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Abuso del diritto: no a interessi chiesti dopo anni

Una società fornitrice, dopo aver tollerato per circa vent’anni i pagamenti in ritardo da parte di un cliente, ha richiesto il pagamento degli interessi commerciali accumulati. La Corte d’Appello di Bari ha qualificato tale comportamento come un abuso del diritto. Secondo i giudici, il prolungato silenzio del creditore ha generato nel debitore un’aspettativa legittima che gli interessi non sarebbero stati richiesti. La richiesta tardiva, che ha fatto lievitare l’importo, è stata considerata contraria al principio di buona fede, portando alla revoca del decreto ingiuntivo e all’annullamento della pretesa creditoria.

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Abuso del Diritto: Il Creditore non Può Chiedere Interessi Dopo Anni di Silenzio

Un creditore che per anni tollera il ritardo nei pagamenti senza mai richiedere gli interessi di mora e poi, improvvisamente, agisce per recuperare l’intera somma accumulata, commette un abuso del diritto. Questo comportamento, infatti, viola il principio di buona fede contrattuale e lede la legittima aspettativa creata nel debitore. Con una recente sentenza, la Corte di Appello di Bari ha chiarito i contorni di questa importante figura giuridica, riformando una decisione di primo grado e revocando un decreto ingiuntivo per oltre 27.000 euro.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un rapporto di fornitura di carburante durato circa un ventennio tra due società. Durante questo lungo periodo, la società acquirente aveva costantemente pagato le fatture in ritardo rispetto ai termini pattuiti. La società fornitrice, tuttavia, non aveva mai sollevato contestazioni né richiesto il pagamento degli interessi commerciali di mora, continuando regolarmente a fornire il carburante.

Dopo anni di questa prassi consolidata, la società fornitrice otteneva un decreto ingiuntivo per la somma di € 27.255,53, a titolo di interessi commerciali maturati sui pagamenti tardivi effettuati tra il 2011 e il 2014. La società debitrice si opponeva al decreto, sostenendo che il comportamento tollerante del creditore avesse generato un tacito accordo e una rinuncia di fatto agli interessi. In primo grado, il Tribunale di Bari rigettava l’opposizione, confermando il decreto ingiuntivo.

La Decisione della Corte d’Appello: un chiaro caso di abuso del diritto

Investita della questione, la Corte di Appello di Bari ha ribaltato la decisione di primo grado. I giudici hanno accolto l’appello della società debitrice, ravvisando nel comportamento del creditore una chiara violazione dei doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto.

La Corte ha qualificato la condotta del fornitore come un vero e proprio abuso del diritto. Non contestando per anni i ritardi e non richiedendo mai gli interessi, il creditore ha ingenerato nella controparte un affidamento legittimo sul fatto che tale ritardo fosse tollerato e che nessun interesse sarebbe stato preteso. L’azione giudiziaria, avviata solo quando l’ammontare degli interessi era “lievitato a cifre consistenti”, è stata vista come un meccanismo subdolo, contrario alla lealtà contrattuale.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha fondato la sua decisione sui principi consolidati della giurisprudenza di legittimità in materia di buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.). Questi principi impongono a ciascuna parte non solo di adempiere ai propri obblighi, ma anche di agire in modo da preservare gli interessi della controparte, senza imporre a quest’ultima sacrifici ingiustificati.

Nel caso specifico, secondo i giudici d’appello, il creditore ha mancato di quella “collaborazione” imposta dalla buona fede. Invece di contestare tempestivamente il ritardo, ha permesso che gli interessi si accumulassero, trasformando una situazione di ritardo tollerato in un danno ingiustificato per il debitore. La Corte ha sottolineato che l’esercizio di un diritto diventa abusivo quando, pur essendo formalmente legittimo, si traduce in un pregiudizio per la controparte non giustificato da un interesse apprezzabile del titolare del diritto.

Il primo giudice, secondo la Corte, aveva erroneamente applicato i principi giurisprudenziali, non riconoscendo che il comportamento del creditore – una condotta reiterata per un ventennio – andava oltre un semplice ritardo nell’esercizio del diritto. Tale condotta ha privato il debitore della possibilità di adeguarsi e di evitare il pregiudizio economico, adempiendo puntualmente se fosse stato messo sull’avviso.

Conclusioni

La sentenza rappresenta un’importante applicazione del divieto di abuso del diritto nei rapporti commerciali. Essa stabilisce che la tolleranza prolungata del creditore di fronte all’inadempimento del debitore può creare un legittimo affidamento e impedire la successiva richiesta di somme (come gli interessi di mora) accumulate a causa di tale inerzia. Il principio di buona fede agisce come un limite all’esercizio delle pretese contrattuali, imponendo un comportamento leale e collaborativo che tuteli gli interessi di entrambe le parti. In definitiva, un diritto non può essere esercitato in modo sleale per sorprendere la controparte e causarle un danno che avrebbe potuto essere evitato con un comportamento corretto e tempestivo.

Chiedere interessi di mora dopo anni di silenzio è sempre legittimo?
No. Secondo la sentenza, se un creditore tollera per un lungo periodo (nel caso di specie, un ventennio) i pagamenti in ritardo senza mai richiedere gli interessi, la sua successiva pretesa può essere considerata un abuso del diritto, contrario al principio di buona fede contrattuale, perché lede il legittimo affidamento creato nel debitore.

Cosa significa “abuso del diritto” in un rapporto commerciale?
Significa esercitare un proprio diritto in modo formalmente legale ma sostanzialmente scorretto, con lo scopo di arrecare un danno ingiustificato alla controparte e senza un apprezzabile interesse. Nel caso analizzato, il creditore ha abusato del suo diritto di chiedere gli interessi lasciandoli accumulare per anni, trasformando la sua tolleranza in uno strumento per danneggiare il debitore.

La tolleranza del creditore nel ricevere pagamenti in ritardo può avere conseguenze legali?
Sì. Una tolleranza reiterata e prolungata nel tempo può essere interpretata come un comportamento che genera nella controparte un’aspettativa legittima che tale ritardo non avrà conseguenze negative, come la richiesta di interessi. Questo comportamento può impedire al creditore di far valere successivamente i propri diritti in modo retroattivo, in virtù del principio di buona fede e del divieto di abuso del diritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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