE_SOCIALE e questi l’hanno accettata senza riserve , uniformandosi in questo al principio posto da Cass. n. 10860/2007, richiamata in sentenza, la quale ha affermato che non costituisce ‘ prova del credito
dell’appaltatore la contabilità redatta dal direttore dei lavori, a meno che non risulti che essa sia stata portata a conoscenza del committente e che questi l’abbia accettata senza riserve, pur senza aver manifestato la sua accettazione con formule sacramentali ‘ .
La motivazione della sentenza gravata -sopra riportata in tutti i suoi snodi salienti – appare adeguata, non illogica e tantomeno apparente. Si è infatti « in presenza di una ‘motivazione apparente’ allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice » (Cfr. Cass. n. 5927/2023; n. 15135/2022; n. 37507/2022). Non è questo il caso della decisione impugnata.
8.La censura oggetto del terzo motivo non risulta intellegibile, non rispettando l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., che ‘ impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma
violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa ” (Cass. Sez. Un., n. 23745/2020).
Non è dato infatti comprendere in quale passaggio motivazionale si annidi il vizio di ultrapetizione, considerato che lo stesso non può essere integrato dalla censura riguardante ‘ la valutazione dei mezzi di prova dedotti dalle parti, relativamente ai fatti sui quali permanga la contestazione tra le medesime ‘ (Cass. n. 15734/22).
Ed infatti il giudice a quo ha registrato il travalicamento ad opera del Giudice di Pace del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunziato, ritenendo che in sede di formulazione dei motivi di opposizione i COGNOME non avevano inteso contestare la ripartizione dei costi tra i committenti, bensì unicamente l’insussistenza di un diritto di credito per importi superiori al corrispettivo previsto in contratto e affermando che l’approvazione esplicita del conto finale è comunque tale da superare l’accordo contrattuale sulla invariabilità di tale corrispettivo.
Dal motivo di ricorso non si evincono deduzioni che sorreggono la presunta violazione della norma processuale, tanto da rendere evidente che la doglianza mal cela, sotto le apparenze di un inesistente vizio di ultrapetizione, null’altro che la non condivisione di un apprezzamento di fatto, che in quanto tale compete unicamente al giudice di merito, restandone insindacabile in sede di legittimità il relativo esito.
9.Anche il quarto motivo è destituito di fondamento.
Non giova all’istante l’invocato travisamento della prova, che si traduce in un errore di percezione della prova il quale si concretizza in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo
incontestabilmente escluso, oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa (Cass. n. 12971/2022).
Anzitutto -come osservato anche dalla controricorrente – il vizio in questione è censurabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 4 per violazione dell’art. 115 c.p.c. e non già, come proposto nel mezzo di ricorso, ex art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c.
In secondo luogo, per essere censurabile in cassazione, il travisamento del la prova postula: ‘ a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (“demonstrandum”), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (“demonstratum”), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza’ (di recente: Cass. n. 9507/2023).
Nel caso di specie, il motivo di ricorso difetta di questi elementi e, comunque, il giudice a quo non ha affatto ignorato prove ritenute dai ricorrenti decisive, quali la delega al direttore dei lavori, che ha considerato unitariamente alla relazione di collaudo, contenente i certificati di acconto corrispondenti ad
altrettanti stati di avanzamento, nonché – e soprattutto – il conto finale di lavori dei lavori, che certificava il credito residuo dell ‘ appaltatrice, dando così atto che la contabilità redatta dal direttore dei lavori è venuta a conoscenza dei committenti in sede di consegna definitiva delle opere al RAGIONE_SOCIALE di Acri.
10.In conclusione, il ricorso va rigettato e la ricorrente deve essere condannata al rimborso delle spese di lite, liquidate come in dispositivo, in forza del principio della soccombenza.
11.Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda