Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8621 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8621 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso 27815-2019 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentati e difesi dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO. A AVV_NOTAIO e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– controricorrente –
nonchè contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa in proprio
– controricorrente –
nonchè contro
COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliate in ROMAINDIRIZZO , nello studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentate e difes e dall’AVV_NOTAIO
– controricorrenti –
COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME
COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
– intimati –
avverso la sentenza n. 394/2019 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 10/06/2019;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 3.3.2003 COGNOME NOME evocava in giudizio il RAGIONE_SOCIALE ed i suoi partecipanti innanzi il Tribunale di Gorizia, allegando di aver acquistato, con decreto di trasferimento del 3.6.2002 disposto a seguito di asta giudiziaria, un appartamento sito nel condominio convenuto, ampliato dai precedenti proprietari inglobando alcune porzioni di proprietà condominiale, e chiedendo accertarsi l’intervenuta usucapione, a proprio favore, della proprietà di dette aree.
Si costituivano da un lato COGNOME NOME, e dall’altro il RAGIONE_SOCIALE, unitamente ad alcuni condomini, non contestando il possesso esercitato dall’attore e dai suoi danti causa né opponendosi alla domanda. Gli altri convenuti rimanevano invece contumaci. Solo tardivamente, si costituivano, separatamente, COGNOME e COGNOME NOME, chiedendo il rigetto della domanda; la seconda, nonostante fosse erede di COGNOME NOME, il quale si era tempestivamente costituito unitamente al RAGIONE_SOCIALE aderendo, invece, alla domanda attorea. Si costituiva inoltre COGNOME NOME, aderendo esso pure alla domanda attorea. Ed infine intervenivano in
giudizio prima COGNOME NOME, avente causa da COGNOME NOME, e successivamente COGNOME NOME, a sua volta avente causa da COGNOME NOME, facendo propria la domanda originariamente proposta dallo COGNOME NOME.
A seguito di interruzione del giudizio, disposta per decesso di uno dei convenuti, si costituiva nuovamente nel giudizio riassunto il RAGIONE_SOCIALE, mutando la propria linea difensiva e contestando la domanda della parte attrice. Anche COGNOME NOME rinnovava la sua costituzione, a sua volta revocando la posizione difensiva originaria e contestando la domanda di parte attrice.
Con sentenza n. 5/2016 il Tribunale rigettava la domanda, condannando la parte attrice alle spese del grado.
Con la sentenza impugnata, n. 394/2019, la Corte di Appello di Trieste accoglieva il gravame interposto dagli odierni ricorrenti avverso la decisione di prima istanza soltanto in relazione al governo delle spese, confermando invece il rigetto della domanda di usucapione.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, affidandosi a cunque motivi.
Resistono con separati controricorsi da un lato il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, dall’altro COGNOME NOME, ed infine COGNOME NOME e COGNOME.
Le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
In prossimità dell’adunanza camerale, tutte le parti costituite hanno depositato memoria.
RAGIONI RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1146 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma,
n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente affermato che nel regime tavolare l’acquirente a non domino non è legittimato ad unire il suo possesso a quello esercitato dal suo dante causa, con conseguente inoperatività dell’art. 1146 c.c.
La censura è fondata.
La Corte di Appello, richiamando la sentenza n. 20287/2008 di questa Corte, ha affermato che nella vigenza del regime tavolare di pubblicità immobiliare, l’acquirente a non domino non possa unire il proprio possesso a quello esercitato dal suo dante causa perché, in assenza di intavolazione e considerata la natura costitutiva di quest’ultima, viene a mancare il titolo idoneo al trasferimento della proprietà del bene richiesto dall’art. 1146 c.c.
L’affermazione, nei termini assoluti in cui essa è proposta dal giudice di seconde cure, non è coerente con l’insegnamento di questa Corte, la quale ha, al contrario, affermato che ‘L’istituto dell’accessione del possesso, ex art. 1146, comma 2, c.c., è compatibile con il sistema tavolare anche ai fini dell’usucapione del diritto di proprietà a condizione che il trasferimento, perché operi il trapasso del possesso e il successore a titolo particolare possa unire al proprio quello del dante causa, trovi la propria giustificazione in un titolo idoneo a trasferire la proprietà sul bene, sicché, in caso di diritto pro indiviso di una strada tra una pluralità di titolari del bene, è necessario che la destinazione all’uso esclusivo trovi la sua attribuzione nel titolo’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19788 del 04/10/2016, Rv. 641211).
Nello stesso senso, questa Corte ha affermato che ‘Nel sistema tavolare, la mancata intavolazione della servitù comporta l’inefficacia del trasferimento successivo sotto il profilo del difetto di titolarità in capo all’autore, ma tale inefficacia rientra nella fisiologia dell’istituto dell’accessione del possesso, che presuppone un titolo (non idoneo,
bensì) solo astrattamente idoneo al trasferimento. Ne consegue che, intavolato l’acquisto della proprietà, si trasferisce per accessione il possesso della servitù attiva, abbia o no già determinato l’acquisto del relativo diritto per usucapione’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15020 del 14/06/2013, Rv. 627005).
