Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7550 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7550 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1131/2016 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME, in proprio, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 3171/2015 depositata il 04/06/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con gli avvisi di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO e NUMERO_DOCUMENTO, l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, a seguito di P.V.C. redatto dalla Guardia di Finanza fondato su verbale di ispezione dell’RAGIONE_SOCIALE, contestava alla società in epigrafe l’omesso versamento di ritenute su maggiori compensi corrisposti ai propri dipendenti per gli anni 2004 e 2005.
Con separati ricorsi l’RAGIONE_SOCIALE impugnava i predetti avvisi di accertamento, eccependo l’insussistenza dei presupposti di fatto legittimanti le contestazioni, l’errata interpretazione della normativa in materia di indennità di trasferta, nonché l’intervenuta prescrizione del credito erariale.
La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con sentenze n. 427/53/13 e 426/53/13, accoglieva i ricorsi della società contribuente, annullando gli avvisi di accertamento impugnati.
L’Amministrazione impugnava, con separati appelli, le sentenze e la C.T.R. del Lazio, con sentenza n. 3171/29/15, previa riunione, accoglieva gli appelli dell’Ufficio e dichiarava la piena legittimità degli atti originariamente impugnati.
Avverso la predetta sentenza ricorre con tre motivi la società contribuente e resiste l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
In prossimità dell’adunanza la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380.1 bis cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente rilevata la carenza di legittimazione ad impugnare di NOME COGNOME, in proprio, che non risulta essere stato parte nei gradi di merito, con conseguente dichiarazione di inammissibilità del ricorso proposto.
Con il primo motivo di ricorso della società contribuente si deduce la «Nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., per violazione dell’art. 36 del D.lgs. 546/92 e dell’art. 136 cpc nonché per impossibilità dell’atto di raggiungere il proprio scopo», rilevando che la sentenza impugnata indica nelle prime due pagine dati completi della procedura, RAGIONE_SOCIALE parti, dei legali costituiti, RAGIONE_SOCIALE sentenze impugnate, degli atti impugnati in primo grado, tutti riferiti a una causa diversa da quella trattata nel corpo della
sentenza stessa e in alcun modo riferibili al giudizio per cui è causa.
2.1. Afferma la società che risulterebbe quindi violato l’art. 36 del D.Lgs. n. 546/92, conforme all’art. 132 c.p.c., dove viene prescritto che la sentenza debba contenere l’indicazione RAGIONE_SOCIALE parti e i loro difensori e, per come è stata formata, non sarebbe idonea a raggiungere alcuno scopo, non lasciando intendere quale controversia – e tra quali parti e con quali difensori – abbia definito.
2.2. Il motivo, da ritenersi proposto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., pur in assenza di puntuale indicazione, è infondato.
2.3. Questa Corte ha affermato che «l’omessa o inesatta indicazione del nome di una RAGIONE_SOCIALE parti nell’intestazione della sentenza ne comporta la nullità, se riveli l’irregolarità del contraddittorio o generi incertezza circa i soggetti ai quali si riferisce la decisione’ e che invece costituisce ‘mero errore materiale, se dal contesto della decisione e dagli atti processuali e dai provvedimenti da essa richiamati o, comunque, compiuti o intervenuti nel corso del processo sia inequivocamente individuabile la parte pretermessa o inesattamente indicata e sia, pertanto, possibile stabilire che la pronuncia è stata emessa anche nei suoi confronti» (Cass. n. 16195 del 2019; Cass. n. 9077 del 2001).
2.4. E’ stato ancora precisato che «L’omessa o inesatta indicazione del nome di una RAGIONE_SOCIALE parti nell’intestazione della sentenza va considerata un mero errore materiale, emendabile con la procedura di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., quando dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza l’esatta identità di tutte le parti e comporta, viceversa, la nullità della sentenza qualora da essa si deduca che non si è regolarmente costituito il contraddittorio, ai sensi dell’art. 101 c.p.c., e quando sussiste una situazione di incertezza, non eliminabile a mezzo della lettura dell’intero provvedimento, in ordine ai soggetti cui la decisione si
riferisce (cfr. ex multis Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4796 del 06/03/2006; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22275 del 25/09/2017; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19437 del 18/07/2019).
2.5. Ancora di recente è stato ribadito che «L’omessa indicazione del nome di una RAGIONE_SOCIALE parti, nell’intestazione della sentenza, ne comporta la nullità qualora sussista una situazione di incertezza assoluta, non eliminabile a mezzo della lettura dell’intero provvedimento, in ordine ai soggetti cui la decisione si riferisce» (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 14106 del 23/05/2023).
