Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21345 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21345 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28345/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME NOME COGNOME NOME, elett.te domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, che li rappresenta e difende per procura in calce al ricorso,
-ricorrenti- contro
NOME COGNOME, elett.te domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), che lo rappresenta e difende congiuntamente e disgiuntamente all’ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), per procura in calce al controricorso,
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BRESCIA n.735/2020 depositata il 20.7.2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28.5.2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 31.10.2003 COGNOME NOME e COGNOME NOME, comproprietari all’interno di una villetta bifamiliare sita in Molinetto di Mazzano (BS) dell’appartamento al piano terra con cantina e comproprietari delle parti comuni (compreso il tetto), convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Brescia NOME NOME, proprietario esclusivo dell’appartamento sovrastante, nonché del vano scale, del vano sottotetto e di una cantina.
Esponevano gli attori che sul pianerottolo del vano scale di proprietà esclusiva del NOME si trovava una botola di 30 cm x 30 cm, destinata all’accesso al sottotetto di proprietà del convenuto, dal quale si poteva accedere al tetto comune attraverso un lucernario posto a due metri dal colmo del tetto ed apribile solo dall’interno con apertura a compasso.
Gli attori chiedevano di accertare il loro diritto ex art. 843 cod. civ. di passare attraverso la proprietà esclusiva del vano scale e del sottotetto del NOME, col dovuto preavviso ed arrecando il minor disturbo possibile, di collocare una scala per arrivare alla botola, e poi per accedere al lucernario, per il tempo da determinarsi strettamente necessario ad installare sul tetto comune pannelli solari ed un’antenna televisiva, curandone l’ancoraggio nel sottotetto e la manutenzione periodica, e per adempiere ai doveri correlati alla comproprietà, in particolare con la verifica della condizione delle travi della struttura portante del tetto, che non
erano in buono stato, e con la corretta manutenzione del torrino di scarico della canna fumaria, e di accertare il loro diritto di fare passare anche tramite soggetti incaricati, fili, condutture, o altri impianti sulla porzione immobiliare del convenuto con costituzione di un’obbligazione propter rem ex art. 843 cod. civ..
Gli attori chiedevano altresì di condannare il NOME ad allargare la botola sino alla misura di 30 cm x 50 cm, con spese a carico degli attori, nonché al risarcimento dei danni loro provocati per il rifiuto illegittimo del NOME a consentire il loro accesso.
In precedenza richieste analoghe erano state avanzate dagli attori contro il NOME davanti al Giudice di Pace di Brescia, la cui sentenza era stata però riformata in secondo grado dalla sentenza n. 2432/2002 del Tribunale di Brescia, che aveva ravvisato l’incompetenza del Giudice di Pace, individuando il giudice competente, davanti al quale però la causa non era stata riassunta.
Si costituiva nel giudizio di primo grado COGNOME NOME, che eccepiva il giudicato della sentenza n. 2432/2002 del Tribunale di Brescia, ritenendolo esteso al merito, ed in subordine contrastava le domande degli attori, chiedendone, in caso contrario, la condanna al pagamento di un’indennità idone a garantire il ripristino dello stato dei luoghi ed il risarcimento di eventuali danni alla sua proprietà.
Il Tribunale di Brescia con la sentenza n. 95/2010 respingeva le domande degli attori, ritenendo le stesse coperte dal giudicato.
Impugnata tale sentenza dagli attuali ricorrenti, la Corte d’Appello di Brescia rilevava che la precedente sentenza n. 2432/2002 del Tribunale di Brescia si era in realtà pronunciata solo in punto di competenza, e non sul merito delle domande, per cui erroneamente in primo grado era stata ritenuta l’esistenza di un giudicato preclusivo, ma sosteneva che gli attori, in quanto partecipanti ad un condominio, avrebbero dovuto sottoporre preventivamente alla decisione assembleare il richiesto
allargamento della botola di accesso al sottotetto, comportante un’innovazione ex art. 1120 cod. civ., e solo in caso di mancato accordo avrebbero potuto sottoporre la questione al Tribunale ex art. 1105 cod. civ., e che in mancanza di tale procedura preliminare, ogni altra domanda degli attori doveva ritenersi illegittima, poiché in assenza di un’apertura sufficientemente ampia per accedere al sottotetto, mancava il diritto degli appellanti di accertare il loro diritto di passare attraverso la proprietà esclusiva del NOME.
Impugnata tale sentenza dagli attuali ricorrenti in via principale, e dal NOME in via incidentale con la riproposizione della questione del giudicato, questa Corte, per quanto ancora rileva, con la sentenza n. 4663/2018, accoglieva il primo motivo, ritenendo assorbita la questione relativa all’applicabilità della normativa in materia di antenne (artt. 209 e 91 del D. Lgs. n.259/2003) del secondo motivo, ed inammissibile il ricorsos incidentale, rilevando che la botola di accesso al sottotetto era pacificamente di proprietà esclusiva del NOME e non di proprietà comune alle parti, per cui erroneamente erano state applicate le norme in materia di condominio, anziché le norme in materia di limitazione legale della proprietà (art. 843 cod. civ.), e pertanto cassava con rinvio alla Corte d’Appello di Brescia in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.
Riassunto il giudizio dagli originari attori davanti alla Corte d’Appello di Brescia con la riproposizione delle pregresse domande e con richiesta di restituzione delle somme pagate per spese processuali e CTU, si costituiva il COGNOME, che reiterava l’eccezione di giudicato inizialmente accolta dalla sentenza del Tribunale di Brescia n. 95/2010, e chiedeva il rigetto delle domande degli attori e comunque la compensazione delle spese di lite per il giudizio di cassazione.
Con la sentenza n. 735/2020 del 17.6/20.7.2020, la Corte d’Appello di Brescia, dichiarava inammissibile la produzione documentale (foto) effettuata dalle parti nel giudizio di rinvio e l’eccezione di giudicato, rigettava la domanda degli attori basata sulla violazione dell’art. 209 del D. Lgs. n. 259/2003, rigettava la domanda degli attori di passaggio attraverso la botola previo suo allargamento, o senza l’allargamento, e la domanda conseguenziale di risarcimento danni, e condannava COGNOME NOME e COGNOME NOME alla rifusione delle spese di CTU e delle processuali anche del primo giudizio di cassazione.
In particolare la sentenza, sulla base della CTU espletata dal geom. COGNOME, respingeva la domanda degli attori di accesso alla proprietà COGNOME ex art. 843 cod. civ. previo allargamento della botola, che dal pianerottolo del vano scale di proprietà del predetto dava accesso al vano sottotetto, sempre di proprietà COGNOME, collegato da un lucernario al tetto comune, in quanto l’allargamento della botola comportando un intervento modificativo sulla proprietà COGNOME, anche se a spese degli attori, esulava dalle limitazioni proprie dell’ obligatio propter rem di cui all’art. 843 cod. civ..
La stessa sentenza respingeva anche la domanda di accesso al vano sottotetto per poi raggiungere, tramite il lucernario, il tetto comune, attraverso la botola esistente di 30 cm x 30 cm, in quanto insufficiente a consentire il passaggio di una persona adulta in condizioni di sicurezza, dovendosi escludere la praticabilità di tale soluzione, non senza evidenziare che la diversa soluzione dell’accesso al tetto comune dall’esterno, mediante piattaforma telescopica da porre su INDIRIZZO, era quella che, pur avendo per gli attori un maggior costo rispetto all’ampliamento della botola, consentiva di realizzare un equo contemperamento degli interessi delle parti.
Conseguentemente l’impugnata sentenza respingeva la domanda degli attori di risarcimento danni, e basandosi sull’esito finale della lite e sulle tariffe forensi vigenti al momento della conclusione del giudizio, condannava gli attori al pagamento delle spese processuali dei quattro gradi di giudizio e delle spese di CTU.
