Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20950 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20950 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21795-2020 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– resistente con mandato –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE – intimata – avverso la sentenza n. 4351/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/12/2019 R.G.N. 847/2016;
Oggetto
R.G.N.21795/2020
COGNOME
Rep.
Ud 12/06/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME impugna la sentenza n. 4351/2019 della Corte d’appello di Roma che ha confermato la pronuncia del Tribunale della medesima sede che aveva respinto l’opposizione a due avvisi di addebito per contributi relativi agli anni 2006 e 2007 pretesi sulla base del maggior reddito accertato dall’Agenzia delle Entrate.
Propone cinque motivi di censura.
INPS non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 12 giugno 20 25, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
Il ricorrente contesta la sentenza per cinque motivi, così rubricati:
‘ I)illegittimità dell ‘impugnat a sentenza – letta in relazione all’art. 360 cod. proc. civ. n. 3 in combinato disposto agli artt. 645 c.p.c., 24 d.lgs. n. 46/1999 e 2697 c.c.
II)illegittimità dell ‘impugnata sentenza, letta in relazione all’art. 360 cod. proc. civ. n. 3 in combinato disposto con l’art. 24 d.lgs. n. 46/1999.
III)illegittimità dell ‘impugnata sentenza, per violazione e falsa applicazione del disposto normativo di cui all’art. 360 c.p.c. n. 3 in combinato disposto con gli artt. 2909 c.c. e 112 c.p.c.
IV)illegittimità dell ‘impugnat a sentenza per violazione e falsa applicazione del disposto normativo di cui all’art. 360 , n. 4 c.p.c. in combinato disposto con l’art.112 c.p.c. -motivazione connotata da contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.
V)illegittimità dell ‘impugnat a sentenza per violazione e falsa applicazione del disposto normativo di cui all’art. 360 , n. 4 c.p.c. in combinato disposto con l’art.112 cpc – omessa pronuncia ‘ . Il ricorso è da respingersi.
Premesso che si ricava dalla sentenza impugnata che l’oggetto degli avvisi di addebito era costituito dall’omesso versamento di contributi a percentuale, ritenuti dovuti sulla base di accertamento dell’Agenzia delle Entrate , va, in primis , disatteso il secondo motivo, che si appunta sul motivo di appello con cui era stato lamentato che gli avvisi di addebito erano stati inammissibilmente emessi in pendenza d ‘ impugnazione in sede tributaria.
Sul punto, la Corte territoriale ha correttamente affermato che, anche laddove l’iscrizione a ruolo in pendenza di giudizio fosse ritenuta illegittima, il Giudice deve comunque procedere con l’esame del merito della pretesa azionata dall’INPS con l’avviso di addebito.
Le censure sono, quindi, infondate per il noto orientamento di legittimità secondo cui la violazione dell’art. 24 del d.lgs. 46/1997 non esime il giudice dall’accertamento del merito della fondatezza della obbligazione contributiva e non determina quindi la nullità dell’accertamento giudiziale (Cass. nn. 11515/2017, 20055/2016, n. 5949/2020, 14044/2025): «Questa Corte è costante nell’affermare che, in tema di riscossione di contributi e premi assicurativi, il giudice dell’opposizione alla cartella esattoria le, allorché ritenga illegittima l’iscrizione a ruolo, non può limitarsi a dichiarare tale illegittimità. Il giudice, invero, è tenuto a esaminare nel merito la fondatezza della domanda di pagamento dell’Istituto previdenziale (fra le molte, Cass., sez. VI-L, 6 – luglio 2018, n. 17858), in modo non dissimile da quel che l’ordinamento
prevede in caso di opposizione a decreto ingiuntivo. Anche nella fattispecie evocata come termine di paragone, l’opposizione del debitore dà luogo a un ordinario e autonomo giudizio di cognizione, che non è circoscritto all’esame delle condizioni di ammissibilità e di validità del procedimento monitorio, ma necessariamente involge anche la disamina della fondatezza della domanda e impone al giudice di pronunciarsi sul merito della pretesa (da ultimo, Cass., sez. II, 15 dicembre 2021, n. 40110). I principi e nunciati si attagliano anche all’ipotesi oggi sottoposta al vaglio di questa Corte, in cui la cartella si correla a un accertamento già impugnato davanti all’autorità giudiziaria (Cass., sez. VI-L, 7 maggio 2019, n. 12025). 2.3. -Correttamente, pertanto, l a sentenza d’appello ha scrutinato il merito della pretesa, senza arrestarsi in limine al riscontro di un mero vizio formale della cartella» (Cass. n. 22832/2023).
Sulla base di tali premesse, la Corte è, quindi, entrata nel merito, osservando: che ‘l’appellante si è limitato a menzionare la sussistenza di un procedimento avente ad oggetto la contestazione degli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate. Nessuna prova ha fornito sull’esatta consistenza dei propri redditi’; che ‘nella fattispecie nessuna specifica contestazione sul merito della pretesa azionata con gli avvisi di addebito è stata formulata’; che ‘la sentenza pronunciata dalla Commissione tributaria non è vincolante per l’INPS’; che, comunque, detta sentenza ‘è del tutto irrilevante ai fini del decidere’.
Tale parte motiva è aggredita, sotto diversi profili, dai restanti motivi, altrettanto infondati.
Come già osservato ex multis da Cass. n. 4564/2021, «questa Corte ha da tempo escluso che tra il giudizio tributario concernente la pretesa impositiva correlata all’accertamento di
un maggior reddito e il giudizio avente ad oggetto i contributi previdenziali su di esso dovuti sussista un rapporto di pregiudizialità necessaria, ancorché siano fondati entrambi sullo stesso accertamento unificato dell’Agenzia delle Entrate: trattasi infatti non solo di cause pendenti tra soggetti diversi, ma relative a rapporti giuridici differenti, per modo che tra di esse può a tutto concedere ravvisarsi una pregiudizialità logica, che per sua natura non può dar luogo ad alcun contrasto di giudicati (così, tra le più recenti, Cass. n. 12996 del 2018 e Cass. S.U. n. 19523 del 2018)».
Quindi del tutto correttamente la Corte di merito ha escluso che l’esito del giudizio davanti al giudice tributario dovesse di per sé condizionare l’esito del giudizio davanti al giudice ordinario, non esistendo nel nostro ordinamento alcuna “pregiudiziale tributaria” del tipo di quella propugnata da parte ricorrente. Non meno correttamente ha affermato che «dalla portata presuntiva dell’accertamento tributario deriva la necessità che lo stesso venga resistito dal contribuente che intenda evitarne il consolidamento mediante prova contraria (Cass. n. 21541 del 2019)» (Cass. n.4564/2021).
Tanto premesso, la sentenza è criticata perché non avrebbe correttamente valutato che il maggior reddito accertato in sede fiscale era stato ridotto dalla Commissione Tributaria Regionale. Sul punto, va ricordato che «Questa Corte (Cass. Sez. L, Sentenza n. 24774 del 3/10/2019, Rv. 655313-01; Sez. L, Sentenza n. 21541 del 20/08/2019, Rv. 654816 – 01) ha già affermato che, in tema di iscrizione a ruolo dei crediti degli enti previdenziali per omesso versamento di contributi “a percentuale”, il maggior reddito accertato dall’Agenzia delle Entrate in sede di verifica assume valore presuntivo suscettibile di divenire definitivo in mancanza di contestazione da parte
dell’interessato, a nulla rilevando l’accettazione del condono tributario ex art. 39, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, conv. con modif. in L. n. 111 del 2011, avente natura deflattiva esclusivamente del contenzioso fiscale» (Cass. n. 19313/2021) e che «l’accertamento compiuto dall’Agenzia ai sensi del d.lgs. n. 462 del 1997, anche in caso di adesione alla definizione agevolata, conserva valore probatorio che può essere resistito da prove di segno contrario senza che ciò incida sul riparto dell’onere probatorio» (Cass. n. 14194/2021), costituendo (v., fra le altre, Cass. n. 13463/2017 e n. 19640/2018) «anche in riferimento all’obbligazione contributiva, un atto amministrativo di ricognizione dell’avveramento dei fatti costitutivi dell’obbligo, posto che l’accertamento interviene dopo che il contribuente ha adempiuto alla propria obbligazione nella misura che egli ritiene dovuta e gli uffici competenti intervengono con un procedimento amministrativo di secondo grado per verificare la correttezza dell’importo pagato» (Cass. n. 14194/2021).
Ai sensi del d.P.R. n. 600/1973, art. 36-bis, è compito dell’Agenzia delle Entrate in sede di liquidazione delle imposte, contributi e premi dovuti in base alle dichiarazioni dei redditi, di provvedere al controllo formale e sostanziale dei dati in esse contenuti ed il d.lgs. n. 462/1997, emanato in attuazione della legge delega n. 662/1996, al fine di attuare l’unificazione dei criteri di determinazione delle basi imponibili fiscali e di queste con quelle contributive e delle relative procedure di liquidazione, riscossione, accertamento e contenzioso, all’art. 1 ha stabilito che ‘per la liquidazione, l’accertamento e la riscossione dei contributi e dei premi previdenziali ed assistenziali che, ai sensi dell’articolo 10 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 , …, devono essere determinati nelle dichiarazioni dei redditi, si
applicano le disposizioni previste in materia di imposte sui redditi’.
Di tal chè, «si è in presenza di un sistema di accertamento, liquidazione e riscossione comune ai due rapporti, previdenziale e tributario, in cui gli atti di accertamento disposti dall’Agenzia delle entrate costituiscono atti di esercizio anche del rapporto previdenziale, rispondendo al fine di semplificare ed uniformare le procedure di iscrizione a ruolo delle somme a qualunque titolo dovute all’INPS, nonchè di assicurare l’unitarietà nella gestione operativa della riscossione coattiva di tutte le somme dovute all’Istituto» (Cass. n. 20726/2021).
La sentenza gravata evidenzia che il ricorrente si era limitato ad invocare un giudicato tributario, affermando che la Commissione Tributaria Regionale si era pronunciata sull’accertamento dell’Agenzia delle Entrate posto a base degli avvisi di addebito, limitando il maggior reddito contestato.
Il terzo motivo del ricorso di legittimità contiene la doglianza di violazione degli artt. 2909 cod. civ. e 112 cod. proc. civ.: ribadito quanto sopra già evidenziato in ordine alla inesistenza di una “pregiudiziale tributaria” del tipo di quella propugnata da parte ricorrente, il motivo è, comunque, inammissibile poiché difetta di specificità, non riportando la pronuncia invocata, non consentendo, così, a questa Corte di apprezzare la doglianza. Parte ricorrente non si è conformata alle indicazioni consolidate della giurisprudenza di questa Corte in merito alla necessaria autosufficienza del ricorso ( ex multis , n. 33891/2022, 261772015, n. 21560/2011), mancando la trascrizione, nel ricorso per cassazione, della sentenza richiamata nei «passaggi motivazionali» necessari per sostenere le censure (Cass. n. 16429/2023).
Nè la motivazione della pronuncia gravata pare caratterizzata da affermazioni inconciliabili, essendo, invece, chiara e consequenziale, laddove afferma che il maggior reddito che era stato contestato, e poi ridotto in sede di giustizia tributaria di secondo grado, non era quello discendente dall’attività lavorativa bensì quello conseguente alla vendita di immobili, di tal chè il maggior reddito accertato come derivante dall’attività professionale (cui era connessa la maggiore contribuzione dovuta) non era s tato ‘intaccato’ dalla decisione della Commissione Tributaria Regionale (‘per il resto, la Commissione ha respinto tutti gli altri motivi di gravame, confermando gli accertamenti fiscali compiuti e quindi la produzione di reddito in misura superiore al denunciato. Pertanto, la parte del maggior reddito asseritamente accertato e venuta meno discende dalla compravendita di un immobile e dalla cessione di un altro, ossia si tratta di reddito non discendente da attività professionale e quindi non assoggettato a contribuzione’).
Quanto sopra osservato conduce al rigetto anche del quinto motivo, perché la motivazione come sopra riportata dimostra che non si riscontra alcuna omissione di pronuncia, avendo, invece, la Corte esplicitato le ragioni a fondamento del decisum. Il ricorso va, pertanto, nel complesso rigettato ma alla reiezione non fa seguito condanna alle spese, stante l’assenza di attività difensiva da parte dell’Istituto.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, atteso il rigetto del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 12 giugno