SENTENZA CORTE DI APPELLO DI BARI N. 1234 2025 – N. R.G. 00001744 2022 DEPOSITO MINUTA 31 07 2025 PUBBLICAZIONE 11 08 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Bari Seconda Sezione Civile
in
:
composta dai seguenti Magistrati:
NOME COGNOME
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere rel.
ha emesso la seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile in grado di appello avente ad oggetto ‘vendita cose mobili’ , iscritta nel Ruolo Generale degli affari contenziosi civili, sotto il numero d’ordine
1744 dell’anno 2022
T R A
in persona del legale rappresentante pro tempore, assistita e difesa dall’avv. NOME COGNOME giusta procura in atti, ed elettivamente domiciliata in Bari alla INDIRIZZO (c/o avv. NOME COGNOME), nonché al domicilio digitale
APPELLANTE
E
già
persona del legale rappresentante pro tempore, assistita
e difesa dall’avv. NOME
COGNOME
giusta
procura
in
calce
alla
comparsa
di
costituzione
ed
elettivamente domiciliato in
Gioia del Colle (Ba) alla INDIRIZZO, presso il
suo
studio,
nonché
al
domicilio
digitale
APPELLATA
All’udienza collegiale tenutasi il 4 aprile 2025 la causa è stata riservata per la decisione, sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti nelle note autorizzate in atti, da intendersi qui per richiamate e trascritte, con la concessione dei termini di cui all’art. 19 0 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con atto di citazione ritualmente notificato, la (di seguito , per brevità) proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 2729/16, emesso dal Tribunale di Bari, con cui veniva ingiunto a quest’ ultima di pagare in favore di per brevità) la somma di €. 27.255,53, oltre interessi legali, sino al soddisfo, nonché le spese liquidate nella fase monitoria, quali interessi commerciali non pagati in relazione ad una serie di fatture per forniture di carburante
(ora di seguito pagate in ritardo negli anni dal 2011 al 2014.
A sostegno dell’opposizione, la , previa eccezione di incompetenza per territorio – per essere competente il Tribunale di Castrovillari -, nel merito, assumeva che, in realtà, il rapporto di fornitura tra le parti si era svolto regolarmente per circa un ventennio e le fatture per ciascuna fornitura erano sempre state pagate senza che la ditta fornitrice nulla eccepisse in relazione al ritardo con il quale avveniva il pagamento, sicchè si era formato un tacito accordo per il quale il pagamento avveniva al momento della nuova fornitura, ovvero la aveva, di fatto, rinunciato ad ottenere gli interessi per il ritardo nel pagamento.
In ogni caso, oltre a contestare la misura degli interessi, ritenuta superiore alla soglia di legge, con conseguente nullità degli stessi perché non previsti per iscritto, deduceva una condotta contraria a buona fede per avere generato nella controparte, con una condotta pacifica e reiterata per un ventennio, l’aspettativa che il ritardo non sarebbe stato rilevato e che nessun interesse sarebbe stato richiesto.
La società opposta, nel costituirsi in giudizio contestava gli avversi assunti e chiedeva rigettarsi l’opposizione e confermarsi il decreto ingiuntivo.
Assunte le prove orali ammesse, la causa veniva decisa con la sentenza n. 4002/2022 del 2 novembre 2022, con la quale il Tribunale di Bari, rigettava l’opposizione della , confermando e dichiarando definitivamente esecutivo il decreto ingiuntivo; il tutto con condanna dell’opponente alla rifusione delle spese di lite sostenute dall’opposta e quantificate in € 3.809,00 per compenso professionale, oltre Iva, CPA e rimborso forfettario al 15%.
In particolare, il primo giudice, rigettata l’eccezione di incompetenza per territorio, nel merito ha escluso che si fosse formato un accordo per facta concludentia per il pagamento di ciascuna fattura al momento del nuovo ordine, ha escluso che vi fosse stata una esplicita rinuncia agli interessi, ha rigettato l’eccezione di nullità per interessi ultra legali non previsti per iscritto, in quanto gli interessi commerciali ex l. 231/01, come nella specie richiesti, maturano senza necessità di messa in mora ed al saggio indicato dalla legge, che era esattamente quello richiesto, ed ha escluso
che la condotta dell’opposta potesse qualificarsi contraria alla buona fede contrattuale.
Avverso tale sentenza ha proposto appello innanzi a questa Corte, con atto di citazione ritualmente notificato, la chiedendo, per i motivi di seguito indicati ed in riforma dell’impugnata decisione, l’accoglimento dell’opposizione spiegata in primo grado e la revoca del decreto ingiuntivo opposto.
Si costituiva l’appellata chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata, con vittoria di spese e competenze di giudizio.
Rigettata l’istanza di sospensione, la causa, all’udienza del 4 aprile 2025, veniva riservata per la decisione, con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
In ossequio al principio della ragione più liquida che consente di decidere la controversia limitandosi all’approfondimento delle sole questioni rilevanti e dirimenti, ritenendosi quindi assorbite tutte le altre eccezioni e questioni 1 , va affrontato il terzo motivo di gravame, con il quale l’appellante ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui il Tribunale ha escluso che la condotta della ditta creditrice -consistente nel riceversi i pagamenti per le forniture fatturate in ritardo e senza alcuna eccezione per un ventennio -non fosse lesiva dei doveri di correttezza e buona fede nella loro rilettura costituzionale, tale, cioè, da concretizzare un abuso del diritto, giacché, nel caso di specie il creditore, non richiedendo interessi ‘…-non addizionandoli di volta in volta nelle fatture relative alle forniture successive -abbia determinato l’insorgere di un meccanismo subdolo, per cui, ha dapprima fatto sì che l’ammontare dei sedicenti interessi aumentasse nel tempo (an ziché richiederli), per poi proporre una domanda di pagamento, avendoli fatti lievitare sino a cifre consistenti. È evidente, anche sotto questo profilo, che l’appellata è incorsa nello schema tipico e diremmo quasi ‘scolastico’ del divieto di abuso del di ritto’ .
E’ ormai orientamento consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte quello per cui ‘I principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione e nell’interpretazione dei contratti, ex artt. 1175,1366 e 1375 c.c., rilevano sia sul piano dell’individuazione degli obblighi contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti, giacché, sotto il primo profilo, essi impongono a ciascuna di esse di adempiere obblighi anche non espressamente previsti dal contratto o dalla legge, ove necessario per preservare gli interessi della controparte; sotto il secondo profilo, consentono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, ove necessario per garantire l’equo
1 ex multis Corte Giustizia Trib. II grado, Milano, sez. VI, 4 aprile 2025, n. 895, Corte Conti, sez. I, 9 agosto 2024, n. 192, App. Taranto, 5 febbraio 2024, n. 45, Trib. Massa, 3 aprile 2024
contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto ‘ (Cass. Civ. sez. II, 10 gennaio 2025, n.656).
Spiegano, allora, gli nell’arresto citato, che ‘il generale principio etico-giuridico di buona fede nell’esercizio dei propri diritti e nell’adempimento dei propri doveri, insieme alla nozione di abuso del diritto, che ne è un’espressione, svolge una funzione integrativa dell’obbligazione assunta dal debitore (nella specie, la banca), quale limite all’esercizio delle corrispondenti pretese, avendo ciascuna delle parti contrattuali il dovere di tutelare l’utilità e gli interessi dell’altra, nei limiti in cui ciò possa avvenire senza un apprezzabile sacrificio di altri valori (Sez. 1, n. 17642, 15/10/2012, Rv. 624747) ‘.
In altri termini, la violazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto non si realizza soltanto nel caso in cui ‘il ritardo nell’esercizio del diritto produce un danno per la controparte senza un apprezzabile interesse per il titolare e secondo le finalità del contratto’ , come assunto dal Tribunale nell’impugnata sentenza.
O, meglio, è vero che ‘il semplice ritardo di una parte nell’esercizio di un diritto (nel caso di specie, diritto di agire per far valere l’inadempimento della controparte) può dar luogo ad una violazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto soltanto se, non rispondendo esso ad alcun interesse del suo titolare, correlato ai limiti e alle finalità del contratto, si traduca in un danno per la controparte (Sez. 3, n. 5240, 15/3/2004, Rv. 571152; conf., ex multis, Cass. nn. 2855/2005, 264/2006, 10182/2009)’ .
Tuttavia, tale affermazione discende dal principio per cui ‘la clausola generale di buona fede nell’esecuzione del contratto impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali e da quanto espressamente stabilito da singole norme di legge; in virtù di tale principio ciascuna parte è tenuta da un lato ad adeguare il proprio comportamento in modo da salvaguardare l’utilità della controparte, e, dall’altro, a tollerare anche l’inadempimento della controparte che non pregiudichi in modo apprezzabile il proprio interesse ‘ (Cass. Civ. sez. II, 10 gennaio 2025, n.656, in motivazione).
Nel caso presente, quindi, il primo giudice non si confrontava con un semplice ritardo nell’esercizio del proprio diritto a far valere l’inadempimento (rcctius il diritto agli interessi maturati per il ritardato adempimento) bensì con una condotta reiterata nel tempo (circa un ventennio) che, non sollevando il creditore alcuna eccezione o contestazione rispetto al momento del pagamento delle fatture, non metteva sull’avviso il debitore e non lo induceva al maggior rispetto dei termini di legge, provocandogli un pregiudizio che, adempiendo nei termini, avrebbe certamente evitato.
A parere della Corte, è mancata quella ‘collaborazione’ del creditore imposta dal principio di buona fede, intesa a preservare gli interessi di controparte, giacché l’utilità contrattuale del fornitore, nel caso di specie, è l’adempimento della prestazione (pagamento delle fatture) ed il maggior guadagno rappresentato dal decorso degli interessi per il ritardo – sia pure astrattamente legittimo e non abbisognevole di messa in mora – poiché determinato dalla assenza di qualsivoglia richiesta o contestazione in un ampio lasso di tempo, trasmoda in un danno ingiustificato per il debitore e, quindi, in un comportamento contrario a buona fede.
In sostanza, il primo giudice, dopo aver correttamente richiamato le pronunce e gli orientamenti giurisprudenziali che disegnano i confini della buona fede contrattuale, applica tali principi in modo erroneo non ravvisando, come avrebbe dovuto, nella condotta del creditore, odierno appellati, ‘alcuna violazione del principio di buona fede’ , derivante dall’avere provocato alla controparte un pregiudizio non giustificato dal proprio interesse all’ottenimento della prestazione contrattuale.
Segue che, in accoglimento di tale motivo di appello, la sentenza di primo grado va riformata, nel senso che il corrispondente motivo di opposizione va accolto ed il decreto ingiuntivo va revocato, non essendo dovuta alcuna somma a titolo di interessi per la sanzione conseguente alla violazione della buona fede contrattuale.
Come già detto, tutti gli ulteriori motivi di appello appaiono assorbiti.
Le spese del doppio grado di giudizio, da valutarsi secondo l’esito complessivo del giudizio 2 , seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte d’Appello di Bari, Seconda Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull’appello proposto, con atto di citazione ritualmente notificato, da avverso la sentenza n. 4002/2022 del 2 novembre 2022, resa dal Tribunale di Bari, in composizione monocratica,
Accoglie l’appello ed in riforma della impugnata sentenza, accoglie l’opposizione e revoca il decreto ingiuntivo n. 2729/16 emesso dal Tribunale di Bari;
Condanna l’appellata (già alla rifusione delle spese processuali nei confronti dell’appellante, spese che liquida, quanto al primo grado, in complessivi €. 7.616,00, per compensi, oltre IVA e CAP e rimborso forfetario (15%) come per legge, e, quanto al secondo grado, in complessivi €. 9.991,00, per compensi, oltre IVA e CAP e rimborso forfetario (15%);
2 V., tra le più recenti, Cass. Civ., sez. III, 13 giugno 2024, n. 16526.
Così decisa il 18 luglio 2025 nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile.
Il Consigliere est. NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME