Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23868 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 23868 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/08/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 28031/2020 R.G. proposto da:
COGNOME c.f. CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME ricorrente
contro
COGNOME c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME controricorrente
nonché contro
COGNOME
intimati avverso la sentenza n. 2678/2019 della Corte d’Appello di Milano, depositata il 17-6-2019,
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12-62025 dal consigliere NOME COGNOME
OGGETTO:
ripetizione di indebito
RG. 28031/2019
P.U. 12-6-2025
udito il Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso, udito l’avv. NOME COGNOME per il controricorrente
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME ha convenuto avanti il Tribunale di Milano NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME esponendo di essere erede universale di NOME COGNOME, deceduto il 22-2-2013, e che coeredi di NOME COGNOME, moglie di NOME COGNOME, deceduta in data 11-9-2011, erano il marito NOME COGNOME per la quota di due terzi, al quale era subentrato l’attore in qualità di erede universale, le sorelle NOME COGNOME e NOME COGNOME per la quota di un nono ciascuna e i nipoti -figli di NOME COGNOME fratello di NOME COGNOME– NOME COGNOME e NOME COGNOME per la quota di un nono complessivamente. Per quanto ancora interessa in questo giudizio, l’attore ha chiesto la condanna della convenuta NOME COGNOME alla restituzione dell’importo di Euro 100.000,00, in quanto frutto di sua appropriazione illecita e comunque senza causa nell’ottobre 2009 in forza di abuso di delega bancaria.
Si è costituita la convenuta NOME COGNOME deducendo che aveva legittimamente percepito la somma in ragione di atto di liberalità dei coniugi COGNOME e COGNOME in suo favore; gli altri convenuti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME si sono associati alla richiesta attorea di restituzione della somma.
Con sentenza n. 12726/2017 depositata il 18-12-2017 il Tribunale di Milano, per quanto ancora interessa, ha rigettato la domanda di restituzione dell’importo di Euro 100.000,00, in quanto NOME COGNOME era autorizzata a operare sul conto corrente bancario dal quale era avvenuto il prelievo anche per la richiesta di emissione di assegni circolari, modalità con la quale era stata incassata la somma in questione.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto appello, che con sentenza n. 2678/2019 pubblicata il 17-62019 la Corte d’appello di Milano, per quanto ancora interessa, ha accolto, condannando NOME COGNOME a restituire a favore di NOME COGNOME Euro 50.000,00, oltre interessi legali dal 19-10-2009 al saldo, nonché alla ricostruzione della massa dell’eredità di NOME COGNOME a mezzo del conferimento della residua somma di Euro 50.000,00, oltre interessi legali dal 19-10-2009.
La sentenza ha dichiarato che il Tribunale aveva omesso di considerare che, seppure l’operazione eseguita da NOME COGNOME era formalmente autorizzata in virtù della delega a lei conferita, l’appellata non aveva fornito alcuna valida giustificazione dell’ingente incasso, neppure quella dell’asserita donazione, che si era limitata ad allegare, senza offrirne prova nella dovuta forma, in considerazione del considerevole ammontare della presunta liberalità. Ha dichiarato che il prelievo, in quanto privo di valida motivazione, era stato eseguito da NOME COGNOME con abuso della delega bancaria conferitale dai coniugi COGNOME e COGNOME con conseguente accertamento della responsabilità ex art. 2043 cod. civ. in capo all’appellata, che era perciò obbligata a restituire la metà della somma all’appellante erede del cointestatario del conto corrente e l ‘altra metà alla massa ereditaria della cointestataria del conto.
2.Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME sono rimasti intimati.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione per la pubblica udienza del 12-6-2025 e nei termini di cui all’art. 378 cod. proc. civ. il Pubblico
Ministero ha depositato memoria con le sue conclusioni e hanno depositato memoria illustrativa entrambe le parti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente si dà atto che, in ragione dell’esito del giudizio, non si pone questione sulle modalità di esecuzione della notificazione del ricorso per cassazione alle parti rimaste intimate, in applicazione del principio sulla ragionevole durata del processo, che impone di evitare condotte che ostacolino una sollecita definizione del giudizio, tra le quali rientrano quelle che si traducono in un inutile dispendio di attività processuale, non giustificata dalla struttura dialettica del processo. Ingiustificata sarebbe nella fattispecie la fissazione di termine per l’integrazione del contraddittorio nei confronti di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME con riguardo ai quali manca la prova della notificazione del ricorso: la fissazione di tale termine si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione, senza comportare alcun beneficio per la garanzia di effettività dei diritti processuali delle parti (Cass. Sez. 1 11-3-2020 n. 6924 Rv. 65747901, Cass. Sez. 6-3 17-6-2019 n. 16141 Rv. 654313-01, Cass. Sez. 2 21-5-2018 n. 12515 Rv. 648755-01).
