Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24008 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24008 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 19191/2020 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrenti –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 722/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 23/04/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
Santa Calì, premettendo di avere acquistato in data 8/7/2011 dai coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME, un immobile per uso abitativo, sito in Sant’Agata Li Battiati, INDIRIZZO in catasto al foglio 1 particella 318 sub. 3, per il prezzo concordato di € 190.000,00, convenne in giudizio innanzi al Tribunale Civile di Catania, Sezione Distaccata di Mascalucia, i venditori, lamentando che, a seguito dell’avvio di una pratica autorizzatoria presso il Comune di Sant’Agata Li COGNOME , tesa ad ottenere il permesso di costruire per la realizzazione di taluni lavori di ristrutturazione, era venuta a conoscenza che l’immobile compravenduto presentava alcuni corpi aggiuntivi, realizzati in assenza della prescritta licenza edilizia, a causa dei quali il Comune aveva negato il permesso per l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione, successivamente ingiungendone la demolizione.
Concluse chiedendo la risoluzione del contratto di compravendita stante l’aliud pro alio , con conseguente condanna dei convenuti alla restituzione del prezzo pagato, oltre al risarcimento del danno; in subordine, la risoluzione per vizi, con le conseguenti condanne restitutorie e risarcitorie; in ulteriore subordine, la riduzione del prezzo ed il risarcimento dei danni.
1.2 Il Tribunale, nella resistenza dei convenuti, espletata c.t.u., in accoglimento della domanda, risolse il contratto di compravendita ritenendo sussistente l’aliud pro alio, e condannò i convenuti alla restituzione del prezzo e a risarcire il danno, quantificato in € 12.990,00.
La Corte d’appello di Catania, in parziale accoglimento dell’appello principale dei convenuti e di quello incidentale dell’attrice, escluso che le irregolarità urbanistiche avessero integrato gli estremi della vendita di aliud pro alio, ritenne
sussistere l’ipotesi di vendita di cosa gravata da oneri o diritti di godimento di terzi (art. 1489 cod. civ.). Di conseguenza, provvide a ridurre il prezzo di vendita dell’immobile nella misura di € 56.363,00. Ridusse, infine, in ragione del ridotto valore dell’immobile, a € 7.364,00 ( 1/3 dell’importo di € 22.093,00 richiesto dall’attrice) l’entità del risarcimento del danno, tuttavia includendo in esso l’importo di € 3.034,00, quota parte della somma di € 9.103,00 versata dalla COGNOME quale premio vita e danni per l’assicurazione resasi necessaria per la stipulazione del mutuo bancario e per il corrispettivo della intermediazione.
2.1. I Giudici di secondo grado, per quel che qui ancora rileva, non condivisero le valutazioni operate dal giudice di prime cure, ritenendo che nel caso di specie non potesse ricorrere né l’ipotesi di mancanza di qualità promessa e/o essenziale ex art. 1497 cod. civ., né quella di assoluta inidoneità della cosa all’uso cui è destinata ex art. 1490 cod. civ. o altra diversa ipotesi di ‘grave inadempimento’ tale da giustificare, ex artt. 1453 e segg. cod. civ., la risoluzione del contratto con ogni conseguenziale effetto caducatorio e restitutorio; ritennero, di contro, come si è anticipato, che si configurasse <>.
COGNOME e NOME COGNOME ricorrono sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso COGNOME. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 31 l. 1150/1942 (nel testo precedente alle modifiche apportate con l. 765/1967), in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ., nonché l’omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 , co. 1 n. 5, cod. proc. civ.
Si assume che la decisione si fondi sull’erroneo convincimento che i corpi di fabbrica aggiuntivi dovessero considerarsi abusivi, mentre, per i ricorrenti, tali non erano, poiché ricadenti su una porzione del territorio comunale amministrativamente non dotata di strumento urbanistico, né di regolamento edilizio, derivandone l’inapplicabilità dell’art. 31 della l. 1150/1942.
La Corte territoriale, nel ritenere abusivi i suddetti corpi aggiuntivi poiché edificati in violazione della citata norma, avrebbe analizzato <>. Stando così le cose, mancava, dunque, il presupposto assunto nella decisione gravata a fondamento della disposta riduzione del prezzo.
4.1. Il motivo è infondato.
La lettura della norma proposta dai ricorrenti non può essere condivisa.
Il primo comma dell’art. 31 della l. n. 1150/1942, nell’originario testo, che qui rileva, disponeva: ‘ Chiunque intenda eseguire nuove costruzioni edilizie ovvero ampliare quelle esistenti o modificare la struttura o l’aspetto nei centri abitati ed ove esista il piano regolatore comunale, anche dentro le zone di espansione di cui al n. 2 dell’art. 7, deve chiedere apposita licenza al podestà del Comune ‘.
La soggezione alla licenza edilizia riguardava due ipotesi: (a) l’intervento edilizio nei ‘centri abitati’; (b) nel caso in cui esista il piano regolatore, anche dentro le zone d’espansione da esso individuate.
L’interpretazione della norma non può condurre a diverso significato, stante l’evidente portata disgiuntiva dell’espressione ‘ ed ove esista il piano regolatore (…)’, all’evidenza diretta ad allargare la platea dei casi in cui sarebbe stata necessaria ‘apposita licenza’, includendovi anche interventi al di fuori dei ‘centri abitati’ , ove esista il piano regolatore, anche alle zone di espansione dallo stesso individuate.
