Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2035 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2035 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/01/2024
REVOCAZIONE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24894/2022 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO COGNOME,
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende,
-controricorrente –
avverso l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 31918/2021, depositata il 05/11/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 novembre 2023 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
NOME COGNOME, con ricorso ex art. 391bis cod. proc. civ., chiede, nei confronti dell ‘RAGIONE_SOCIALE, che resiste con controricorso, la revocazione dell’ordinanza in epigrafe. Con detta ultima la Corte ha accolto il ricorso proposto dall’Ufficio ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., ed ha cassato con rinvio la sentenza n. 1583 del 2014, resa in grado d’appello dalla C.t.r. del la Puglia, depositata l’8 luglio 2014.
In via preliminare, il ricorrente precisa che il ricorso in esame «supera il ricorso precedentemente notificato» e che il medesimo è da considerarsi tempestivo non essendovi stata alcuna comunicazione dell’ordinanza impugnata della cui esistenza aveva appreso solo in data 23 settembre 2022 a seguito di notifica della cartella di pagamento.
In data 25 ottobre 2023 il contribuente ha depositato istanza con la quale ha dato atto di aver definito la pendenza tributaria oggetto della lite come da domanda di definizione allegata, unitamente ai versamenti effettuati, ed ha chiesto dichiararsi l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere.
Considerato che:
Preliminarmente va disattesa l’istanza di estinzione avanzata dal ricorrente.
Le domande di definizione della lite versate in atti dal contribuente attengono entrambe a giudizi pendenti presso la Commissione tributaria di primo grado di Taranto e a cartelle di pagamento per le quali non vi è nemmeno prova che siano state emesse in ragione
dell’avviso di accertamento oggetto del giudizio nel quale è stata emessa la sentenza di cui si chiede in questa sede la revocazione.
Con un primo motivo il ricorrente assume che l’ordinanza impugnata «è incorsa in un vizio del procedimento, scaturito da un errore di fatto» ai sensi dell’art. 395 n. 4 cod. proc. civ., in quanto emessa nonostante la morte del procuratore dell’intimato (AVV_NOTAIO), risalente al 25 gennaio 2018. Deduce che l’evento imponeva l’interruzione del giudizio o, quanto meno la comunicazione dell’avviso di udienza direttamente alla parte. Aggiunge che l’attività processuale successiva al decesso del procuratore si è svolta senza che la parte fosse assistita dal suo difensore, con conseguente nullità dell’ordinanza oggetto della revocazione in quanto assunta in violazione dell’art. 301, primo comma, cod. proc. civ .
Con un secondo motivo il ricorrente si duole del mancato inserimento nel fascicolo di cui al ricorso originario del plico raccomandato inviato dal difensore NOME COGNOME contenente copia del ricorso per cassazione notificato dall’RAGIONE_SOCIALE con mandato in calce, ai fini della costituzione in giudizio e della partecipazione alla discussione orale.
Il ricorso è inammissibile per plurimi profili, come già evidenziato in precedente specifico emesso tra le stesse parti (Cass. 19/07/2023, n. 21393).
4 .1. L’ordinanza impugnata è stata pubblicata in data 05 novembre 2021 mentre il ricorso per revocazione è stato notificato all’RAGIONE_SOCIALE in data 27 ottobre 2022.
4 .2. Ai sensi dell’art. 391 -bis , primo comma, cod. proc. civ. la revocazione RAGIONE_SOCIALE sentenze della Corte di Cassazione può essere richiesta entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla notificazione, oppure nel termine di sei mesi dalla pubblicazione. Il termine, originariamente di un anno, così ridotto, in sede di
conversione del d.l. n. 168 del 2016, dalla legge n. 197 del 2016, si applica ai provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore della stessa, ovvero dal 30 ottobre 2016 e, dunque, anche all’ordinanza impugnata in questa sede. Il termine così detto lungo decorre dalla data di pubblicazione del provvedimento, e cioè dal giorno del suo deposito ufficiale presso la cancelleria del giudice che l’ha pronunciato, attestata dal cancelliere, che costituisce l’atto mediante il quale la decisione viene ad esistenza giuridica (cfr. Cass. 13/07/2018, n. 18586). Il ricorso, pertanto, è tardivo.
4 .3. L’assunto del ricorrente, secondo cui, in mancanza di comunicazione del provvedimento, il termine decorrerebbe dalla conoscenza avvenuta a seguito della notifica di cartella di pagamento emessa a seguito della sentenza, è infondato. La Corte, infatti, con riferimento all’analoga disposizione di cui all’ art. 327 cod. proc. civ. ha precisato che la previsione del termine c.d. lungo (all’epoca annuale) opera un non irragionevole bilanciamento tra l’indispensabile esigenza di tutela della certezza RAGIONE_SOCIALE situazioni giuridiche e il diritto di difesa, poiché la sua ampiezza consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda e la decorrenza, fissata avuto riguardo alla pubblicazione, costituisce corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte, sicché lo spostamento del dies a quo dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo, ma restringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione del termine lungo di impugnazione alle parti costituite in giudizio, alle quali soltanto la sentenza è comunicata ex officio (cfr. Cass. 16/12/2014, n. 26402).
Nella stessa ottica la Corte ha ulteriormente precisato, sempre con riferimento all’art. 327 cod. proc civ., che il termine decorre dalla
pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, a prescindere dal rispetto, da parte della cancelleria medesima, degli obblighi di comunicazione alle parti, e che, inoltre, rientra nei compiti del difensore attivarsi per verificare se siano state compiute attività processuali a sua insaputa (Cass. 08/03/2017, n. 5946).
5. Sotto diverso profilo, il ricorso pone con il primo motivo una questione processuale di diritto, non espressamente affrontata dall’ordinanza impugnata, che il ricorrente ritiene sia stata indebitamente non colta e non esaminata dall’ordinanza revocanda, e consistente nel mancato rilievo di un evento, ovvero la morte del difensore, che avrebbe imposto l’interruzione del giudizio o, quanto meno, la comunicazione dell’avviso di udienza direttamente alla parte.
Con il secondo motivo, ugualmente, il ricorrente se pur sembra dolersi del mancato inserimento nel fascicolo del mandato spedito a mezzo posta, censura, in realtà, le conseguenze che la Corte avrebbe dovuto trarne. Lo stesso ricorrente, infatti, evidenzia che l’ordinanza impugnata conteneva espressa menzione del deposito del mandato, così evidentemente, restando escluso l’errore di fatto.
Per giurisprudenza costante di questa Corte, tuttavia, non costituisce errore di fatto revocatorio l’eventuale omessa considerazione da parte della Corte di una questione processuale, quand’anche rilevabile d’ufficio. Si è precisato, infatti, che l’omesso esame di una circostanza processuale non corrisponde alla falsa percezione, sostrato dell’errore revocatorio, perché, mentre quest’ultima comporta l’erronea supposizione, la prima resta un fatto che non si traduce in alcuna attività, cui la legge collega unicamente l’effetto dell’eventuale vizio motivazionale, o della violazione processuale, non ulteriormente rilevabili in relazione alle sentenze emesse dalla Cassazione (Tra le più recenti, Cass. 04/05/2023, n. 11691, Cass. 26/05/2021, n. 14610).
Il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a corrispondere all’RAGIONE_SOCIALE eRAGIONE_SOCIALE le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.600,00 a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 29 novembre 2023.