Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5111 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5111 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 35176-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, nello studio dell’ AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 821/2019 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 11/04/2019;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 19.9.2008 COGNOME NOME evocava in giudizio la ex-coniuge COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Sciacca, invocando l’accertamento della sua proprietà esclusiva di alcuni immobili compresi nei fabbricati edificati sui due lotti accorpati, originariamente distinti dai numeri 16 e 17 ed assegnati a suo tempo, ex lege 69 del 1968, l’uno all’attore e l’altro alla convenuta.
Nella resistenza della convenuta il Tribunale, con sentenza n. 346/2014, rigettava la domanda, rilevando come, in assenza dei decreti di trasferimento definitivi dei lotti di cui è causa agli assegnatari, l’immobile su di essi realizzato dovesse intendersi di proprietà demaniale, in virtù del principio dell’accessione.
Con la sentenza impugnata, n. 821/2019, la Corte di Appello di Palermo riformava la decisione di prime cure, accogliendo la domanda ab origine formulata dal COGNOME e dichiarando lo stesso unico proprietario degli immobili oggetto di causa.
Propone ricorso per la cassazione di tale pronuncia RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a quattro motivi.
Resiste con controricorso COGNOME NOME.
In prossimità dell’adunanza camerale la parte controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Prima di esaminare i motivi del ricorso va scrutinata, e rigettata, l’eccezione di inammissibilità dello stesso sollevata dalla parte controricorrente (cfr. pag. 8 del controricorso). Il termine per la
proposizione del ricorso in Cassazione, infatti, è ratione temporis -pari ad un anno dal deposito della sentenza impugnata, e dunque il ricorso, considerata anche la sospensione di 31 giorni per il periodo feriale, è stato proposto tempestivamente.
Passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo di essi la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 4-bis del D.L. n. 299 del 1978, introdotto dall’art. 13-bis del D.L. n. 8 del 1987, e dell’art. 922 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe omesso di rilevare che il principio di espansione della proprietà pre-sisma agli spazi, ulteriori rispetto alla consistenza dell’immobile da ricostruire, necessari ad assicurare un’abitazione adeguata alle esigenze familiari, previsto dal sopra richiamato art. 4bis, vale soltanto per la prima abitazione. Poiché nel caso di specie l’immobile non rappresentava la prima casa di abitazione del nucleo familiare, il COGNOME avrebbe dovuto essere riconosciuto proprietario esclusivo soltanto per la consistenza di mq. 24, corrispondente alla sua proprietà esclusiva pre-sisma, mentre per la restante parte l’immobile sito al primo piano, avente una complessiva estensione di mq. 107, avrebbe dovuto essere riconosciuto di proprietà di ambo i coniugi, che avevano parimenti contribuito alla sua realizzazione, in ragione della metà indivisa per ciascuno di essi. In sostanza, ad avviso della ricorrente il fatto che il COGNOME avesse acconsentito ad inglobare nella nuova consistenza immobiliare derivante dalla ricostruzione post-sisma e realizzata sui due lotti assegnati ai due coniugi la sua proprietà esclusiva pre-sisma di 24 mq., non consentiva l’espansione, in suo favore, dell’intera proprietà esclusiva del nuovo bene, in quanto la porzione in esso inglobata non rappresentava la prima abitazione del COGNOME.
Con il secondo motivo, invece, la ricorrente lamenta l’omesso esame, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. del fatto decisivo, rappresentato dalla circostanza che la consistenza di mq. 24 inglobata nell’appartamento di mq. 107, posto al primo piano dello stabile ed oggetto della domanda formulata dal COGNOME, non costituisse prima, ma seconda unità abitativa, di quest’ultimo.
I due motivi, suscettibili di esame congiunto, sono infondati.
Come rilevato correttamente dalla Corte di Appello, la legislazione emergenziale successiva al sisma abbattutosi sulla Sicilia nel gennaio 1968 prevedeva a beneficio dei calamitati l’assegnazione gratuita di un lotto sul quale realizzare un nuovo immobile, in luogo di quello diruto dal terremoto, ricorrendo a particolari sovvenzioni pubbliche. Il procedimento si compone di due fasi: una prima, consistente nell’assegnazione dell’area sulla quale erigere il nuovo edificio, ed una seconda, che prevede il trasferimento del diritto di proprietà della fabbrica, una volta realizzata. Il provvedimento di assegnazione del lotto, quindi, non produce il trasferimento della proprietà del suolo, che consegue solo all’ordinanza sindacale conclusiva della seconda fase procedimentale, che, nel caso di specie, è stata emessa dal Comune di Montevago in data 2.3.2015. Da quella data, dunque, il COGNOME e la COGNOME sono divenuti proprietari, rispettivamente, dell’edificio insistente sui lotti loro assegnati.