Con il secondo motivo si censura la sentenza gravata per violazione degli artt. 1489 e 1480 cod. civ., in relazione all’art. 360 , co. 1 n. 3, cod. proc. civ., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in riferimento all’art. 360 , co. 1 n. 4, cod. proc. civ., avendo la Corte catanese ritenuto, erroneamente, di dover applicare nel caso di specie la disciplina di cui all’art. 1489 cod. civ.
Tale norma, spiegano i ricorrenti, presuppone la mancanza di conoscenza in capo al compratore degli oneri o dei diritti reali che diminuiscono il libero godimento della cosa venduta. Nel caso di specie, tuttavia, l’acquirente era ben a conoscenza dello stato dell’immobile prima della sottoscrizione del rogito, avendo preso atto, come si legge nella stessa sentenza gravata, della mancanza di licenza e/o concessione edilizia e avendo accettato quanto dichiarato dai venditori innanzi al notaio circa l’anteriorità della costruzione al mese di settembre 1967.
La contraddizione in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale sarebbe, a dire dei ricorrenti, palese.
5.1. Il motivo presenta profili di inammissibilità ed infondatezza.
5.1.1. L’omess o esame non è, in ogni caso, qui supponibile, non vertendosi in ipotesi di mancata considerazione di un fatto storico-documentale, avente carattere di decisività, bensì di rivendicazione di un diverso apprezzamento del complesso delle emergenze di causa (cfr., ex multis, Cass. n. 18886/2023).
Un tale apprezzamento compete esclusivamente al giudice del merito e non è sindacabile in questa sede.
La giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016).
A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni
ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
5.1.1.1. Se è vero che la Corte di Catania ha accertato che nel corso delle trattative la parte compratrice era stata messa in condizione di visionare l’immobile , allo stesso tempo, siccome si ricava dal medesimo contesto motivazionale, aveva reputato soddisfacente la dichiarazione resa in sede di atto pubblico dalla venditrice, la quale aveva affermato l’anteriorità dell’integrale costruzione al settembre 1967, senza specificare e collocare temporalmente le aggiunte all’originaria costruzione .
Nessuna contraddizione, bensì piena coerenza. I venditori, infatti, avevano generato l’affidamento della controparte in ordine alla regolarità urbanistica dell’intero immobile, la cui costruzione era stata collocata in un solo tempo in epoca anteriore al settembre 1967. Per contro, si apprende dalla sentenza, che l’intervento edilizio illegittimo venne aggiunto alla preesistente costruzione tra il 1959 e il 1964, siccome era dato trarre dalla comparazione delle
aerofotogrammetrie del 1959 e del 1964 (cfr. pag. 7 della sentenza) , senza essere stato dichiarato all’Amministrazione.
Dei due corpi aggiunti all’originaria costruzione, proprio perché edificati in violazione del citato art. 31 al tempo vigente, siccome accertato dal c.t.u., non era possibile sanatoria, tanto che di essi l’Amministrazione comunale aveva ordinato la demolizione. La dichiarazione in sede di redazione dell’atto notarile di costruzione ante settembre 1967 non implica leale e soprattutto completa informazione circa il permanere dello stato di abusività non sanabile delle parti aggiunte.
5.1.2. Per completezza va soggiunto che la denuncia di violazione di legge sostanziale non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (ex multis, S.U. n. 25573, 12/11/2020). E ancora, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, n. 3340, 05/02/2019).
Con la terza censura si denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 , co. 1 n. 3, cod. proc. civ.
I ricorrenti sostengono che la Corte territoriale sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per avere riconosciuto con la sentenza gravata una serie di voci a titolo di risarcimento dei danni che, per converso, sarebbero riferibili soltanto alla risoluzione del contratto per vendita di ‘ aliud pro alio ‘ , ovvero alla risoluzione del contratto per inadempimento e non alla domanda di riduzione del prezzo. Si sarebbe pertanto in presenza di una pronuncia ‘ extra petita ‘.
Inoltre, deducono che la controparte aveva richiesto il rimborso delle spese di registro e notarili, <>. Di conseguenza, concludono i ricorrenti, <>.
6.1. Il motivo è solo in parte fondato.
La censura va disattesa quanto alla prospettazione secondo la quale le voci di risarcimento del danno sarebbero state collegate dalla parte attrice alla sola ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento e non a quella di riduzione del prezzo. L’asserto trova smentita nell’atto di citazione, letto nel suo insieme (qui compulsabile stante la natura processuale della doglianza, che rende la Corte di cassazione giudice del fatto processualmente rilevante).
Essa, tuttavia, merita di essere accolta limitatamente alla condanna per restituzione in parte qua di esborsi diversi dalle spese di registro e notarili, non contemplati dalla domanda attorea.
Non può trovare positivo scrutinio, per contro, la pretesa di sindacare la quantificazione del rimborso operata dalla Corte di merito, trattandosi di apprezzamento squisitamente di merito.
Con il quarto motivo s’invoca l’integrale riforma del capo delle spese quale conseguenza della soccombenza (auspicata) della controparte.
7.1. Trattasi, all’evidenza, di un ‘motivo non motivo’, un vero e proprio auspicio, che resta, tuttavia, assorbito dall’epilogo.
Cassata la sentenza, il Giudice del rinvio provvederà anche a statuire sul capo delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo del ricorso nei termini di cui in motivazione, rigetta il primo ed il secondo, assorbito il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e per quanto in motivazione, e rinvia alla Corte d’appello di Catania, altra composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio del 5 giugno 2025.