Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6205 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6205 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8875/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME Massimo (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME Cristiano (CODICE_FISCALE controricorrente-
nonché contro
Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Roma,
-intimata- avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 881/2020, depositata il 06/02/2020,
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Risulta dagli atti di causa che la società RAGIONE_SOCIALE (di seguito indicata per brevità ‘RAGIONE_SOCIALE‘), nelle more del giudizio prefallimentare nr. 136/2018 a suo carico, promosso con richiesta del 18/6/2018 di declaratoria di fallimento da parte Procuratore della Repubblica di Latina, depositava, in data 25/7/2018, presso il Tribunale di Latina domanda «di ammissione al concordato con riserva» ai sensi dell’art. 161 comma 6 l.fall . che incardinava il procedimento nr. 9/2018 C.P.
Il Tribunale, disposta la riunione dei procedimenti nr. 136/2018 e nr. 9/2018 C.P., assegnava al ricorrente termine sino al 24/10/2018, per il deposito della proposta del piano e della documentazione di legge, impartendo disposizioni per il deposito di relazioni periodiche in ordine alla gestione economico-finanziaria dell’impresa.
Iris avanzava istanza di proroga del termine, ma il Tribunale, sulla scorta delle relazioni e dei pareri del Commissario Giudiziale, fissava, ai sensi degli artt. 161 comma 1, 173 e 15 l.fall., l’udienza camerale; la ricorrente rinunciava alla domanda prenotativa e depositava, in data 20/12/2018, domanda piena di ammissione al concordato preventivo cui veniva attribuito il nr. 13/2018 C.P.; il Tribunale, con sentenza nr. 12/2019, pubblicata in data 25/2/2019, dichiarava inammissibile la domanda concordatario iscritta al nr. 13/2018 C.P. e, contestualmente, pronunciava il fallimento di RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’Appello di Roma rigettava il reclamo proposto da NOME
All’uopo osservava: i) il decreto di riunione dei procedimenti nr. 9 e 13 C.P non poteva essere oggetto di reclamo in quanto provvedimento privo di carattere ordinatorio; in ogni caso si trattava di decisione corretta, atteso che la domanda di concordato pieno non avrebbe dovuto essere considerata procedimento autonomo in quanto si ricollegava alla precedente procedura di concordato in bianco la cui rinuncia costituiva un espediente per
sterilizzare l’attività compiuta dal Commissario Giudiziale , che quindi andava valutata nell’ambito di un’unica procedura inerente all’insolvenza del reclamante; ii) non vi era stata alcuna violazione del contraddittorio, con riferimento alla conoscenza da parte della Iris del contenuto delle relazioni del Commissario Giudiziale del 22/11/2018 e del 7/2/2019; iii) l’attestazione del professionista, relativa ad un piano in continuità aziendale, presentava plurime lacune ed incongruenze evidenziate nella relazione del Commissario Giudiziale, che la ricorrente non aveva colmato con l’integrazione del 30/1/2019; iv) i rilievi formulati al piano dalla sentenza di primo grado concernenti, oltre al l’inattendibilità dei dati aziendali, anche la mancanza di puntuale indicazione sui termini e tempi di pagamento, non erano stati adeguatamente contrastati; v) era da escludere il vizio della nullità della reclamata sentenza per violazione del contraddittorio, dal momento che la debitrice era stata messa in condizione di conoscere la richiesta di fallimento del Pubblico Ministero; vi) rimanevano fondati, in quanto non efficacemente confutati, gli elementi probatori valorizzati dal Tribunale costituiti dalla presenza di numerosi protesti elevati a carico della società, dal patrimonio netto negativo, così come rideterminato dallo stesso attestatore, nonché dalle risultanze dello stato passivo.
NOME ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di quattro motivi. Il Fallimento ha svolto attività difensiva mediante controricorso. L ‘Ufficio della Procura è rimasto intimato. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380bis1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo mezzo di impugnazione denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art . 161, comma 10, l.fall. e all’art 163 , comma 2, nr. 3, l.fall e/o vizio di cui all’art. 360, comma 1, nr. 5 c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti: sostiene la ricorrente che il
Tribunale non avrebbe statuito, incorrendo perciò nei denunciati vizi di omessa pronuncia e/o omesso esame di fatto decisivo ai fini del decidere, sull’istanza di rinuncia della domanda di ammissione del concordato con riserva, il cui termine per il deposito del piano era scaduto.
1.1. Il motivo va respinto.
1.2. Il Tribunale non ha affatto omesso di statuire sulle questioni correlate alla rinuncia da parte del debitore della domanda prenotativa e sulla riunione dei procedimenti nr. 9 e 13 C.P., ma ha precisato che la domanda piena di concordato preventivo, depositata in data 20/12/2018, nelle more dell’udienza di cui agli artt. 161, comma 6, 173 e 15 l.fall. ed in pendenza del termine assegnato per la presentazione della proposta, non poteva qualificarsi come una nuova domanda, poiché il piano avrebbe dovuto essere depositato con la prima domanda, con la conseguenza che non doveva essere attribuito alla domanda piena un nuovo numero di iscrizione al ruolo; una diversa interpretazione, a giudizio del Collegio romano, si sarebbe tradotta in un abuso dello strumento dello strumento concordatario, poiché l’operazione di rinuncia al concordato prenotativo e di immediata presentazione della domanda piena sarebbe stata preordinata al solo scopo di rendere inutilizzabile tutta l’attività svolta dal Commissario Giudiziale nella fase precedente ed in particolare le osservazioni ed i rilievi critici svolti nei pareri resi dall’organo del procedura al Giudice Delegato.
Il secondo motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione ex art. 360, comma 1, nr. 5, c.p.c.: la Corte distrettuale avrebbe espresso un giudizio di inattendibilità dell’attestazione dell’esperto con riferimento ai flussi finanziari senza aver valutato le possibilità di incasso della somma di € 350.000 dal contratto RAGIONE_SOCIALE e della somma di € 965.367,95 per effetto della transazione con l’ Hotel
RAGIONE_SOCIALE e senza aver valutato la circostanza che in cassa erano pronte somme per € 1.500.000.
2.1. Il motivo va parimenti respinto.
Invero, il denunciato vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. concerne esclusivamente l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che abbia carattere decisivo per il giudizio (Cass., Sez. U., 8053/2014) e non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (cfr. Cass. 25035/2018, 21152/2014 e 11511/2014).
2.2. La doglianza si risolve, dunque, nella prospettazione di un vizio di motivazione non coerente con il paradigma attualmente vigente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., siccome volta ad una nuova valutazione dei fatti e delle risultanze istruttorie, non ammissibile in questa sede.
Il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 15 , comma 3, l.fall. in relazione all’art . 360, comma 1, nr. 3, c.p.c., per avere la Corte dichiarato il fallimento della Iris senza che fosse stata notificata alla stessa l’istanza di fallimento del Pubblico Ministero del 18/6/2018.
3.1. Il motivo è infondato, in quanto la Corte distrettuale ha rilevato che la richiesta di fallimento del Pubblico Ministero e l’istanza di fallimento del creditore RAGIONE_SOCIALE (successivamente rinunciata) erano state inserite nel fascicolo d’ufficio , del quale la ricorrente era stata autorizzata ad estrarre copia; il Giudice Delegato aveva, inoltre, invitato parte resistente,
costituitasi 25/7/2018, a prendere visione dell’istanza di fallimento depositata dal Pubblico Ministero ed aveva poi disposto la riunione del procedimento nr 136/2018 a quello nr. 9/2018.
Infine, l’udienza fissata con il decreto 6/12/2018, comunicato a lla Iris, richiamava espressamente gli artt. 173 e 15 l.fall.
3.2. Tali accertamenti in fatto, dai quali si evince che la debitrice era stata messa in condizioni di avere contezza della richiesta di fallimento, non sono stati oggetto di specifica contestazione da parte della ricorrente.
Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 5 l.fall., in relazione agli artt. 161, comma 8, l.fall. e 163, comma 2, n. 3, l.fall., e/o vizio di cui all’art . 360, comma 1, nr. 5, c.p.c., per omessa valutazione di un fatto decisivo ai fini del giudizio oggetto di discussione fra le parti: la ricorrente, in sostanza, contesta l’elemento posto a base dell’insolvenza , costituito dai protesti elevati in danno della debitrice.
4.1. Il motivo del pari è infondato.
4.2. Com’è noto l’accertamento della sussistenza dello stato d’insolvenza, ai fini della dichiarazione di fallimento, costituisce un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità esclusivamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per omesso esame di un fatto decisivo che abbia costituito oggetto del dibattito processuale e risulti idoneo ad orientare diversamente la decisione, oppure per difetto di motivazione, ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. (cfr. Cass. 7252/2014, 4784/2005, 2107/1995 e 3371/1977).
4.3. Nondimeno nella specie la ricorrente sollecita tout court una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica del provvedimento impugnato, nonché la coerenza logico-formale della
motivazione, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili come motivo di ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cit. ad opera dell’art. 54, comma 1, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass. 331/2020, 27415/2018, e 19547/2017).
In conclusione, il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Va disattesa la richiesta di condanna al risarcimento danni ai sensi dell’art. 96 , comma 3, c.p.c., non ravvisandosi la sussistenza dei presupposti della mala fede o colpa grave della parte soccombente.
Questa Corte ha infatti chiarito che la responsabilità di cui all’art. 96, comma 3, c.p.c., presuppone, sotto il profilo soggettivo, una concreta presenza di malafede o colpa grave della parte soccombente, perché agire in giudizio per far valere una pretesa non è di per sé condotta rimproverabile anche se questa si riveli infondata. La figura dell’art. 96, comma 3, c.p.c. è evidentemente, per così dire, eccezionale e/o residuale, come l’istituto -evidentemente correlato – dell’abuso del processo, giacché una sua interpretazione lata o addirittura automaticamente aggiunta alla sconfitta processuale verrebbe a contrastare con i principi della Cost., art. 24, a prescindere poi da quelli sovranazionali (cfr. Cass. 19948/2023).
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano complessivamente in € 8.200, di cui € 200 per esborsi, oltre Iva, Cap e rimborso forfettario al 15%.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. del 30.05.2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, se dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella Camera di Consiglio tenutasi in data 28 gennaio