Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 34077 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 34077 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
composta da
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16216/2022 R.G. proposto
proposto da
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale EMAIL
– ricorrente –
contro
NOME, in proprio ex art. 86 cod. proc. civ., con domicilio digitale EMAIL
– controricorrente –
e contro
ELENA POLIZZOTTO
– intimata –
avverso la sentenza n. 1318 del 29/3/2022 del Tribunale di Palermo; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
-n el 2018 l’avv. NOME COGNOME pignorava i crediti vantati dalla propria debitrice NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME; in particolare, il credito derivava dalla sentenza n. 1821 del 5/12/2015 della Corte d’appello di Palermo , che, nel risolvere il contratto preliminare di compravendita immobiliare per inadempimento della promittente venditrice COGNOME, condannava quest’ultima a pagare alla promissaria acquirente COGNOME la somma di Euro 36.151,98, oltre agli interessi e (in parte) alle spese di lite, e nel contempo condannava la COGNOME a pagare alla COGNOME la somma di Euro 19.367,13 a titolo di indennità di occupazione sine titulo dell’immobile, oltre agli interessi, nonché un’ulteriore indennità di Euro 258,30 mensili dalla data della sentenza di primo grado (2/6/2000) «fino all’effettivo rilascio del bene»;
-la terza pignorata rendeva dichiarazione ex art. 547 c.p.c. e affermava di essere debitrice della Polizzotto di Euro 10.549,80;
-il creditore procedente contestava la predetta dichiarazione, sostenendo che il controcredito della COGNOME (opposto in compensazione) era stato erroneamente calcolato, perché la data di effettivo rilascio dell’immobile non doveva essere individuata nel 23/6/2010 (coincidente con la demolizione del bene), bensì nel 13/1/2003 (quando il Comune di Carini aveva acquisito al proprio patrimonio il cespite);
-con ordinanza del 21/11/2018 il giudice dell’esecuzione risolveva la contestazione ed emetteva provvedimento di assegnazione al creditore dell’importo di Euro 10.549,80, come da dichiarazione della terza pignorata; -avverso l’ordinanza il COGNOME proponeva reclamo, che veniva dichiarato inammissibile, posto che il rimedio da impiegare era individuato ne ll’opposizione ex art. 617 c.p.c.;
-nel 2019 il COGNOME intraprendeva una nuova espropriazione presso terzi pignorando i crediti di NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME; quest’ultima rendeva dichiarazione negativa, sostenendo di aver corrisposto al procedente tutto quanto dovuto in esito al processo esecutivo conclusosi nel 2018;
-il creditore contestava la dichiarazione della terza pignorata per le medesime ragioni già avanzate nella precedente procedura espropriativa; la COGNOME eccepiva l’inammissibilità del sub -procedimento di accertamento dell’obbligo del terzo perché identico a quello già definito e, nel merito, ribadiva le difese già svolte;
-con ordinanza del 3/8/2020 il giudice dell’esecuzione respingeva le contestazioni del creditore, rilevando che la questione riguardante le somme dovute a titolo di indennità era già stata risolta dalla sentenza n. 1821/2015 e che null’altro doveva la Schia vo alla COGNOME;
-proposta opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso la predetta ordinanza, il giudizio di merito si concludeva con la sentenza n. 1318 del 29/3/2022, favorevole al COGNOME, che annullava l’ordinanza opposta e dichiarava che l’effettivo rilascio del bene (al quale si riferiva la sentenza n. 1821 del 5/12/2015) era avvenuto al momento dell’acquisizione del bene immobile al patrimonio del Comune di Carini;
-avverso la predetta sentenza NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi;
-resisteva con controricorso NOME COGNOME
-non svolgeva difese nel giudizio di legittimità NOME COGNOME già contumace nel grado di merito;
-prima dell’adunanza camerale del 12/6/2024, le parti depositavano memorie ex art. 380bis .1 c.p.c.;
-con l’ordinanza interlocutoria n. 19315 del 12/7/2024 il Collegio rilevava che la notifica del ricorso introduttivo a NOME COGNOME litisconsorte necessario, eseguita a norma dell’art. 140 c.p.c., non poteva dirsi perfezionata, perché non era stato prodotto l’esito della raccomandata inviata dall’ufficiale giudiziario (in proposito, Cass., Sez. U, Sentenza n. 10012 del 15/04/2021, Rv. 660953-01); conseguentemente, ai sensi dell’art. 291 c.p.c., si disponeva la rinno vazione della notificazione del ricorso nei confronti di NOME COGNOME;
-con nota tempestivamente depositata l’1/8/2024, il difensore della ricorrente produceva l’atto di rinnovazione della notifica, eseguita
regolarmente il 27/7/2024 a mani di NOME COGNOME nonché l’avviso di ricevimento della raccomandata relativo alla notifica del ricorso introduttivo eseguita, a norma dell’art. 140 c.p.c., il 13/6/2022;
-le parti depositavano ulteriori memorie ex art. 380bis .1 c.p.c.