Poiché i due ex-coniugi avevano, in concreto, scelto di accorpare i lotti loro assegnati, realizzando su di essi un unico fabbricato composto da 8 unità immobiliari, la Corte di Appello ha fatto applicazione del principio generale, affermato da questa Corte, secondo cui ‘Nel caso in cui più soggetti, proprietari in via esclusiva di aree tra loro confinanti, si accordino per realizzare una costruzione, per il principio dell’accessione, ciascuno di essi, salvo convenzione contraria, acquista
la proprietà esclusiva della parte di edificio che insiste in proiezione verticale sul proprio fondo, con la conseguenza che anche le opere e strutture inscindibilmente poste a servizio dell’intero fabbricato (quali scale, androne, impianto di riscaldamento, ecc.) rientrano per accessione, in tutto o in parte, a seconda della loro collocazione, nella proprietà esclusiva dell’uno o dell’altro, salvo l’istaurarsi sulle medesime, in quanto funzionalmente inscindibili, di una comunione incidentale di uso e di godimento, comportante l’obbligo dei singoli proprietari di contribuire alle relative spese di manutenzione e di esercizio in proporzione dei rispettivi diritti dominicali’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5112 del 09/03/2006, Rv. 587334; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3714 del 19/04/1994, Rv. 486273; nonché Cass. Sez. 2, Sentenza n. 29457 del 15/11/2018, Rv. 651388, che ha affermato che quando il manufatto sia realizzato su due fondi contigui, appartenenti a soggetti diversi, non si instaura una comunione sull’intera opera realizzata, ma la proprietà resta esclusiva nella parte che si sviluppa in proiezione verticale sulle porzioni di rispettiva titolarità).
Il principio appena richiamato, peraltro, costituisce una logica derivazione del fatto che l’accessione, in quanto costituente un criterio attributivo della proprietà a titolo originario, prevale sulla presunzione di comunione derivante dalla realizzazione dell’immobile da parte, o con il contributo economico, di più soggetti, ovvero dalla destinazione funzionale degli immobili, o porzioni di esse, alla soddisfazione di bisogni comuni a tutti i proprietari dell’edificio. Sul punto, questa Corte ha infatti affermato, a titolo esemplificativo, che ‘La presunzione legale di comunione di talune parti dell’edificio condominiale, stabilita dall’art. 1117 c.c., deve ritenersi applicabile, per analogia, anche quando si tratti non di parti comuni di uno stesso edificio, bensì di parti comuni di edifici limitrofi ed autonomi, oggettivamente e stabilmente destinate
alla conservazione, all’uso od al servizio di detti edifici, ancorché insistenti sull’area appartenente al proprietario (od ai proprietari) di uno solo degli immobili; in simili ipotesi, però, la presunzione è invocabile solo se l’area e gli edifici siano appartenuti ad una stessa persona -o a più persone pro indiviso- nel momento della costruzione della cosa o del suo adattamento o trasformazione all’uso comune, mentre, nel caso in cui l’area sulla quale siano state realizzate le opere destinate a servire i due edifici sia appartenuta sin dall’origine ai proprietari di uno solo di essi, questi ultimi acquistano per accessione la proprietà esclusiva delle opere realizzate sul loro fondo, anche se poste in essere per un accordo intervenuto tra tutti gli interessati e o con il contributo economico dei proprietari degli altri edifici’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4881 del 26/04/1993, Rv. 482042; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3483 del 26/04/1990, Rv. 466841).
In sostanza, la titolarità, in capo ai due ex-coniugi, di un immobile preesistente al sisma del 1968, e diruto in conseguenza di esso, non costituisce un titolo di prenotazione della proprietà del bene che sia stato edificato in sostituzione, sul lotto all’uopo assegnato al calamitato, bensì rappresenta soltanto il presupposto per poter accedere al particolare sistema di benefici e provvidenze previsto dalla legislazione speciale. Del resto, nel caso di specie neppure si pone un problema di destinazione fattuale di parte dell’edificio all’uso comune, posto che l’ausiliario, come evidenziato dalla Corte di Appello, ha accertato che ‘Le due ditte potevano liberamente costruire ognuna per conto proprio un immobile sul lotto assegnato. Soltanto per motivi convenevoli, le parti hanno deciso di costruire l’immobile unificando i due lotti, ma non le unità immobiliari, le quali dal progetto di variante risultano ancora distinte e separate’ (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).
Non si configura, dunque, né violazione della disposizione di cui all’art. 4-bis del D. L. n. 299 del 1978 e s.m.i., né omesso esame del fatto che l’immobile inglobato nella nuova proprietà COGNOME non costituisse la prima unità immobiliare appartenente al medesimo, poiché il giudice di merito ha considerato il profilo della preesistenza della proprietà, ritenendolo rilevante non già come criterio di prenotazione della titolarità del bene edificato in sostituzione di quello diruto nel sisma, ma soltanto come titolo abilitativo all’accesso al sistema dei benefici previsto dalla normativa emergenziale.
Con il terzo motivo, la parte ricorrente lamenta la nullità della sentenza per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e tra motivazione e dispositivo, nonché violazione degli artt. 132 e 156 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma. n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente accolto la domanda del COGNOME, sulla base del criterio dell’accessione, senza considerare che, in applicazione di tale principio, egli poteva aver acquistato soltanto la porzione dell’appartamento oggetto di causa ricadente sulla verticale del suo lotto (n. 17) e non la sua totale estensione.
La censura è inammissibile.
Di essa non vi è traccia nella sentenza impugnata, secondo la quale l’appello incidentale spiegato dalla COGNOME avverso la decisione di prime cure, che aveva rigettato la domanda del COGNOME, aveva ad oggetto l’attribuzione alla stessa di una quota dell’unico fabbricato ricostruito sui due lotti accorpati, nn. 16 e 17, assegnati ai due exconiugi, corrispondente, percentualmente, alle rispettive consistenze immobiliari pre-sisma, sull’erroneo presupposto che il fabbricato ricostruito costituisse una semplice moltiplicazione, in ampliamento, delle preesistenti proprietà individuale dei due soggetti. La questione oggetto dell’appello incidentale, dunque, non era quella (solo oggi
proposta) dell’insistenza dell’edificio in quota maggiore su uno dei due lotti accorpati, ma quella, ben diversa, dell’attribuzione delle quote di proprietà del nuovo immobile in proporzione alle preesistenze immobiliari ante-sisma di ciascuno dei due ex-coniugi. L’odierna ricorrente non specifica in quale momento del giudizio di primo grado, e con quale strumento processuale, il tema oggi proposto sarebbe stato introdotto, né dà atto di aver spiegato appello incidentale, sul punto, avverso la decisione di prime cure.
Inoltre, la censura è inammissibile anche per difetto di specificità, poiché la ricorrente non specifica quale sarebbe l’elemento di prova idoneo a dimostrare che l’edificio costruito in sostituzione di quelli appartenenti agli ex-coniugi e diruti dal sisma insista sul lotto 16 in misura maggiore di quanto insista sul lotto 17, che sarebbe stato, in ipotesi, non considerato, ovvero valutato in modo non corretto, dal giudice di merito.
Con il quarto ed ultimo motivo, infine, la ricorrente lamenta la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per mancanza assoluta della motivazione con riferimento alla misura dell’indennità di godimento liquidata in favore della ricorrente. Ad avviso della ricorrente, una volta caducata la statuizione che attribuisce al COGNOME la proprietà dell’intero appartamento posto al primo piano dello stabile, anche la correlata determinazione dell’indennità di godimento dello stesso sarebbe priva di qualsiasi motivazione idonea a sostenerla.
La censura è infondata.
La Corte di Appello dà atto che la COGNOME non aveva contestato di essere obbligata a rimborsare i frutti civili derivanti dal godimento dell’intero immobile e richiama, al riguardo, la quantificazione operata dall’ausiliario, il quale aveva determinato detti frutti, dalla domanda
sino al febbraio 2012, in complessivi € 5.473,70 inclusa la rivalutazione monetaria, ed indicato un canone locativo, a decorrere da gennaio 2012, pari ad € 134,50 (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata). La motivazione non è viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830). Peraltro, una volta disattesi i primi tre motivi di censura, e dunque confermata l’attribuzione al COGNOME della piena proprietà dell’appartamento al primo piano, costituisce conseguenza naturale la debenza dei frutti civili da parte della COGNOME, che ha pacificamente avuto il godimento esclusivo del bene oggetto di causa (fatto, questo, dato per scontato dal giudice di merito e non contestato dall’odierna ricorrente).
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 4.200,00 di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda