Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 4530 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 4530 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME nato in Eritrea il 4/1/1988
avverso l’ordinanza emessa il 30 aprile 2024 dal Tribunale di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione del consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette le richieste del difensore, Avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma che ha rigettato l’appello proposto avverso il provvedimento con cui la Corte di appello di Roma ha respinto la richiesta di revoca della misura cautelare del divieto di dimora a Roma, applicata al ricorrente per il reato di cui
all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, in relazione al quale è stato condannato in primo grado alla pena di mesi otto di reclusione ed euro 1400,00 di multa.
Deduce due motivi, di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
1.1. Illogicità della motivazione relativa ai gravi indizi di colpevolezza.
Sostiene il ricorrente che l’ordinanza impugnata si fonda su un dato indimostrato, ovvero i legami di natura criminale del ricorrente, e non ha tenuto conto del dato ponderale e della sua situazione di innpossidenza, che potrebbe rilevare ai fini del riconoscimento della causa di giustificazione di cui all’art. 5 cod. pen.
1.2. Mancanza ed illogicità della motivazione relativa alle esigenze cautelari. L’ordinanza ha omesso di considerare le deduzioni difensive circa la possibilità di contenimento della pena irrogata, all’esito del giudizio di appello, al di sotto dei tre anni di reclusione, considerando l’atteggiamento collaborativo dell’imputato.
Il ricorrente ha depositato una memoria in cui, anche sulla base della possibilità di assoluzione dal reato, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto deduce due motivi generici e manifestamente infondati.
Va, innanzitutto premesso che, secondo quanto risulta dall’ordinanza impugnata, l’istanza del ricorrente era fondata sulle sue condizioni di salute e sulla mancanza dei presupposti per il mantenimento della misura. Il provvedimento impugnato, nel ricostruire il motivo di appello, ha chiarito che la doglianza del ricorrente era circoscritta alla carenza della motivazione in merito alla cessazione delle esigenze cautelari e alla lievità del fatto ascritto, in relazione al quale, sempre dal provvedimento impugnato, risulta emessa condanna in primo grado alla pena di mesi otto di reclusione ed eruo 1.400 di multa.
Alla luce della precedente ricostruzione dell’iter procedimentale e dello stato del processo a carico del ricorrente, il primo motivo deve ritenersi manifestamente infondato dovendosi ribadire che la sopravvenienza di una sentenza di condanna per gli stessi fatti per i quali è stata applicata una misura cautelare personale preclude al giudice dell’appello incidentale “de libertate” la rivalutazione della gravità indiziaria, in assenza di una diversa contestazione del
fatto addebitato e di nuovi elementi di fatto, non risultanti nel caso di specie (Sez. 2, n. 5988 del 23/01/2014, COGNOME, Rv. 258209).
Anche il secondo motivo non supera il vaglio di ammissibilità in quanto generico ed espressivo di mero dissenso rispetto alla decisione impugnata che, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, ha escluso la cessazione delle esigenze cautelari in assenza di un fatto nuovo idoneo a rivelarne la cessazione o l’affievolimento e in considerazione del breve lasso di tempo decorso dall’applicazione della misura, del precedente specifico e, soprattutto, della mancanza di documentazione a supporto delle dedotte esigenze di salute.
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare in favore della Cassa delle ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, il 12 novembre 2024.