-all ‘ esito della camera di consiglio del 18/11/2024, il Collegio si riservava il deposito dell ‘ ordinanza nei successivi sessanta giorni, a norma dell ‘ art. 380bis .1, comma 2, c.p.c.;
CONSIDERATO CHE
-è manifestamente infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione sollevata dal controricorrente, il quale sostiene che la COGNOME ha svolto doglianze per contestare il diritto di procedere ad esecuzione forzata nei suoi confronti e, pertanto, avrebbe dovuto proporre appello avverso la decisione, da intendersi resa ai sensi dell’art. 615 c.p.c.;
-in proposito si osserva che nell’espropriazione presso terzi promossa dal COGNOME, l’odierna ricorrente non è assoggettata ad esecuzione e, dunque, è categoricamente escluso che la stessa possa aver contestato il diritto di agire in executivis nei suoi confronti; al contrario, la COGNOME è stata convenuta, quale terza pignorata, nell’opposizione ex art. 617 c.p.c. proposta dallo stesso COGNOME avverso l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 549 c.p.c.: sicché l’odierno controricorrente ha esperito il rimedio prescritto da tale disposizione;
-col primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la ricorrente denuncia la «nullità del capo di sentenza (che ha ritenuto legittimo e procedibile il secondo accertamento dell’obbligo del terzo incoato dall’avv. COGNOME nella procedura esecutiva n. 3596/2019. Violazione dell’art. 549 c.p.c. e del giudicato formatosi, in favore del terzo pignorato, a seguito del primo accertamento dell’obbligo del terzo conclusosi con il rigetto della contestazione ed ordinanza di assegnazione emessa nella procedura esecutiva n. 232/2018 -violazione del principio del ne bis in idem »; «si lamenta la nullità, per violazione del giudicato formatosi nei confronti del terzo pignorato, del capo di sentenza che ha ritenuto
legittimo e procedibile un secondo accertamento dell’obbligo del terzo incoato dal creditore procedente dopo un primo accertamento dell’obbligo del terzo conclusosi con relativa ordinanza di assegnazione -violazione del principio del ne bis in idem »;
-la censura è manifestamente infondata e, come tale, inammissibile ex art. 360bis c.p.c.;
-la ricorrente ricollega alla declaratoria di inammissibilità del reclamo e, dunque, alla definitività dell’ordinanza un effetto di passaggio in giudicato dell’accertamento compiuto nell’esecuzione svoltasi nel 2018;
-al contrario, l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 549 c.p.c. non ha mai l’effetto di un giudicato, dato che, per esplicita previsione legislativa, la stessa «produce effetti ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione»; a riguardo questa Corte ha così espressamente statuito: «Con icastica inequivocità, la valenza della statuizione di accertamento contenuta nell’ordinanza conclusiva risulta confinata in margini assai ristretti: essa fonda il potere del giudice dell’esecuzione di disporre l’assegnazione o la vendita forzate dei beni o crediti ben pignorati presso il terzo; spiega poi effetti vincolanti anche nel successivo (eventuale) procedimento di esecuzione forzata promosso dall’acquirente o dall’assegnat ario nei confronti del terzo pignorato inadempiente. Null’altro. Ne è esclusa, in maniera assoluta, un’idoneità al giudicato sostanziale sul complesso delle relazioni di diritto sostanziale intercorrenti tra ogni e ciascuna delle parti in lite» (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23123 del 25/07/2022);
-il paventato rischio di un eccesso di iniziative esecutive volte a far accertare un inesistente credito nei confronti del terzo pignorato non costituisce valida ragione per superare il chiaro disposto normativo: casomai, laddove se ne ravvisassero i presupposti, una condotta emulativa del creditore potrebbe essere paralizzata ricorrendo all’istituto giurisprudenziale dell’abuso del processo, oltre che stigmatizzata con la condanna per lite temeraria ex art. 96, comma 3, c.p.c., in aggiunta alle spese in favore del terzo vittorioso (sulla regolazione delle spese del
subprocedimento, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23123 del 25/07/2022, Rv. 665425-05);
-col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la ricorrente denuncia la «nullità della sentenza (sotto il profilo della motivazione apparente) per violazione dell’art 132 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.»; «Il tribunale avrebbe potuto e dovuto limitarsi ad interpretare la sentenza n. 1821 del 2015 (da cui discendono i crediti e debiti reciproci tra la COGNOME e la COGNOME) senza poterla modificare. La motivazione che modifica una sentenza (giudicato esterno) resa in un giudizio del tutto autonomo a quello di esecuzione costituisce motivazione apparente poiché non interpreta il documento ma giunge a modificarne del tutto statuizioni e portata»;
-la censura è infondata;
-in contrasto con quanto sostenuto nell’atto introduttivo, il giudice di merito ha illustrato adeguatamente il proprio percorso argomentativo, che qui testualmente si riproduce : «L’entità della somma che è dovuta dalla COGNOME alla COGNOME in forza della sentenza n. 1821/2015 è una posta che algebricamente deve essere sottratta all’importo che, reciprocamente, la COGNOME deve corrisponderle in forza della medesima sentenza (vedasi il conteggio del terzo, documento n 4 del fascicolo di parte della prima fase allegato in telematico). Si tratta, come appare, evidente di un risultato contabile che varia a seconda che il termine finale di erogazione della indennità dovuta dalla COGNOME lo si voglia far coincidere a una data (2010, come sostenuto dalla COGNOME) ovvero ad altro tempo (2003, come sostenuto dall’avv. COGNOME … Il Comune di Carini, come si è appurato, con determina n.7 del 13/1/2003, notificata alla COGNOME il 20/06/2003 aveva acquisito gratuitamente e si era immesso nel possesso l’immobile conte so, avendolo confiscato. È palese, in fatto e in diritto, che il provvedimento ablativo ha spogliato entrambe le contendenti di qualsiasi potere sul bene: né la COGNOME poteva rilasciare ciò di cui non disponeva materialmente; né la COGNOME poteva riceversi ciò che le era stato confiscato, ovvero pretendere capziosamente, in sede di conteggi, che l’indennità ad essa
spettante in forza della sentenza fosse ricollegabile all’epoca, successiva, e dovuta fino alla avvenuta demolizione a cura del Comune. Dal momento della confisca, e fino alla demolizione, l’unico soggetto abilitato a pretendere, eventualmente, l’indennità di occupazione sarebbe stato il Comune di Carini e non la Lo Schiavo che aveva perduto ogni disponibilità giuridica, e materiale»;
-non può affermarsi, dunque, che difetta una motivazione e, anzi, quella fornita è ben al di sopra del cd. ‘minimo costituzionale’ (v. Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830-01, e successive conformi), avendo il giudice fornito un’interp retazione non implausibile della sentenza da cui originano i rapporti dare-avere tra la COGNOME e la COGNOME e restando preclusa la possibilità di dedurre col ricorso per cassazione l’insufficienza della motivazione;
-col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la ricorrente deduce la «violazione/falsa applicazione dei canoni ermeneutici di cui all’art. 12 e segg. delle preleggi»; «Il Tribunale, nel decidere l’opposizione all’accertamento dell’obbligo del terzo, ha errato a tener conto di una serie di circostanze nuove estranee alla sentenza n. 1821 del 2015 (emessa tra la COGNOME e la COGNOME) così violando i principi di diritto in materia di ermeneutica dei provvedimenti giurisdizional i dettati dall’art. 12 delle preleggi»;
-il motivo è inammissibile;
-per quanto è possibile comprendere dall’illustrazione della censura, la ricorrente sostiene che l’interpretazione data dal Tribunale di Palermo alla sentenza n. 1821/2015 (e, in particolare, il riferimento all’acquisizione del cespite al patrimonio del Comune di Carini) è erronea per aver violato i canoni ermeneutici dettati dalle preleggi, ma il motivo manca di specificità (prescritta dall’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.) , perché non spiega quale attinenza abbiano le disposizioni (genericamente) richiamate con l’individuazione del termine finale dell’indennità dovuta dalla COGNOME alla COGNOME;
-col quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la ricorrente deduce la «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. del capo di sentenza che ha dichiarato che il diritto della schiavo alla percezione dell’indennità di occupazione sine titulo deve arrestarsi al 12.1.2003 in contrasto col giudicato formatosi sul punto con la sentenza della corte di appello di Palermo n. 1821/2015»; «si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. del capo di sentenza che ha dichiarato che il diritto della Schiavo alla percezione dell’indennità di occupazione sine titulo deve arrestarsi al 12.1.2003 in contrasto col giudicato formatosi sul punto con la sentenza della Corte di Appello di Palermo n. 1821/2015, che riconosce tale diritto fino alla data di effettiva restituzione dell’immobile ovvero fino al 23.6.2010 data in cui l’immobile de quo è stato demolito»;
-la censura è infondata;
-la COGNOME sostiene che l’individuazione della data del 13/1/2003 (momento di acquisizione del bene al patrimonio del Comune di Carini) quale momento di «effettivo rilascio del bene» costituisce violazione del giudicato della sentenza della Corte d’appello n. 1821 del 5/12/2015 (confermata da Cass., Sez. 2, Sentenza n. 21196 del 05/07/2022): «anche ad ammettere, per assurdo, che il diritto della COGNOME a percepire l’indennità di occupazione si arrestasse al 13.1.2003, ovvero con l’asserita acquisizione del l’immobile al patrimonio del Comune di Carini, la relativa eccezione poteva e doveva essere sollevata dalla COGNOME innanzi alla Corte di Appello di Palermo, dal momento che il giudizio di rinvio da cui è scaturita la sentenza della Corte di Appello di Palermo n. 1821/2015 è stato incoato successivamente al 13.1.2003»;
-l ‘argomentazione che, in sostanza, prospetta l’irretrattabilità della citata sentenza della Corte palermitana in quanto resa successivamente al 13/1/2003 (che, dunque, non può essere la data di effettivo rilascio a cui il giudice d’appello ha inteso riferirsi) è inconsistente;
-come risulta dalla sentenza ora menzionata, la lite tra la COGNOME e la COGNOME ha avuto il suo esordio ben prima del 13/1/2003, dato che la
sentenza di primo grado risale al 29/7/2000 e che quella d’appello (poi cassata da Cass. n. 25359 del 2011) è stata emessa il 29/3/2005; non può sostenersi dunque, come fa invece la ricorrente, che la Corte d’appello, con la pronuncia del 2015, ha implicitamente considerato quale termine finale dell’indennità per occupazione sine titulo la data del 23/6/2010 perché quella del 2003 era già stata superata al momento della riassunzione in appello;
-infatti, nel giudizio di rinvio la Corte territoriale non avrebbe potuto che valutare la domanda originariamente formulata e le circostanze già acquisite nel primo grado e per tale ragione l’ulteriore indennità di Euro 258,30 mensili è stata fatta decorrere dalla data della sentenza di primo grado (del 2000) «fino all’effettivo ril ascio del bene»;
-lungi dallo specificare quale fosse la data di effettivo rilascio da considerare, la Corte territoriale si è limitata a dare atto del già intervenuto rilascio del cespite nel 2015; senza precisare in quale momento ciò è accaduto e con formula, quindi, idonea a riferirsi all’esito di una successiva o separata attività di precisazione del momento stesso, in relazione agli elementi via via acquisiti e somministrati;
-a ben vedere, perciò, non c’è alcun giudicato sull’«effettivo rilascio del bene» e al giudice dell’opposizione esecutiva si prospettava l’esigenza di interpretare il titolo riferendolo ad una delle due date antecedenti e già scadute e, cioè, quella del 2010 secondo la ricorrente o quella del 2003 secondo il controricorrente (le uniche, del resto, rimaste concretamente in contestazione tra le parti); come già esposto in relazione al primo motivo, il giudice ha fornito una motivazione non implausibile sulla interpretazione di tale titolo e la censura svolta non impegna questa Corte sulla sua correttezza, ma soltanto sulla violazione del giudicato, che si ritiene insussistente;
-in conclusione, il ricorso dev’essere respinto;
-al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate, secondo i parametri normativi, nella misura indicata nel dispositivo;
-va dato atto, infine, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente ed al competente ufficio di merito, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , D.P.R. n. 115 del 2002, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13;
p. q. m.
la Corte
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 2.000 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori di legge; , del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente ed al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater 1bis dello stesso articolo 13, qualora dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione