Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4210 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4210 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/02/2024
Ordinanza
sul ricorso n. 20619/2019 proposto da:
NOME , difeso dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOME , difesi da ll’ AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO;
-controricorrenti- avverso la sentenza della Corte di appello di Campobasso n. 131/2019 del 2/4/2019.
Ascoltata la relazione del consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
La società RAGIONE_SOCIALE, in veste di venditrice, otteneva dal Tribunale di Isernia nei confronti di NOME COGNOME, in veste di acquirente, un decreto ingiuntivo di € 23.400 a titolo di prezzo della vendita di alcuni automezzi (posta in essere dalla società al tempo in cui lo stesso COGNOME ne era l’amministratore). In sede di opposizione al decreto ingiuntivo, il COGNOME allegava la seguente
vicenda, da lui qualificata come permuta o vendita mista a permuta. Egli aveva ceduto le proprie quote di partecipazione alla RAGIONE_SOCIALE ad NOME COGNOME e NOME COGNOME. Nell’atto di cessione del 20/7/2009, egli aveva dichiarato di essere già stato «soddisfatto» per il trasferimento delle quote sociali, senz’alcun altra precisazione. Infatti, quale corrispettivo della cessione delle quote, i cessionari si impegnavano a che la società gli vendesse gli autocarri, gli cedesse un contratto con la società RAGIONE_SOCIALE per il trasporto di clinker (elemento composto essenzialmente da argilla e calcare, impiegato nella produzione di un tipo di cemento), oltre a che gli fosse corrisposta la somma di € 7.000. Sulla base di tale prospettazione, con l’atto di opposizione al decreto ingiuntivo il COGNOME aveva anche chiamato in causa i cessionari NOME COGNOME e NOME COGNOME per l’accertamento della simulazione dell’atto di cessione delle quote sociali, in quanto non aveva ricevuto alcun c orrispettivo, e per l’accertamento d’inesistenza del credito vantato con la richiesta di decreto ingiuntivo. Inoltre, egli aveva altresì chiesto l’autorizzazione a chiamare in causa NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali effettivi beneficiari della cessione delle quote sociali, nonché NOME COGNOME e NOME COGNOME che avevano curato le operazioni societarie quali esperti di diritto tributario. Per quanto interessa, in primo grado era stata dichiarata inammissibile la citazione diretta di NOME COGNOME e di NOME COGNOME; era stata disposta la separazione della causa promossa con le domande riconvenzionali proposte dal COGNOME; ritenuta la connessione ex art. 40 c.p.c. con un giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Napoli, era stato assegnato alle parti un termine perentorio per la riassunzione di tale causa; erano state rigettate le istanze di chiamata in causa di terzi e di sospensione del giudizio ex art. 295 c. p.c. Nel merito, l’opposizione al decreto ingiuntivo veniva acco lta. In
particolare, l’esistenza del credito veniva esclusa sulla base del verbale della assemblea societaria dell’8/7/2009 tra il COGNOME e NOME COGNOME (prodotto dall’opponente), da cui si ricavava la prova che, a fronte della cessione delle quote, il COGNOME era stato autorizzato (dalla società) alla vendita degli automezzi. Si riteneva inoltre la legittimazione passiva di NOME COGNOME e NOME COGNOME sul presupposto che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l’opponente può chiamare in causa terzi interessati al giudizio o dai quali egli pretende di essere garantito. Su appello della società, di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, la sentenza di primo grado è stata riformata, con rigetto dell’opposizione al decreto ingiuntivo. In particolare, è stato accolto il primo motivo, sull’inammissibilità della chiamata in causa diretta (con l’atto di opposizione) di soggetti diversi dal creditore ingiungente; inoltre è stato accolto il secondo motivo, con accertamento positivo del credito a base del decreto ingiuntivo, poiché si è accertato che una successiva deliberazione societaria (del 20/7/2009) aveva superato quella dell’8/7/2009 (posta a base dell’accertamento di primo grado).
Ricorre in cassazione il COGNOME con tre motivi, illustrati da memoria. Resistono la società RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME con controricorso.
Ragioni della decisione
1. – Il primo motivo (p. 13 ss.) denuncia ex art. 112 c.p.c. nonché per omesso esame circa un fatto decisivo l’omessa pronuncia su un fatto estintivo del credito allegato in giudizio sotto forma di quietanza (primo profilo); denuncia, inoltre, la violazione degli artt. 2697, 2733 e 2735 c.c. per non avere la Corte di appello ritenuto che il creditore è gravato dell’onere di provare la certezza, la liquidità e l’esigibilità del credito. In particolare, la motivazione non menziona il titolo che indichi
il prezzo della compravendita, né menziona la quietanza di pagamento riportata in fattura e sui certificati di proprietà degli automezzi. Cosicché è stato violato anche l’onere della prova, poiché il creditore non ha provato l’ammontare del credito vantato , se non producendo la fattura, per di più quietanzata. Che il corrispettivo della vendita degli automezzi sia stato corrisposto lo si desume anche dal fatto che tutti i certificati di proprietà degli autocarri riportano nel retro il passaggio di proprietà, con firma autenticata dell’amministratore della venditrice sotto una formale quietanza. Cosicché vi è una prova ulteriore dell ‘estinzione del debito, ossia la dichiarazione al pubblico registro automobilistico ex art. 13 r.d. 1814/1927.
Il secondo motivo (p. 16 ss.) denuncia ex artt. 214, 216 e 221 c.p.c. l’erronea individuazione de i rispettivi ambiti di applicazione degli oneri di disconoscimento, di richiedere la verificazione giudiziale nonché di proporre querela di falso, nel caso di documento riempito abusivamente contra pacta (con inadempimento del mandato ad scribendum). In particolare, la ricorrenza di tale caso (e non del riempimento absque pactis ovvero sine pactis, rilevato invece dalla Corte di appello) sarebbe confermata dalla contraddittorietà con quanto espresso in altri atti e dalla impossibilità della contemporanea sottoscrizione di due documenti in luoghi diversi.
Il terzo motivo (p. 21 ss.) denuncia ex artt. 1322, 1343, 1344, 1418 e 1419 c.c. la mancata declaratoria di nullità della complessiva operazione contrattuale che, mediante l’utilizzo di schemi tipici tra loro collegati, viola e/o elude una norma imperativa attuando un assetto degli interessi con causa illecita e in frode alla legge e al terzo.
2.1. – I tre motivi sono da esaminare contestualmente in quanto interrelati.
Essi non sono fondati.
2.2. – È da premettere la trascrizione della parte censurata della sentenza impugnata. «Entrambi i documenti sopra richiamati , di contenuto contrastante, sono pienamente utilizzabili per la decisione perché ritualmente prodotti e non oggetto di disconoscimento: ciò vale non solo per il verbale dell’8/7/2009, che viene contestato da parte appellante perché avente causa illecita ma non in ordine alla sua genuinità, ma anche per il verbale del 20/7/2009. verbale, inoltre, non è stato oggetto di formale disconoscimento, non potendo qualificarsi in questo senso le dichiarazioni rese dal COGNOME all’udienza , quando l’appellato riconobbe espressamente come propria la sottoscrizione apposta in calce al documento, aggiungendo di disconoscerne il contenuto che sarebbe stato il frutto dell’abusivo riempimento di un foglio da lui in precedenza firmato in bianco. La deduzione dell’abusivo riempimento di foglio firmato in bianco in mancanza di qualsiasi accordo relativo alla sua compilazione (absque pactis) postulava, poi, la necessità di proporre querela di falso in mancanza della quale la scrittura privata fa piena prova della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta (art. 2702 c.c.). In mancanza di querela di falso non è possibile, poi, prendere in considerazione l’elemento addotto dall’appellato a sostegno della propria deduzione circa la falsità del verbale del 20/7/2009, vale a dire la circostanza che egli si trovasse in altro luogo nel giorno in cui risulta tenuta l’assemblea. Si tratta, peraltro, di una incompatibilità non provata in termini inequivocabili, dal momento che l’atto pubblico di cessione delle quote, a cui ha preso parte il COGNOME lo stesso 20/7/2009, non indica l’orario della stipula e quindi ben potrebbe essere intervenuto prima o dopo l’assemblea. La complessiva valutazione del materiale probatorio porta a ritenere fondata la prospettazione di parte appellante, secondo cui la delibera del
20/7/2009 avrebbe avuto l’effetto di superare e porre nel nulla la precedente deliberazione dell’8/7/2009. In questa direzione milita innanzitutto la nullità della prima delibera per contrarietà alla norma imperativa di cui all’art. 2474 c.c., che fa divieto alla società RAGIONE_SOCIALE di accordare prestiti o fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di partecipazioni».