2.Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione ex art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. dell’art. 2043 cod. civ.; sostiene che l’emissione dell’assegno circolare per Euro 100.000,00 è la risultanza di operazione negoziale svoltasi al fine di dare attuazione alla volontà di NOME COGNOME ratificata dal marito NOME COGNOME evidenzia che la ricorrente aveva utilizzato la delega soltanto per l’operazione in questione, secondo l’espressa volontà dei coniugi COGNOME e COGNOME i quali avevano utilizzato quello strumento negoziale per giungere allo scopo di trasferire alla ricorrente la somma. Contesta perciò l’imputazione di responsabilità ex art. 2043
cod. civ., perché non vi era stato alcun abuso e comunque nella fattispecie non è ravvisabile responsabilità extracontrattuale; ciò in quanto era incontroversa la piena validità del rapporto negoziale di delega bancaria instauratasi tra le parti e quindi, eventualmente, la responsabilità sarebbe stata contrattuale; aggiunge che non sussiste l’elemento soggettivo, né il requisito dell’ingiustizia del danno, in quanto la somma è stata percepita con espresso consenso dei coniugi.
3.Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo per il giudizio e motivazione ‘incongrua, inidonea a giustificare la decisione, priva di correttezza giuridica e di coerenza logica formale’ ex artt. 360 co. 1 nn. 3, 4 e 5 cod. proc. civ. La ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto indicare in modo espresso e specifico le ragioni per le quali non aveva condiviso la statuizione del giudice di primo grado e indicare le ragioni che giustificavano la condanna alla restituzione; lamenta che la Corte non abbia considerato la documentazione prodotta né le richieste istruttorie, valutando soltanto la mancanza di prova della causale del prelievo, che avrebbe richiesto altra e più approfondita valutazione; aggiunge che la motivazione è inesistente anche in ordine all’ammissibilità della domanda proposta ex art. 2043 cod. civ. soltanto in sede di gravame, in violazione dell’art. 345 cod. proc. civ.
4.Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione ex art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ. dell’art. 112 cod. proc. civ., in quanto l’attore nell’atto di citazione aveva chiesto la restituzione solo ai sensi dell’art. 2041 cod. civ. e solo nella memoria ex art. 183 co. 6 n. 1 cod. proc. civ. aveva fondato l’azione sulla causale di cui all’art. 2033 cod. civ.; sostiene che vi era stata una mutatio libelli, stante la diversità di petitum e di causa petendi tra le due domande, e
aggiunge che le domande ex artt. 1218 e 2043 cod. civ. sono state proposte solo in sede di gravame.
5.Deve essere esaminato logicamente per primo il terzo motivo di ricorso, che è infondato.
Secondo i principi enunciati da Cass. Sez. U 22-5-2012 n. 8077 (Rv. 622361-01), in tutti i casi nei quali il vizio denunciato dal ricorrente abbia natura processuale e sia interdipendente con l’interpretazione da dare a una domanda, l’oggetto dello scrutinio del giudice di legittimità non è costituito dal contenuto della decisione assunta nella sentenza impugnata, ma direttamente dai fatti processuali che possono avere provocato quel vizio; quindi, la Corte di cassazione deve prendere diretta cognizione di quei fatti, sempre che la censura sia stata proposta nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 co. 1 n. 6 cod. proc. civ. (Cass. Sez. 3 7-6-2023 n. 16028 Rv. 66781602).
Ciò comporta che nella fattispecie, in cui è dedotto il vizio di cui all’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’accoglimento della domanda ex art. 2043 cod. civ. proposta solo in appello, si procede alla cognizione diretta de gli atti, verificando che già nell’ atto di citazione di primo grado NOME COGNOME aveva dedotto e aveva chiesto che fosse accertato che la convenuta NOME COGNOME aveva illegittimamente e senza causa prelevato dal conto corrente cointestato ai coniugi COGNOME e COGNOME l’importo di Euro 100.000,00 e aveva chiesto che la convenuta fosse condannata alla restituzione della somma; nella prima memoria ex art. 183 co. 6 n. 1 cod. proc. civ. NOME COGNOME aveva riproposto la domanda di restituzione dell’importo di Euro 100.000,00, ugualmente chiedendo che fosse accertato che il prelievo era avvenuto illegittimamente e senza causa; aveva dedotto anche che il negozio era nullo, a fronte dell ‘allegazione della convenuta secondo la quale si era trattato di una donazione, e aveva tenuto ferma la domanda di
condanna alla restituzione ‘anche ai sensi de gli artt. 2033 e 2041 cod. civ.’; in questo modo, attraverso l’espresso richiamo all’art. 2033 cod. civ., l’attore non aveva formulato una domanda ulteriore rispetto a quella formulata nell’atto di citazione, ma aveva esplicitato il concetto che la domanda proposta era di restituzione della somma illegittimamente prelevata, e cioè domanda di restituzione dell’indebito. Nell’atto di appello NOME COGNOME aveva riproposto le medesime domande, chiedendo la condanna alla restituzione altresì ‘ ai sensi degli artt. 1218 o 2043 c.c. ‘
Quindi, non vi è stata alcuna modifica della domanda -a prescindere dalla sua ammissibilità o inammissibilità-, perché la domanda è sempre rimasta la medesima, quella di restituzione della somma di Euro 100.000,00 prelevata illegittimamente e senza causa, per il fatto che la delega a operare nel conto corrente conferita a NOME COGNOME non l’autorizzava ad appropriarsi delle somme . La circostanza che la Corte d’appello, nell’accogliere tale domanda, abbia dichiarato non solo che NOME COGNOME ha eseguito il prelievo privo di motivazione (così, testualmente, a pag.7 della sentenza), ma anche con abuso della delega bancaria e ciò comportava responsabilità ex art. 2043 cod. civ. non significa, come ritiene la ricorrente, che sia stata accolta domanda di risarcimento dei danni tardivamente proposta: il bene della vita riconosciuto è stato quello richiesto già nell’atto di citazione con domanda sempre tenuta ferma in causa, riferito alla restituzione della somma indebitamente percepita.
6.Dalle ragioni esposte consegue che sono manifestamente infondati anche il primo e il secondo motivo di ricorso, da esaminare unitariamente per continuità delle argomentazioni. Infatti, la questione non si pone, e non è stata posta dalla sentenza impugnata, in termini di commissione di un fatto illecito e di conseguente condanna al risarcimento del danno, ma in termini di esecuzione del prelievo da
parte della delegata in mancanza di giustificazione e perciò indebitamente, con la conseguente condanna alla restituzione dell’indebito .
7.La sentenza impugnata ha anche espressamente dichiarato che della donazione allegata dalla convenuta a giustificazione del prelievo non era stata fornita la prova nella dovuta forma in considerazione dell’elevato ammontare della presunta liberalità. Nessuno degli argomenti svolti nel primo e nel secondo motivo pone in discussione in modo ammissibile nel giudizio di legittimità tale statuizione, che la ricorrente neppure prende specificamente in considerazione. La Corte d’appello , seppure facendo riferimento alla prova della donazione, in sostanza ha escluso che ricorressero le condizioni, in ragione dell’elevato ammontare dell’importo di cui si discuteva, per ritenere l’esistenza di una donazione di modico valore ex art. 783 cod. civ., valida anche in mancanza di atto pubblico. In effetti, al fine del riconoscimento del modico valore di una donazione, devono ricorrere il criterio oggettivo correlato al valore del bene che ne è oggetto, e quello soggettivo per il quale si tiene conto delle condizioni economiche del donante (Cass. Se. 2 17-2-2020 n. 3858 Rv. 657108-01, Cass. Sez. 1 30-12-1994 n. 11304 Rv. 489470-01); quindi la Corte d’appello, nel momento in cui ha valutato -in modo esente da qualsiasi vizio- elevato il valore dell’importo in discussione, non aveva ragione di procedere anche alla disamina del criterio soggettivo.
Ciò comporta che ogni ulteriore deduzione della ricorrente in ordine al fatto che l’operazione trova sse titolo nella donazione a suo favore sia inidonea a escludere l’esistenza dell’indebito, in quanto comunque la donazione risulta nulla per mancanza della forma dell’a tto pubblico imposta dall’art. 782 co. 1 cod. civ.
Infatti, si deve anche escludere la configurabilità di donazione indiretta, in quanto tale assoggettata esclusivamente alla forma del
negozio posto in essere , in forza del disposto dell’art. 809 cod. civ. che, nello stabilire le norme sulle donazioni applicabili agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall’art. 769 cod. civ., non richiama l’atto 782 cod. civ. La donazione indiretta è la liberalità realizzata ponendo in essere un negozio tipico diverso da quello previsto dall’art. 782 cod. civ. , utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità (Cass. Sez. 1 5-6-2013 n. 14197 Rv. 626631-01). Diversamente, è stato enunciato il principio secondo il quale il trasferimento, attraverso un ordine di bancogiro del disponente di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario non integra donazione indiretta ma configura donazione tipica a esecuzione indiretta soggetta alla forma dell’atto pubblico, salvo che sia di modico valore; ciò perché l’operazione bancaria tra donante e donatario costituisce mero adempimento di un distinto accordo negoziale tra loro concluso e all’operazione rimasto esterno, il quale solo realizza il passaggio immediato di valori da un patrimonio all’altro (Cass. Sez. U 27 -7-2017 n. 18725 Rv. 645125-01). E’ evidente che nella fattispecie non sussiste rapporto di strumentalità necessaria tra il conferimento della delega a operare sul conto corrente e l’emissione dell’assegno circolare da parte della delegata a proprio favore, perché il conferimento della delega non aveva in sé l’effetto indiretto dell’arricchimento del delegato; tale arricchimento si è potuto verificare, in tesi, esclusivamente in forza di un accordo distinto ed esterno rispetto a quello relativo alla delega a operare, con il quale i titolari del conto avevano autorizzato la delegata a eseguire l’operazione a suo favore per spirito di liberalità , e perciò in forza di donazione assoggettata alla forma dell’atto pubblico ad substantiam.
8.In conclusione il ricorso è integralmente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co . 1quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 7.500,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione