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Verbale ispettivo: valore prova dati informatici

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7550/2024, ha rigettato il ricorso di una società contro un accertamento fiscale per omesso versamento di ritenute. L’accertamento si basava su un verbale ispettivo dell’ente previdenziale, redatto sulla base di dati digitali estratti da sistemi informatici di terzi. La Corte ha stabilito che, sebbene i dati digitali in sé siano soggetti alla libera valutazione del giudice, il verbale ispettivo fa piena prova, fino a querela di falso, del fatto che tali dati siano stati effettivamente estratti da quel sistema. La sentenza chiarisce quindi il differente valore probatorio tra il dato informatico e l’atto pubblico che ne attesta l’estrazione.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Il valore probatorio del verbale ispettivo nell’era digitale

L’era digitale ha trasformato le modalità di accertamento fiscale, sollevando nuove questioni sul valore delle prove raccolte. Un verbale ispettivo basato su dati estratti da sistemi informatici ha piena validità? A questa domanda cruciale ha risposto la Corte di Cassazione con la recente ordinanza n. 7550 del 21 marzo 2024, tracciando una linea netta tra la fede privilegiata del documento pubblico e la libera valutazione dei dati in esso contenuti.

I Fatti di Causa

Una società si vedeva notificare due avvisi di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate. L’amministrazione finanziaria contestava l’omesso versamento di ritenute su maggiori compensi che si presumeva fossero stati corrisposti ai dipendenti per gli anni 2004 e 2005. L’accertamento scaturiva da un Processo Verbale di Constatazione (P.V.C.) della Guardia di Finanza, a sua volta fondato su un verbale di ispezione dell’ente previdenziale. La particolarità del caso risiedeva nel fatto che i dati alla base di tutto erano stati estratti e rielaborati dagli ispettori partendo da file digitali provenienti da una grande azienda fornitrice di servizi.

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva inizialmente il ricorso della società, ma la Commissione Tributaria Regionale, in appello, ribaltava la decisione, confermando la legittimità degli accertamenti. La società decideva quindi di ricorrere in Cassazione, basando la sua difesa su tre motivi principali.

Analisi del ricorso e della decisione della Corte

Il contribuente lamentava in primo luogo la nullità della sentenza d’appello per un errore materiale nell’intestazione, che riportava dati di un’altra causa. In secondo luogo, contestava la legittimità della rappresentanza in giudizio dell’Agenzia delle Entrate, sostenendo che l’atto d’appello non fosse stato sottoscritto da un soggetto con potere di firma e senza che fosse prodotta la relativa delega. Infine, e questo è il punto centrale, la società deduceva la nullità del verbale ispettivo e degli atti conseguenti, poiché i dati digitali erano stati estratti e rielaborati in violazione delle norme del Codice dell’Amministrazione Digitale (D.Lgs. 82/2005), che tutelano l’integrità e la provenienza dei documenti informatici.

La Corte Suprema ha rigettato tutti i motivi di ricorso.

Le motivazioni della Cassazione sul verbale ispettivo e i dati digitali

La Corte ha chiarito diversi principi fondamentali. Riguardo al primo motivo, ha stabilito che l’errata indicazione delle parti nell’intestazione della sentenza costituisce un mero errore materiale emendabile, quando, come nel caso di specie, dal corpo della decisione è possibile individuare senza incertezze le parti e l’oggetto del contendere.

Sul secondo motivo, ha ribadito il suo orientamento consolidato secondo cui la sottoscrizione dell’appello da parte del preposto all’ufficio competente è valida, senza necessità di produrre una delega specifica, a meno che la controparte non provi l’usurpazione del potere.

Il punto più significativo riguarda il terzo motivo. La Cassazione ha spiegato che le norme del Codice dell’Amministrazione Digitale, invocate dalla società, si applicano alla formazione e validità di scritture private e atti pubblici informatici, ma non sono pertinenti al caso in esame. Qui, i dati digitali non sono la prova in sé, ma l’oggetto dell’accertamento svolto dai pubblici ufficiali. La prova è costituita dal verbale ispettivo cartaceo, un atto pubblico che, in quanto tale, fa piena prova fino a querela di falso. Tuttavia, la fede privilegiata non copre il contenuto dei dati, ma solo le operazioni compiute dai verbalizzanti: attesta cioè che quegli specifici dati sono stati estratti da quel determinato sistema informatico e sono quelli riportati nel verbale. I dati in sé, invece, sono oggetto di libera valutazione da parte del giudice del merito, che può e deve verificarne l’attendibilità e la rilevanza probatoria, anche tramite elementi di riscontro esterni.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: «I dati che i pubblici ufficiali, in sede di ispezione o verifica, estraggono e rielaborano da un sistema informatico non sono destinati di per sé soli a prova privilegiata, facendo fede fino a querela di falso non il documento informatico, bensì il verbale redatto dai pubblici ufficiali nella parte in cui attesta che quei dati sono stati estratti da quel sistema e sono quelli ivi indicati, mentre i dati in sé sono oggetto di libera valutazione da parte del giudice del merito». Questa ordinanza offre un chiarimento essenziale per tutti i contenziosi in cui le prove digitali sono al centro dell’accertamento. Distingue nettamente tra il contenitore (il verbale, che è un atto pubblico) e il contenuto (i dati, liberamente valutabili), garantendo sia la certezza dell’attività del pubblico ufficiale sia il diritto del contribuente a contestare nel merito l’attendibilità dei dati posti a fondamento della pretesa fiscale.

Un errore nell’intestazione di una sentenza la rende sempre nulla?
No, non necessariamente. Se l’errore è puramente materiale (ad esempio, l’indicazione di parti o dati di un’altra causa) ma dal contesto generale della sentenza e dagli atti processuali richiamati è possibile individuare senza incertezza le parti corrette e l’oggetto della decisione, l’errore non causa la nullità e può essere corretto.

Un verbale ispettivo basato su dati digitali estratti da un sistema informatico ha valore di prova?
Sì, ma con una distinzione cruciale. Il verbale, in quanto atto pubblico, ha valore di prova legale fino a querela di falso per quanto riguarda i fatti attestati dai pubblici ufficiali, come l’aver estratto determinati dati da un certo sistema. I dati digitali in sé, invece, non godono di fede privilegiata e sono soggetti alla libera valutazione del giudice, che ne deve accertare l’attendibilità e la rilevanza.

È sempre necessario produrre in giudizio la delega di firma per l’atto di appello dell’Agenzia delle Entrate?
No. Secondo la giurisprudenza costante, la sottoscrizione dell’appello da parte del preposto al reparto competente dell’ufficio finanziario è valida anche se non viene esibita una specifica delega. Spetta alla controparte eccepire e provare l’eventuale non appartenenza del firmatario all’ufficio o l’usurpazione del potere di impugnare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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