La Corte di appello accerta poi che i soci, resi edotti della nullità della prima delibera hanno negoziato altre modalità per dare seguito alla volontà del COGNOME di uscire dalla società: da un lato, la formalizzazione della cessione delle quote sociali con la previsione del corrispettivo; dall’altro lato la vendita degli automezzi effettuata dal COGNOME quale presidente della società a se stesso (valido ex art. 1395 c.c.). La complessiva operazione si è perfezionata nello stesso giorno (il 20/7/2009). In conclusione, la Corte di appello conferma la ragione di credito vantata dalla società nei confronti del COGNOME, rilevando la mancata corresponsione di una somma di denaro a titolo di prezzo della vendita degli automezzi e attestando inoltre di non poter prendere in esame le ulteriori difese proposte dal COGNOME in primo grado e non ribadite in appello, in particolare quella relativa alla compensazione del credito vantato dalla società per il corrispettivo della cessione degli automezzi con quello del NOME relativamente al corrispettivo per la cessione delle quote, che riguarda non la RAGIONE_SOCIALE ma i due cessionari NOME COGNOME e NOME COGNOME.
2.3. – La valutazione ricostruttiva compiuta dalla Corte di appello e sintetizzata nel paragrafo precedente è fronteggiata da una diversa ricostruzione elaborata nel ricorso (p. 5): «vi è una triangolazione dovuta all’asimmetria tra le parti: il COGNOME è cedente e cessionario in ambo le cessioni tra loro collegate, mentre la RAGIONE_SOCIALE è solo cedente (degli autocarri e del contratto di trasporto) e i Sig.ri NOME NOME
COGNOME e NOME COGNOME sono solo cessionari (delle quote). Per effetto del collegamento negoziale tra le due cessioni, la RAGIONE_SOCIALE si impoveriva degli automezzi senza averne un corrispettivo, di cui invece si avvantaggiavano i Sig.ri NOME COGNOME e NOME COGNOME, che divenivano proprietari delle quote della RAGIONE_SOCIALE senza versare alcun corrispettivo. Com’è evidente il congegno negoziale assume causa unitaria, per effetto del collegamento negoziale, e produce l’effetto, indiretto, di depauperare la RAGIONE_SOCIALE in favore dei soci NOME COGNOME e NOME COGNOME. Tale congegno negoziale veniva perfezionato nel verbale di assemblea societaria dell’8/7/2009 (all. v del fascicoletto di Cassazione, già agli atti). Per cui le successive cessioni (delle quote e dei beni) erano negozi esecutivi di tale congegno negoziale. In altre parole, essi si qualificano in termini causali alla luce dell’assetto d’interessi definito nell’assemblea dell’8/7/2019, di cui sono esecuzione».
2.4. – Ci troviamo così dinanzi ad una valutazione interpretativa del «congegno negoziale» (di cui viene predicata la globale nullità nel terzo motivo di ricorso) che, nel punto centrale, si contrappone a quella argomentata dalla Corte di appello. Infatti, mentre quest’ultima fa perno sulla delibera dell’assemblea societaria del 20/7/2009, previo accertamento della nullità della precedente delibera del l’8/7/2009, la ricostruzione della parte ricorrente rinviene viceversa il proprio asse portante nella delibera dell’8/7/2020, al prezzo di una contrapposta e radicale svalutazione della successiva delibera del 20/7/2020, che sarebbe frutto di un abusivo riempimento contra pacta (con inadempimento di un mandato ad scribendum).
