Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25090 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25090 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 15227/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 750/2022 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata in data 01/04/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
Il Tribunale rigettò la domanda con la quale la RAGIONE_SOCIALE NOME, titolare di uno stabilimento balneare, aveva chiesto,
nei confronti di NOME COGNOME, di essere dichiarata proprietaria, in via principale per usucapione e, in subordine in forza di acquisto a titolo derivativo, del terreno sul quale insisteva parte dei manufatti dello stabilimento
La Corte d’appello di Bologna rigettò l’impugnazione dell’attrice.
RAGIONE_SOCIALE avanzava ricorso sulla base di tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria, e l’intimato resisteva con controricorso.
Il Consigliere delegato della Sezione ha proposto definirsi il ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
La ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, hanno chiesto decidersi il ricorso.
Il processo è stato fissato per l’adunanza camerale del 12 settembre 2024.
Occorre premettere che nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380-bis c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte -ed eventualmente essere nominato relatore – del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4, e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (S.U., n. 9611, 10/04/2024, Rv. 670667 -01).
Ciò posto il consigliere proponente NOME COGNOME legittimamente compone il Collegio.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia <> dell’art. 934 cod. civ.
Secondo l’assunto lo stabilimento balneare era stato ceduto nel 1988 da NOME COGNOME a NOME COGNOME e, nel 2006, alla RAGIONE_SOCIALE, poi divenuta RAGIONE_SOCIALE; sin dagli anni Sessanta del secolo scorso le strutture, definite murarie, insistevano su un terreno di terzi (salvo l’area demaniale).
Nonostante lo specifico riferimento di cui all’atto d’impugnazione la Corte locale non aveva applicato l’art. 934 cod. civ.; né aveva preso atto che il proprietario del suolo non aveva mai richiesto la rimozione ex art. 936 cod. civ., che, pertanto, i manufatti avrebbero dovuto considerarsi incorporati al suolo per il principio d’accessione. Poiché la domanda d’usucapione aveva ad oggetto gli immobili nel loro complesso, non avrebbe potuto distinguersi tra la proprietà dei manufatti e quella del suolo.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia <> dell’art. 1146 cod. civ.
La cessione dell’azienda aveva implicato, a dire della esponente, oltre a quella dei manufatti infissi al suolo (cabine spogliatoio e docce) anche quella del suolo, di proprietà di NOME COGNOME. Il predetto suolo, pertanto, già acquistato a ‘non domino’ dal cedente, era transitato nel possesso della ricorrente.
Con il terzo motivo si denuncia <> degli artt. 1158 e segg. e 934 e segg. cod. civ.
Afferma la ricorrente che la Corte di Bologna non aveva fatto applicazione del principio di diritto di cui alla sentenza n. 5739/2011 di questa Corte, che aveva affermato che il possessore della costruzione edificata con materiali propri su fondo altrui acquista per usucapione anche la proprietà del suolo.
Il complesso censorio unitariamente scrutinabile è manifestamente privo di fondamento.
La Corte territoriale ha così ricostruito gli antefatti rilevanti: il bagnino NOME COGNOME, primo titolare dello stabilimento, aveva ottenuto dai proprietari di un fondo prossimo all’arenile l’autorizzazione a collocare, a titolo di comodato, alcune cabine, impegnandosi a spostarle a semplice richiesta dei proprietari (COGNOME/COGNOME); cosa, che, in effetti era avvenuta per una cabina, allorquando titolare dello stabilimento balneare era l’COGNOME.
L’atto di provenienza prodotto dall’attrice era costituito dalla scrittura privata del 21/4/2006, con la quale la medesima si era resa cessionaria dell’azienda di stabilimento balneare, costituita <> e non di certo dal suolo. Di conseguenza, siccome aveva esattamente spiegato il Tribunale, non si era avuta accessione nel possesso.
Per maggiore specificità la sentenza riporta il contenuto dell’art. 7 del contratto, il quale dava atto che lo stabilimento sorgeva in parte su terreno demaniale e, per altra parte su terreno privato, ulteriormente chiarendo che, dall’acquisto, nel 1988, dell’azienda da parte del successivo cedente, il proprietario privato non aveva chiesto sgombrarsi l’area, né chiesto canoni, né avanzato rivendicazione. Tuttavia <>.
Da tali premesse fattuali il Giudice di secondo grado ha tratto il convincimento che il Tribunale aveva correttamente escluso accessione possessoria.
Costituisce principio fermo che in tema di accessione nel possesso, di cui all’art. 1146, comma 2, c.c., affinché operi il trapasso del possesso dall’uno all’altro dei successivi possessori e il successore a titolo particolare possa unire al proprio il possesso del dante causa, è necessario che il trasferimento trovi la propria giustificazione in un titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà o altro diritto reale sul bene; ne consegue, stante la tipicità dei negozi traslativi reali, che l’oggetto del trasferimento non può essere costituito dal mero potere di fatto sulla cosa (Sez. 2, n. 20715, 13/08/2018, Rv. 650014 -01; ma già, da ultimo, ex multis, Cass. nn. 6353/2010, 6290/2015, 2295/2017).
Sulla base del titolo (cessione d’azienda di stabilimento balneare), siccome interpretato dal Giudice del merito (né, peraltro, vengono mosse censure sui criteri ermeneutici adottati) è, pertanto, evidente che la ricorrente non poteva subentrare in alcuna posizione possessoria che ne legittimi oggi la pretesa d’avere acquistato per usucapione il fondo del COGNOME.
Ciò posto, non può che ribadirsi che la denuncia di violazione di legge sostanziale non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (ex multis, S.U. n. 25573, 12/11/2020). E ancora, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da
una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, n. 3340, 05/02/2019).
Di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334, comma 2, cod. proc. civ., sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis cod. proc. civ. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore del controricorrente.
Al rigetto del ricorso, conforme alla proposta di definizione anticipata, consegue, ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vigente art. 96, co. 3 e 4, cod. proc. civ., la condanna della ricorrente al pagamento in favore della controparte e della cassa delle ammende, delle somme, stimate congrue, di cui in dispositivo (cfr. S.U. n. 27195/2023).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30
gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge; condanna, altresì, la ricorrente al pagamento dell’ulteriore somma di € 6.000,00 in favore della controricorrente, ai sensi dell’art. 96, co. 3, cod. proc. civ.; nonché della somma di € 3.000,00, ai sensi dell’art. 96, co. 4, cod. proc. civ., in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il giorno 12 settembre 2024.