2.6. Va infine osservato che la fattispecie in esame è differente da quella, diametralmente opposta, recentemente esaminata da Cass. SU n. 11032/2023, nel quale corretta era l’intestazione di un’ordinanza pronunciata da questa Corte, mentre per errore era stato associato ad essa il testo di una decisione relativa ad altro ricorso, e dunque era mancata una pronuncia effettivamente riferibile al ricorso da esaminare.
2.7. Nel caso in esame l’errore materiale risulta evidente in base a quanto risultante dal testo della sentenza, che riporta correttamente l’indicazione dei ricorsi riuniti e decisi, RAGIONE_SOCIALE sentenze di primo grado impugnate e RAGIONE_SOCIALE parti del giudizio di appello, sì che l’errore resta confinato alla epigrafe della sentenza e la lettura del provvedimento consente di eliminare ogni incertezza al riguardo, come d’altronde comprova la tempestiva e puntuale impugnazione proposta avanti a questa Corte.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la «Violazione o falsa applicazione dell’art. 75 c.p.c. e dell’art. 11 D.Lgs. 546/92 in materia di rappresentanza in giudizio».
3.1. Rileva la ricorrente che nell’epigrafe dell’atto di appello non è individuato l’organo dotato della capacità di stare in giudizio, né la persona fisica che riveste la rappresentanza organica dell’ufficio e che pertanto in alcun modo era possibile risalire
all’organo che avrebbe espresso validamente la volontà d’impugnare la sentenza e di costituirsi nel giudizio di appello.
Osserva che l’atto di appello risulta sottoscritto dal Capo Team Legale NOME COGNOME, su delega del Direttore Provinciale NOME COGNOME, ma che tale delega è stata solo evocata e non prodotta in giudizio.
3.2. A parte il difetto di autosufficienza, in relazione ai tempi e modi mediante i quali la ricorrente avrebbe sollevato la questione in sede di merito, non specificamente indicati in ricorso, il motivo va rigettato alla stregua della costante giurisprudenza di questa Corte (così, fra le altre, n. 14947/2023; n. 17369/2020; Cass. n. 2138/2019; Cass. n. 27570/2018; Cass. n. 15470/2016; Cass. n. 10933/2015; Cass. n. 6691/2014), secondo cui «in tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 10, e art. 11, comma 2, riconoscono la qualità di parte processuale e conferiscono la capacità di stare in giudizio all’ufficio locale dell’agenzia RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nei cui confronti è proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal direttore o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi con ciò stesso delegata in via generale, sicché è validamente apposta la sottoscrizione dell’appello dell’ufficio finanziario da parte del preposto al reparto competente, anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza».
3.3. Sulla questione, quindi, correttamente il giudice del gravame ha ritenuto priva di rilevanza la questione prospettata dalla ricorrente, non risultando dedotta dalla contribuente alcuna prova al riguardo.
3.4. La questione dell’autorizzazione a proporre appello è parimenti infondata, tenuto conto che, a seguito della soppressione
di tutti gli uffici ed organi ministeriali per effetto della disciplina di cui al D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 57, che ha istituito le agenzie fiscali, non è più suscettibile di applicazione il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2, (poi abrogato, per effetto del D.L. n. 40 del 2010, art. 3, comma 1, lett. c), convertito nella L. n. 73 del 2010) non potendo farsi discendere da tale norma condizionamenti al diritto RAGIONE_SOCIALE agenzie di appellare le sentenze ad esse sfavorevoli RAGIONE_SOCIALE commissioni tributarie provinciali (cfr. Cass. SU n. 604 del 2005).
Con il terzo strumento di impugnazione si denuncia la «Violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., dell’art. 2712 c.c., nonché del D.Lgs. n. 82/2005 e successive modifiche (codice della amministrazione digitale) e in particolare degli articoli 20, 21, 22, 23 e 71 e infine dell’art. 2697 c.c. per la conseguente inesistenza, nullità ovvero annullabilità o inefficacia del verbale ispettivo RAGIONE_SOCIALE n. 3570/2007 nonché inesistenza degli atti derivati, in particolare il verbale della G. di F. del 17.10.2007, l’avviso di accertamento impugnato ed il relativo atto di contestazione, parimenti impugnato».
4.1. Ha, in proposito, lamentato la ricorrente che gli ispettori abbiano estrapolato e rielaborato dati in file digitali autonomi rispetto a quelli risultanti dalle rilevazioni di RAGIONE_SOCIALE, operazione che implica la creazione di un documento digitale autonomo, dal quale è stato attinto per la formazione del verbale ispettivo, senza riportare alcuna traccia della fonte originaria.
Tale operazione, osserva, sarebbe avvenuta in spregio RAGIONE_SOCIALE norme imperative poste dal D.lgs. n. 82/2005, in particolare degli artt. 20, 21, 22, 23 e 71 e successive modifiche a tutela dell’integrità, della provenienza, dell’attribuzione di una data certa e, infine, della non modificabilità RAGIONE_SOCIALE informazioni e dei documenti, anche cartacei, con le stesse formati, con conseguente inesistenza, nel caso di specie, della documentazione prodotta
dall’RAGIONE_SOCIALE, ovvero della sua radicale nullità ovvero annullabilità e comunque con assoluta carenza di efficacia probatoria.
4.2. Il motivo, da ritenersi proposto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., pur in assenza di puntuale indicazione, è infondato.
Non coglie nel segno il richiamo alle norme del Codice dell’Amministrazione digitale invocate dalla contribuente, che disciplinano i requisiti di validità RAGIONE_SOCIALE scritture private (art. 20 cit.), degli atti pubblici (art. 21 cit.), e RAGIONE_SOCIALE copie informatiche di documenti analogici (art. 22 cit.) e analogiche di documenti informatici (art. 23 cit.)
4.3. Nel caso di specie, come già chiarito dai giudici del merito, i dati estratti dal sistema di controllo automatico nell’ambito della ispezione sono confluiti in un verbale cartaceo e sottoscritto dagli operatori che, in quanto redatto da pubblici ufficiali, fa fede fino a querela di falso dei fatti da essi accertati.
4.4. I dati, estratti e rielaborati da un sistema informatico, non sono destinati di per sé soli a prova privilegiata, facendo però fede fino a querela di falso non il documento informatico, ma il verbale redatto dai pubblici ufficiali, nella parte in cui attesta che quei dati sono stati estratti da quel sistema e sono quelli ivi indicati, e non assume pertanto alcun rilievo il disconoscimento operato ai sensi dell’art. 2712 cod. civ., e qui richiamato, peraltro inammissibilmente effettuato in via cumulativa nei confronti di tutta la documentazione formata e depositata dall’RAGIONE_SOCIALE (arg. da Sez. L -, Sentenza n. 5523 del 08/03/2018; Sez. 1, Ordinanza n. 19155 del 2019, in motivazione, specie sul disconoscimento; Sez. 2 -, Ordinanza n. 5141 del 21/02/2019).
4.5. I dati in sé sono oggetto di libera valutazione da parte del giudice del merito, valutazione che la CTR ha compiutamente effettuato, anche con elementi di riscontro esterni, accertando la loro attendibilità e la loro rilevanza istruttoria concreta.
4.6. Nel resto la contestazione è inammissibile perché inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità, dovendosi rilevare che, paradossalmente, la ricorrente pretenderebbe di negare l’attendibilità dei dati dell’accesso sulla base di una assunta prassi illecita, per cui i ‘badge’ elettronici sarebbero di regola utilizzati da soggetti diversi dai titolari.
4.7. Deve pertanto enunciarsi il seguente principio di diritto: «I dati che i pubblici ufficiali, in sede di ispezione o verifica, estraggono e rielaborano da un sistema informatico non sono destinati di per sé soli a prova privilegiata, facendo fede fino a querela di falso non il documento informatico, bensì il verbale redatto dai pubblici ufficiali nella parte in cui attesta che quei dati sono stati estratti da quel sistema e sono quelli ivi indicati, mentre i dati in sé sono oggetto di libera valutazione da parte del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità se congruamente e ragionevolmente motivata, non risultando altresì pertinente il richiamo alle norme del d.lgs. n. 82/2005 (codice dell’Amministrazione digitale) che disciplinano i requisiti RAGIONE_SOCIALE scritture private e degli atti pubblici formati con modalità informatiche».
In conclusione, il ricorso proposto da NOME COGNOME in proprio deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorso della società va rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido, al rimborso, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da COGNOME NOME, in proprio, e rigetta il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE.
Condanna in solido i ricorrenti RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME, in proprio, al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 23/02/2024.