Orbene, questa impostazione avrebbe potuto (ipoteticamente) avere successo in sede di giudizio di legittimità se (e solo se) la parte ricorrente: (a) nel rispetto del requisito di specificità/autosufficienza ex art.
366 n. 6 c.p.c., avesse sintetizzato efficientemente i passaggi rilevanti delle due delibere de quibus, nonché i passaggi del distinto atto di cessione delle quote societarie posto in essere il 20/7/2009; (b) avesse rivolto vittoriosamente all’indirizzo della valutazione ricostruttiva della complessiva volontà delle parti in causa, compiuta dalla Corte di appello, censure specifiche di violazione delle regole legislative di ermeneutica negoziale (artt. 1362 ss. c.c.). Infatti, ove entrambe le condizioni, (a) e (b), si fossero avverate, si sarebbe dischiusa la prospettiva di un ulteriore giudizio di merito in sede di rinvio, imperniato essenzialmente sulla questione relativa alla eventuale nullità del complessivo «congegno negoziale» architettato dalle parti. Diversamente, in assenza di ciò, ognuno dei tre motivi di ricorso così partitamente proposti presta il fianco ad un giudizio che conduce a disattenderlo.
Così è per il primo motivo. Esso è inammissibile in tutti i profili in cui esso si articola, poiché sia l’omessa pronuncia sull’eccezione di un fatto estintivo dell’obbligo di pagamento del corrispettivo del trasferimento degli autocarri, sia l’omesso esame delle diverse quietanze, sia la censura di violazione delle regole sull’onere della prova presuppon gono la valutazione che il corrispettivo non debba consistere nella unitaria somma di denaro richiesta attraverso il ricorso per decreto ingiuntivo, ma debba articolarsi in quei diversi elementi allegati (salvo poi a predicare la nullità della complessiva operazione, cfr. il terzo motivo). Tale valutazione si risolve nel sovrapporre l’apprezzamento della parte a quello che la Corte di appello ha espresso in una motivazione che non si espone a profili di censura spendibili in sede di legittimità.
Così è per il secondo motivo, che è infondato poiché la censura di erronea imputazione al COGNOME dell’onere di proporre querela di falso del verbale della delibera del 20/7/2009 presuppone il caso di abusivo riempimento contra pacta e non sine pactis , come invece è stato
assunto dalla Corte di appello. Tale censura avrebbe potuto avere successo se il ricorrente avesse: (a) allegato specificamente il contenuto della pattuizione di riempimento; (b) argomentato la violazione di regole legislative di ermeneutica negoziale nell’accertare viceversa l’assenza di una tale pattuizione. Così non è stato , cosicché l’argomentazione della Corte di appello è in linea con la giurisprudenza (cfr., tra le più recenti, Cass. 18234/2023, ove si ribadisce l ‘onere della querela di falso per la denuncia dell’ abusivo riempimento in caso di assenza di uno specifico accordo sul contenuto del documento e non anche in caso di violazione di un siffatto accordo).
Così è anche per il terzo motivo, su cui specialmente si addensano i profili d’inammissibilità derivanti dal mancato rispetto del requis ito di specificità/autosufficienza ex art. 366 n. 6 c.p.c., congiunto alla omessa denuncia della violazione delle regole legislative d’interpretazione della volontà delle parti (si rinvia ai primi due capoversi di questo paragrafo).
3. – Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo uni ficato a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della parte controricorrente, che liquida in € 3.400 , oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi e agli accessori di legge , da versare all’AVV_NOTAIO NOME COGNOME dichiaratosi antistatario.
Sussistono infine i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso a Roma il 17/01/2024.