Avverso tale sentenza, notificata il 7.9.2020, hanno proposto ricorso a questa Corte, notificato a COGNOME NOME il 6.11.2020, COGNOME NOME e COGNOME NOME, affidandosi a quattro motivi, e resiste il NOME con controricorso notificato il 15.12.2020.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione alla domanda di accesso ex art. 843 cod. civ. per l’ispezione delle travi del tetto nel sottotetto, la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia, per violazione dell’art. 112 c.p.c. ex art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione degli articoli 24 commi 1° e 2° e 111 comma 6° della Costituzione, 132 comma 2° n. 4) c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. per omessa motivazione, non avendo la Corte d’Appello di Brescia tenuto conto della possibilità di sporgere la testa ed il collo attraverso la botola di accesso al sottotetto al fine di controllare la condizione delle travi del tetto, senza bisogno di passare attraverso la botola, circostanza quest’ultima indicata anche come circostanza decisiva oggetto di discussione tra le parti, ma non considerata, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c..
Col secondo motivo i ricorrenti lamentano, sempre in relazione alla domanda di accertamento del diritto di accedere ex art. 843 cod. civ. al vano sottotetto del NOME senza l’allargamento della botola, ed all’art. 360 comma primo n. 4) e n. 3) c.p.c., la violazione degli articoli 112, 115 e 116 c.p.c. per avere posto a fondamento del rigetto della domanda un’argomentazione giuridica,
quella dell’eccessiva ristrettezza della botola esistente di 30 cm x 30 cm per consentire il passaggio di una persona adulta, addotta d’ufficio e mai prospettata dalla difesa del NOME, priva di riscontro nelle prove raccolte, fornendo una motivazione meramente apparente.
3) Col terzo motivo i ricorrenti lamentano, sempre in relazione alla stessa domanda, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l’omessa considerazione di due fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, individuati nel fatto che il NOME stesso aveva dichiarato al primo AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, di essere in grado di passare attraverso la botola, e che poiché pacificamente il lucernario che metteva in collegamento il vano sottotetto con il tetto comune era apribile a compasso solo dall’interno, solo passando dalla botola era possibile aprire tale lucernario.
I primi tre motivi, inerenti alla domanda di accesso degli originari attori ex art. 843 cod. civ. al vano sottotetto, attraverso la botola, senza modificazioni delle dimensioni della stessa, possono essere esaminati congiuntamente e vanno respinti.
Va premesso che la nuova formulazione dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza resa il 17.6/20.7.2020), ha ormai ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché si è chiarito (vedi tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 28390 del 2023; Cass. n. 26704 del 2023; Cass. n. 956 del 2023; Cass. n.33961 del 2022; Cass. n. 27501 del 2022; Cass. n. 26199 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 9017 del 2018) che è oggi denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal
confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella ” mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico “, nella ” motivazione apparente “, nel ” contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ” e nella ” motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile “, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ” sufficienza ” della motivazione (vedi Cass. sez. un. n. 8053 del 2014; Cass. n.7472 del 2017. Nello stesso senso anche le più recenti; Cass. n. 20042 del 2020 e Cass. n. 23620 del 2020; Cass. n. 395 del 2021, Cass. n. 1522 del 2021 e Cass. n. 26199 del 2021; Cass. n. 27501 del 2022; Cass. n.33961 del 2022; Cass. n. 28390 del 2023) o di sua ” contraddittorietà ” (vedi Cass. n.7090 del 2022; Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 28390 del 2023). La sentenza delle sezioni unite di questa Corte n. 32000 del 2022, ha puntualizzato, altresì, che, a seguito della riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l’unica contraddittorietà della motivazione che può rendere nulla una sentenza è quella ” insanabile ” e l’unica insufficienza scrittoria che può condurre allo stesso esito è quella ” insuperabile “.
Sempre le sezioni unite hanno affermato che L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di
discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Tali vizi, come si vedrà a breve non ricorrono nel caso in esame.
Quanto al primo motivo, infatti, gli originari attori nel giudizio di rinvio avevano chiesto di accertare l’esistenza di un’obbligazione propter rem a carico dei beni di proprietà esclusiva di COGNOME NOME (vano scala, vano sottotetto e botola di collegamento tra essi e lucernario apribile dall’interno che dal vano sottotetto permetteva di raggiungere il tetto di proprietà comune) anche senza l’allargamento della botola esistente sul pianerottolo del vano scala per poter svolgere personalmente, o tramite soggetti incaricati, una volta entrati nel sottotetto, le attività di verifica delle travi del tetto, e per poter accedere dal sottotetto sul tetto comune allo scopo di installarvi pannelli solari ed un’antenna televisiva, curandone l’ancoraggio nel sottotetto, nonché per la manutenzione del torrino di scarico della canna fumaria, mentre non avevano mai avanzato giudizialmente la domanda, in questa sede prospettata, di accedere attraverso il solo vano scala alla botola di collegamento col sottotetto, al mero scopo di affacciarsi dalla botola per visionare, senza entrare nel sottotetto, lo stato di conservazione delle travi del tetto, attività alla quale il NOME non risulta mai essersi opposto, per cui su tale domanda non é ravvisabile alcuna omessa pronuncia, o carenza motivazionale.
Quanto alla domanda degli originari attori di accertamento del diritto di accedere ex art. 843 cod. civ. al vano sottotetto del NOME senza l’allargamento della botola per compiere le attività sopra indicate, gli attori medesimi avevano allegato che la botola
esistente sul pianerottolo del vano scala del NOME, che intendevano impiegare per l’accesso sulla proprietà altrui ai fini del compimento di quelle attività, aveva una larghezza di appena 30 cm x 30 cm, ed é un fatto notorio, confermato anche dalla CTU dell’AVV_NOTAIO, che una dimensione così ridotta non consentiva ad una persona adulta di accedere in condizioni di sicurezza al vano sottotetto passando attraverso la botola, per cui la Corte d’Appello si é attenuta alla domanda proposta ed ha preso atto che gli attori non avevano dimostrato l’esistenza di un percorso effettivamente praticabile per accedere al tetto comune passando per la proprietà esclusiva del NOME senza imporre allo stesso delle modifiche non consentite dall’art. 843 cod. civ..
La sentenza impugnata ha poi tenuto conto che in base all’art. 843 cod. civ. il proprietario di un immobile deve consentire l’accesso ed il passaggio sul suo fondo sempre che ne venga riconosciuta la necessità, e che l’accesso al tetto comune mediante piattaforma telescopica da porre su INDIRIZZO era la soluzione che, per quanto più costosa per gli attori, contemperava al meglio gli interessi delle parti senza l’imposizione di eccessivi oneri alla proprietà individuale del NOME del vano scala e del vano sottotetto, con valutazione di merito non sindacabile in questa sede attraverso il riesame degli elementi istruttori raccolti.
Quanto alle circostanze indicate dai ricorrenti, che non sarebbero state considerate dalla sentenza impugnata (il fatto che il NOME stesso aveva dichiarato al primo AVV_NOTAIO di essere in grado di passare attraverso la botola, e che poiché pacificamente il lucernario che metteva in collegamento il vano sottotetto con il tetto comune era apribile a compasso solo dall’interno, solo passando dalla botola era possibile aprire tale lucernario), le stesse non possono considerarsi decisive, posto che é stato ormai accertato in via definitiva, per mancata impugnazione, che non si può invocare il diritto di accesso al fondo ex art. 843 cod. civ. per
ottenere una modifica forzosa della proprietà altrui, e che il fatto che il NOME sia occasionalmente passato a proprio rischio e pericolo attraverso la botola non significa che la stessa sia praticabile da una persona adulta in condizioni di sicurezza.
D’altra parte inconferente si rivela anche il richiamo alle violazioni degli articoli 115 e 116 c.p.c. Per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., è infatti necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio, fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115, mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è dedicato alla valutazione delle prove (vedi Cass. sez. un. 30.9.2020 n. 20867; Cass. sez. un. 5.8.2016 n. 16598).
La violazione dell’art. 116 c.p.c., a sua volta, è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonchè, qualora la prova sia soggetta ad una specifica
regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura era consentita ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo previgente ed ora solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati dalle sezioni unite di questa Corte fin dalle sentenze n. 8053 e 8054 del 2014 (vedi Cass. sez. un. 27.12.2019 n.34474; Cass. 19.6.2014 n.13960; Cass. 20.12.2007 n. 26965).
Nel caso in esame, come si è visto, neppure tali violazioni si riscontrano nella sentenza oggi impugnata.
Col quarto motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c..
Si dolgono i ricorrenti che benché il COGNOME nella comparsa di risposta del 2.10.2018 del giudizio di rinvio avesse chiesto, per il primo giudizio di cassazione, la compensazione tra le parti delle spese processuali, in quanto in quel giudizio la difesa del COGNOME non si era opposta all’accoglimento del primo motivo del ricorso principale degli originari attori, vertente sull’inapplicabilità delle norme in materia di innovazioni condominiali, reiterando poi tale richiesta sia in sede di precisazione delle conclusioni (come riportato anche alla pagina 8 dell’impugnata sentenza) che nella comparsa conclusionale di quel giudizio, la Corte d’Appello di Brescia, violando il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, li abbia condannati al pagamento in favore del NOME delle spese processuali del giudizio di cassazione n. 21864/2013 RG, liquidate in € 4.900,00 per compensi.
Questo motivo é fondato e merita accoglimento.
Effettivamente il COGNOME nella comparsa di costituzione e risposta del giudizio di rinvio a pagina 19 aveva rassegnato le
seguenti testuali conclusioni: ‘ Sulle spese del giudizio di cassazione: ritenuto che la difesa del convenuto non si é opposta al primo motivo del ricorso principale (al quale ha aderito) accolto dalla Suprema Corte, compensare integralmente le spese del giudizio ‘, confermando poi tale richiesta anche nelle conclusioni finali, come riportato alla pagina 8 della sentenza impugnata, come desumibile dall’esame degli atti consentito dalla deduzione di un vizio processuale.
Orbene, il principio per cui le spese processuali vanno liquidate ove la causa si articoli in più gradi di giudizio secondo l’esito finale della lite, salva la possibilità di compensare in tutto, o in parte le spese processuali di singoli gradi, va contemperato col principio della domanda, e poiché il NOME stesso aveva chiesto, come sopra riportato, per il primo giudizio di cassazione, che le spese processuali fossero compensate, avendo aderito al motivo di ricorso degli originari attori sull’inapplicabilità delle norme sulle innovazioni condominiali alle modifiche della botola di proprietà individuale del NOME, la Corte d’Appello di Brescia non poteva, per quel grado di giudizio, applicare il principio della soccombenza condannando gli originari attori alle spese processuali relative, dovendo attenersi comunque alle domande proposte.
La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione a tale motivo e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 comma 2 cpc, senza rinvio: pertanto, le spese processuali del giudizio di cassazione n. 21864/2013 RG definito dalla sentenza di questa Corte n. 4663/2018 vanno dichiarate compensate tra le parti.
Per il presente giudizio di legittimità, la reciproca soccombenza delle parti giustifica la compensazione delle spese processuali, che restano invece governate come stabilito dall’impugnata sentenza per il giudizio di rinvio, nonostante l’accoglimento del quarto motivo, che non ha intaccato il principio della prevalente
soccombenza degli appellanti attuali ricorrenti, ed in assenza di uno specifico motivo d’impugnazione sul punto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso e rigetta i restanti; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo il merito, compensa tra le parti le spese processuali del giudizio di legittimità definito con la sentenza di questa Corte n. 4663/2018. Compensa le spese del presente giudizio.
sì deciso in Roma nella camera di consiglio del 28.5.2024
Il Presidente NOME COGNOME