Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27420 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27420 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3229/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
contro
ricorrente-
avverso decreto di Tribunale Napoli n. 19/2022 depositato il 10/01/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1 RAGIONE_SOCIALE chiese che fossero ammessi al passivo del fallimento RAGIONE_SOCIALE, in via chirografaria, i crediti di € 876.351,8, oltre interessi, per fornitura merci e di € 798.201,78, oltre interessi, a titolo di canoni per affitto d’azienda.
Il Giudice Delegato escluse i crediti dallo stato passivo; sull’impugnazione di RAGIONE_SOCIALE, il Tribunale di Napoli ha rigettato l’opposizione ritenendo fondata l’eccezione di nullità dei contratti di fornitura e di affitto d’azienda posti a sostegno della insinuata pretesa creditoria per abuso di dipendenza economica, ex art. 9 l.192/98, esercitata da RAGIONE_SOCIALE sull’impresa fallita.
2 Il Tribunale, dopo aver premesso che la disciplina dell’abuso di dipendenza economica contenuta nell’art. 9 legge citata trova generale applicazione, indicava plurimi e specifici elementi dai quali emergeva un chiaro ed evidente squilibrio di diritti ed obblighi nel rapporto commerciale tra concedente e impresa affittuaria d’azienda.
3 RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di sei motivi, illustrati con memoria; il RAGIONE_SOCIALE ha svolto difese con controricorso
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 I mezzi di impugnazione possono così sintetizzarsi:
violazione dell’art . 360 comma 1 nr. 5 c.p.c., per avere il Tribunale omesso l’esame di un fatto oggetto di discussione e
decisivo ai fini del decidere costituito dalla circostanza che, a regolamentare il rapporto tra le parti riferito al credito insinuato, non era il contratto di affitto di azienda del 2002 ma quello del 2007, che vedeva quale originario concedente un soggetto diverso, RAGIONE_SOCIALE, che cedeva la titolarità della propria posizione contrattuale alla RAGIONE_SOCIALE, e non prevedeva condizioni di vendita dei prodotti;
violazione dell’art. 360 comma 1 nr. 5 c.p.c., per avere il Tribunale omesso l’esame di un fatto oggetto di discussione e decisivo ai fini del decidere costituito dalla circostanza della provenienza delle e-mail, che indicavano le modalità di vendita, da un soggetto diverso dalla ricorrente;
violazione e falsa applicazione dell’art. 9 l 192/1998: si sostiene che i giudici circondariali, nel ritenere sussistenti le condizioni dell’abuso di dipendenza economica, non abbiano accertato i profili relativi all’eccessività dello squilibrio, alla mancata possibilità della fallita di reperire alternative sul mercato, all’abuso, inteso come condotta arbitraria contraria a buona fede; si lamenta, inoltre, l’eccessività della sanzione della nullità indiscriminatamente estesa ad ogni atto negoziale del rapporto commerciale intrattenuto tra le due compagini sociali;
4) violazione e falsa applicazione dell’art . 9 l 192/1998 per avere il Tribunale posto a sostegno del proprio convincimento circa la sussistenza di un eccessivo squilibrio nei rapporti elementi di fatto non conducenti se non del tutto neutrali;
5) violazione dell’art.99 l.fall. , in relazione all’art. 360 comma nr. 4 c.p.c.: afferma la ricorrente che, avendo il Tribunale dichiarato la nullità di contratti destinati a regolamentare i rapporti tra le società sino al 2007 ed essendo invece le pretese creditorie per mancato pagamento delle merci ed omesso versamento dei canoni di affitto riferite agli anni 2011-2013, il decreto sarebbe affetto da nullità per omessa motivazione. Il Tribunale, inoltre, a dire della ricorrente,
avrebbe dovuto statuire sulle restituzioni, anche per equivalente, che conseguono alla declaratoria di invalidità del contratto;
violazione e falsa applicazione degli artt. 95 e 99 l.fall., in relazione all’art.360 comma 1 nr. 4 c.p.c.: la ricorrente si duole dell’irritualità delle operazioni dello stato passivo protrattesi per svariate udienze nel corso delle quali sono state effettuate operazioni ed attività non consentite dalle norme procedimentali della verifica dello stato passivo quali la richiesta di presenza del legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, la sollecitazione da parte del G.D. di transazione su altre posizioni che interessavano differenti soggetti, l’invito al curatore a modificare le proprie conclusioni, che hanno determinato un inammissibile allargamento della materia del contendere.
2 Il primo motivo è inammissibile, in quanto i fatti storici che il Tribunale avrebbe pretermesso sono privi di decisività.
2.1 Secondo quanto riportato dalla stessa ricorrente nel ricorso, nella prima pagina del contratto di affitto del 31.7.2007 si dà atto espressamente della continuazione del ‘rapporto di subaffitto’; ora, è vero che alla pagina 2 del contratto si ‘ riconosce e conviene che i rapporti commerciali connessi all’esercizio dell’Azienda (ad es. rapporto di compravendita di merci e autorizzazione all’uso come insegna dei marchi) saranno disciplinati separatamente rispetto al presente contratto ‘ , ma è altrettanto vero che non è stata neanche allegata la specifica pattuizione di condizioni diverse rispetto a quelle previste dal contratto del 2002 e considerate dal Tribunale come uno degli elementi di prova dell’abuso di dipendenza economica.
Né è idonea ad esplicare alcuna incidenza sulla decisione l’ulteriore circostanza, asseritamente pretermessa dal Tribunale, della stipula del contratto di affitto di azienda del 2002 da parte di altra società del gruppo RAGIONE_SOCIALE– dal momento che la stessa ricorrente riconosce che detto contratto è stato ceduto a
RAGIONE_SOCIALE, tanto è vero che quest’ultima ha agito per il recupero del credito in sede fallimentare sulla base della titolarità del contratto.
3.Il secondo motivo è, parimenti, inammissibile.
3.1 Il Tribunale ha desunto la prova di ‘indicazioni sulle modalità di vendita’, dallo scambio di e -mail e, secondo la ricorrente, gran parte di esse sarebbero riconducibili ad altro soggetto rispetto ad essa ricorrente.
3.2 Ora, a parte il rilievo circa la decisività della asserita omissione, che riguarda uno solo dei plurimi elementi posti a base della decisione, va rilevato che la censura è in sostanza diretta a contestare l’apprezzamento da parte del giudicante di una fonte di prova documentale.
3.3 E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., né in quello del precedente n. 4, disposizione che (per il tramite dell’art. 132, n. 4, c.p.c.) dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass.11892/2016; 23153/2018 e 20553/2021).
4 Il terzo e quarto motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto intimamente connessi, sono ancora una volta inammissibili.
4.1 La l. nr 192/98 vieta l’abuso di dipendenza economica instaurata tra una ed altra impresa, fra le quali intercorra un rapporto contrattuale.
4.2 La norma definisce la nozione di “dipendenza economica” come la ” situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti “.
Al comma 3 è sancita la nullità di ogni patto attraverso il quale si realizzi l’abuso di dipendenza economica-
4.3 Atteso il principio costituzionale della libertà d’iniziativa economica per vanificare un’operazione negoziale si richiede, da parte del giudicante, una adeguata ponderazione di tutti gli elementi di fatto e di diritto, al fine della puntuale ricostruzione della causa concreta degli accordi ed un effettivo accertamento dell’esistenza di una condotta arbitraria ed ingiustificata.
4.4 Questa Corte (cfr. Cass. nr 1184/2020) ha affermato che nell’applicazione della norma, è necessario: 1) in primo luogo, con riguardo alla sussistenza della situazione di dipendenza economica, indagare non se sussista una situazione di mero squilibrio o “asimmetria” di diritti e di obblighi, ma se lo squilibrio sia “eccessivo” (L. n. 192 del 1998, art. 9, comma 1) e se l’altro contraente fosse realmente privo di alternative economiche sul mercato (rilevando, ad esempio, la dimensione della società dipendente, che non permetta agevolmente di differenziare la propria attività, o l’avere adeguato l’organizzazione e gli investimenti in vista di quel rapporto); 2) in secondo luogo, indagare sulla condotta arbitraria contraria a buona fede, ovvero sull’intenzionalità di una vessazione perpetrata sull’altra impresa, in vista del perseguimento di fini esulanti dalla lecita iniziativa commerciale retta da un apprezzabile interesse economico dell’impresa dominante (quale potrebbe essere, ad esempio, la legittima esigenza di modificare le proprie strategie di espansione, di adattare il tipo o la quantità del prodotto, ma anche di spuntare legittimamente migliori condizioni), in quanto volta, al contrario, essenzialmente a cagionare il pregiudizio altrui. Non ogni situazione di dipendenza economica può dirsi vietata, ma unicamente quella che sia abusivamente sfruttata dalla parte dominante, al fine di trarne vantaggi ulteriori rispetto a quelli derivanti dal legittimo esercizio della propria autonomia negoziale.
4.4 Il Tribunale ha fatto corretta applicazione di tali principi ritenendo provata l’instaurazione di una situazione in cui una impresa (RAGIONE_SOCIALE) era in grado di determinare, nei rapporti commerciali con la fallita, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi sulla base dei seguenti elementi: i) la stipula del contratto di affitto d’azienda per il negozio RAGIONE_SOCIALE in INDIRIZZONapoli) nonché quello in Capri con relative autorizzazioni all’uso del marchio e dei relativi prodotti a pochi mesi dalla costituzione della società; ii) le modalità della locazione d ‘azienda ‘senza personale e senza merci’, l’entità del corrispettivo di circa un milione di euro all’anno e la previsione della clausola ‘(RAGIONE_SOCIALE) rimane, e rimarrà, libera di prendere qualsivoglia determinazione per quanto concerne l’esecuzione ovvero lo scioglimento dei propri rapporti ‘; iii) le previsioni di condizioni generali di vendita e di fissazione dei prezzi che lasciavano ampia discrezionalità alla RAGIONE_SOCIALE ed attribuivano quest’ultima, oltre che situazioni contrattuali vantaggiose, penetranti poteri sulle modalità di vendita, percentuali della scontistica da applicare, i periodi promozionali, le linee da promuovere lo stile gli allestimenti, circa le autorizzazioni e le condizioni generali di vendita; iv) la circostanza, risultante dai bilanci e dalla documentazione contabile della società in fallimento, che l’unico cliente e fornitore della fallita è stato RAGIONE_SOCIALE per tutta la sua ‘esistenza commerciale’ e che in ciascun anno di esercizio la società in fallimento ha appostato al passivo milioni di euro verso la RAGIONE_SOCIALE (per forniture e locazione); v) le condizioni e qualità dei contraenti (una società di capitali di modeste dimensioni il cui ‘business’ era rappresentato esclusivamente dai rapporti con un grande gruppo industriale quale è RAGIONE_SOCIALE).
4.5 Si tratta di accertamenti in fatto, non suscettibili di essere messi in discussione in questa sede; essi, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, danno conto, oltre che dell’evidenza
della situazione di squilibrio, in conseguenza della chiara ed abusiva posizione dominante di RAGIONE_SOCIALE a fronte della dipendenza economica della contraente più debole, costretta a sottostare a qualsiasi pretesa, anche della impossibilità o della difficoltà della società fallita di reperire sul mercato adeguate alternative.
4.6 Per il resto, le censure si traducono in una non consentita revisione del giudizio di fatto ed in particolare dell’apprezzamento, reputato non persuasivo, dei plurimi elementi presi in considerazione, che è attività rimessa al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità.
5 Il quinto motivo è infondato, in quanto il Tribunale ha sufficientemente dato conto delle ragioni dell’insussistenza della pretese creditorie, i cui fatti costitutivi traevano fondamento da contratti ritenuti nulli ai sensi dell’art . 9 comma 3 della l.192/98.
5.1 In assenza di una specifica domanda di ammissione del credito per indebito oggettivo, anche per equivalente, correttamente è stato escluso il credito in dipendenza di tale fatto costitutivo.
6 Il sesto motivo è inammissibile.
6.1 E’ invero consolidato nella giurisprudenza (cfr. ex multis Cass.n.6330/2014; n.26831/2014; n.26419/2020) il principio secondo cui l’art.360 comma 1 n.4 c.p.c., nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice, non tutela l’interesse alla astratta regolarità dell’attività giudiziaria ma garantisce solo la eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza della denunciata violazione; con la conseguenza che è inammissibile la impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare le ragioni per le quali ne sia derivato quel pregiudizio alla parte denunciante. Una simile allegazione non è dato rinvenire nella illustrazione del motivo, che si limita a lamentare l’irrituale conduzione delle operazioni di accertamento dello stato passivo senza addurre alcuna effettiva e concreta lesione dei propri diritti.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
7 Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano in € 14.200 di cui € 200 per esborsi, oltre Iva, Cap e rimborso forfettario al 15% ; dà atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del d.P.R. del 30.05.2002 n.115, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, se dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 12 settembre