E, a ben vedere, anche il precedente richiamato nella sentenza impugnata si colloca nel medesimo solco, poiché in esso si afferma che ‘Nelle province in cui vige il sistema tavolare, il principio dell’accessione del possesso, disciplinato dall’art. 1146 c.c., non opera in caso di omissione dell’intavolazione del diritto acquistato, per atto tra vivi, dal successore a titolo particolare, mentre, nel caso in cui l’accessione del possesso riguardi un diritto di servitù, non solo non occorre l’espressa menzione, nel titolo di trasferimento dell’avente causa, dell’esistenza della servitù, ma non è neanche necessaria l’intavolazione del diritto del dante causa, essendo un elemento tipico dell’accessione l’inefficacia o l’inidoneità dell’atto formale di cessione’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20287 del 23/07/2008, Rv. 604847).
Ne deriva che l’affermazione della Corte di Appello, secondo cui l’istituto dell’accessione del possesso sarebbe sempre incompatibile con il sistema tavolare di pubblicità immobiliare, non è in sé corretta, poiché occorre sempre esaminare il contenuto del titolo con il quale si trasferisce il diritto reale e verificare se nello stesso via siano, o meno, gli elementi idonei a dimostrare gli esatti confini del diritto reale oggetto di trasferimento. L’incompatibilità, infatti, sussiste soltanto laddove si riscontri l’assoluta carenza di intavolazione del titolo di proprietà del dante causa, mentre laddove questo esista, occorre verificare se, unitamente alla proprietà del bene, vi siano i presupposti per riconoscere anche l’accessione del possesso di eventuali diritti reali di servitù, o comproprietà, su beni diversi, posti a servizio di quello
trasferito. Analogo principio si deve applicare nel caso di specie, posto che lo COGNOME NOME aveva pacificamente acquistato, in asta pubblica, e dunque giusta decreto di trasferimento, la proprietà di un bene, che era stato soltanto ampliato dai suoi precedenti proprietari mediante inglobamento di alcune porzioni comuni del fabbricato. La Corte di Appello, dunque, avrebbe dovuto verificare se, in concreto, il titolo contenesse elementi sufficienti ad assicurare l’identificazione delle parti inglobate, in relazione alle quali evidentemente difettava l’intavolazione del diritto di proprietà del dante causa dello COGNOME, e la natura del diritto reale sulle stesse configurabile. Quanto sopra, soprattutto in ragione del fatto che il Tribunale, con statuizione confermata dalla Corte di Appello (cfr. pag. 13 della sentenza impugnata), aveva accertato che nel caso di specie:
lo COGNOME aveva acquistato in sede esecutiva un immobile compreso nel condominio COGNOME;
la situazione tavolare del bene non corrispondeva alla realtà;
alcuni vani indicati al tavolare come parti comuni dell’edificio erano stati in realtà utilizzati e posseduti dai danti causa espropriati e dal loro dante causa, che li avevano inglobati nel cespite poi subastato allo COGNOME;
che tale situazione di possesso e inglobamento perdurava da oltre 50 anni.
La censura in esame va dunque accolta, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Trieste, affinché proceda ad un nuovo esame della fattispecie, verificando il contenuto del titolo di proprietà allegato dallo COGNOME ed accertando se gli elementi di fatto ormai definitivamente acclarati dal giudice di merito (rappresentati dalla situazione di inglobamento delle parti comuni oggetto della domanda di usucapione nel cespite acquistato dal predetto soggetto in sede esecutiva, e
dall’esercizio del possesso esclusivo ultracinquantennale da parte dello COGNOME e, prima di esso, dai suoi danti causa) consentano di superare, mediante il ricorso all’istituto disciplinato dall’art. 1146 c.c., la mancanza di intavolazione del titolo di proprietà in relazione ad una parte del bene immobile di cui è causa, oggi di proprietà di COGNOME NOME, avente causa di COGNOME NOME.
L’accoglimento, nei termini indicati, della prima doglianza implica l’assorbimento delle altre, con le quali i ricorrenti lamentano, rispettivamente:
-con il secondo motivo, l’omesso esame del fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., rappresentato dall’esistenza di un titolo idoneo al trasferimento della proprietà, ai fini dell’applicabilità dell’istituto disciplinato dall’ar t. 1146 c.c.
-con il terzo motivo, la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 116 c.p.c. e la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente ritenuto che lo COGNOME avesse proposto domanda di riconoscimento dell’usucapione del cespite di cui è causa sul presupposto dell’accessione, al proprio possesso, successivo all’acquisto del bene in sede esecutiva, di quello esercitato in precedenza dai suoi danti causa, e non invece l’accertamento dell’usucapione già maturata in favore di questi ultimi;
-con il quarto motivo, la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 116 c.p.c., nonché la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte territoriale avrebbe omesso di dare rilievo alla non contestazione dell’uso esclusivo, da parte dei ricorrenti, e
prima di essi dei loro danti causa, delle parti comuni dell’edificio inglobate nella proprietà dai predetti acquistata in sede esecutiva;
-con il quinto motivo, la violazione o falsa applicazione dell’art. 164 c.p.c. e la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché il giudice di seconde cure avrebbe erroneamente affermato che le porzioni oggetto della domanda di usucapione non sarebbero state adeguatamente individuate dalla parte attrice, trascurando di considerare che l’atto di citazione introduttivo del giudizio conteneva l’esatta descrizione del cespite oggetto della domanda e che comunque le parti interessate dalla richiesta di usucapione erano perfettamente identificabili, stante la loro condizione di inglobamento nell’appartamento 42 di proprietà degli attori.
In definitiva, va accolto il primo motivo del ricorso e vanno dichiarati assorbiti gli altri. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, in relazione alla censura accolta, e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Trieste, in differente composizione.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la decisione impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Trieste, in differente composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda