Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25418 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25418 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LA COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6522/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata ex lege in INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. BOLOGNA n. 1367/2019 depositata il 09/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha impugnato gli avvisi di accertamento emessi dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per IRES, IRAP e IVA in relazione agli anni 2011 2012 recanti recupero di costi e di
IVA indetraibile sul presupposto della qualificazione di due contratti di appalto come somministrazione illecita di manodopera.
La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Modena ha rigettato il ricorso e l’appello della contribuente è stato accolto parzialmente dalla Commissione Tributaria Regionale (CTR) dell’Emilia Romagna con la sentenza in epigrafe che ha dichiarato l’illegittimità degli avvisi di accertamento limitatamente ai costi.
In particolare la CTR ha confermato gli avvisi impugnati con riferimento alla qualificazione dei contratti di subappalto tra la RAGIONE_SOCIALE e le cooperative RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, come somministrazione di lavoro, sulla scorta degli elementi probatori raccolti dall’Ufficio: la CTR ha ritenuto che le cooperative fornivano solo manodopera, che i loro dipendenti provvedevano alla realizzazione dell’intero processo produttivo della RAGIONE_SOCIALE, che questa non aveva alle dirette dipendenze operai ma solo tre dipendenti amministrativi, che l’intera attività produttiva della RAGIONE_SOCIALE era svolta attraverso la manodopera fornito dalle appaltatrici, che COGNOME NOME, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE e dipendente della RAGIONE_SOCIALE, organizzava la produzione ed esercitava poteri direttivi decisionali nei confronti di operai prestati dalla cooperativa, che i mezzi produttivi erano in gran parte forniti da RAGIONE_SOCIALE mentre i lavoratori disponevano di strumenti di scarsissimo valore.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per la cassazione la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione fondato su un motivo.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
RITENUTO CHE
Con l’unico motivo si deduce, in relazione all’articolo 360 comma 1 n. 3 c.c., violazione o falsa applicazione norme di diritto e, in particolare, dell’art. 29 del d.lgs. n. 276/2003, contestandosi la
decisione della CTR laddove questa ha dato rilievo alla circostanza che i dipendenti dell’appaltatore utilizzassero per i lavori macchinari e attrezzature messe a disposizione dal committente e ha valorizzato il ruolo del signor COGNOME NOME, il quale aveva affermato solo di provvedere alla fatturazione degli importi dovuti alla cooperativa RAGIONE_SOCIALE, mentre in realtà unico referente per questa società era tal NOME COGNOME. La ricorrente ha evidenziato, altresì, che non vi era agli atti alcuna dichiarazione dei lavoratori della cooperativa, ha negato la rilevanza del numero di dipendenti della società, sottolineando che il rischio d’impresa RAGIONE_SOCIALE appaltatrici dovesse essere individuato secondo il minore o maggiore flusso di lavoro relativo al servizio appaltati che avrebbe di conseguenza comportato minori o maggiori ricavi e quindi profitto per le cooperative appaltatrici.
Il motivo è nel suo complesso inammissibile in quanto sotto il paradigma della violazione di legge si tenta in realtà di rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dal giudice di merito che è incensurabile nel giudizio di legittimità se correttamente motivato. Va rammentato, in proposito, che secondo questa Corte è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., n. 29404 del 2017; Cass., n. 19547 del 2017; Cass., sez. un. n. 34476 del2 019; Cass., n. 5987 del 2021); inoltre, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare
e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., n. 30042 del 2021).
La ricorrente, lungi dall’individuale precisa violazione di legge in cui sarebbe incorsa la CTR, da un lato concentra la critica su singoli elementi nel tentativo di svalutarne il rilievo indiziario, trascurando di considerare che la CTR in realtà ha dato una valutazione complessiva di un compendio istruttorio assai più ampio; dall’altro, deduce elementi di fatto in contrasto con gli accertamenti contenuti sentenza -In particolare, per quanto riguarda COGNOME NOME, amministratore della RAGIONE_SOCIALE, che secondo la ricorrente si limitava ad effettuare le fatturazioni, la RAGIONE_SOCIALE ha accertato un ruolo di gestione e di organizzazione anche nei confronti della manodopera fornita alla ricorrente, attraverso le dichiarazioni dei lavoratori che l’avevano indicato come colui da cui ricevevano ordini e disposizioni (pag. 14 PVC, secondo quanto indicato in sentenza).
In ogni caso, la censura è infondata perché la RAGIONE_SOCIALE ha fatto buon governo dei principi in materia.
4.1. L a giurisprudenza della Corte di cassazione (Cass. n. 18808 del 2017; Cass. n. 28953 del 2018), ha da tempo chiarito che, pur dopo la riforma di cui al d.lgs. n. 276 del 2003, il contratto di somministrazione di manodopera irregolare, schermato da quello di appalto, incorre in nullità, che conforma anche la sorte del contratto tra lavoratore e somministratore. Ne deriva che la fatturazione RAGIONE_SOCIALE prestazioni rese da parte del somministratore non legittima la detrazione dell’IVA ad esse relativa e
l’accertamento rileva anche ai fini della deduzione di componenti negativi ex art. 5, comma 3, del d. lgs. 446/1997 (Cass. n. 7440 del 2022; Cass. n. 34876 del 2021; Cass. n. 12807 del 2020). Affinché possa configurarsi un genuino appalto di opere o servizi ai sensi dell’art. 29, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003, è necessario verificare, specie nell’ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera (c.d. labour intensive ), che all’appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d’impresa, dovendosi invece ravvisare un’interposizione illecita di manodopera nel caso in cui il potere direttivo o organizzativo sia interamente affidato al formale committente, restando irrilevante che manchi, in capo a quest’ultimo, l ‘intuitus personae nella scelta del personale, atteso che, nelle ipotesi di somministrazione illegale, è frequente che l’elemento fiduciario caratterizzi l’intermediario, il quale seleziona i lavoratori per poi metterli a disposizione del reale datore di lavoro (così Cass. n. 12551 del 2020; Cass. n. 15557 del 2019; v. anche Cass. n. 12807 del 2020). Ciò che conta (Cass. n. 12551 del 2020), è il reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, con impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d’impresa.
4.2. In riferimento agli appalti “endoaziendali”, caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorché strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, questa Corte ha altresì osservato che il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, opera tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore -datore di lavoro i soli compiti di gestione
amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione RAGIONE_SOCIALE ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo (Cass. n. 6343 del 2013). Ha, inoltre, affermato che, una volta accertata l’estraneità dell’appaltatore alla organizzazione e direzione dei prestatori di lavoro nell’esecuzione dell’appalto, è del tutto ultronea qualsiasi questione riguardante il rischio economico e l’autonoma organizzazione del medesimo, né rileva che l’impresa appaltatrice sia effettivamente operante sul mercato, atteso che, se la prestazione risulta diretta ed organizzata dal committente, per ciò solo si deve escludere l’organizzazione del servizio ad opera dell’appaltante (in questi termini Cass. n. 11720 del 2009; Cass. n. 17444 del 2009; Cass. n. 9624 del 2008).
4.3. Tali accertamenti vanno svolti in concreto dal giudice, alla stregua dell’oggetto e del contenuto intrinseco del contratto (cfr. Cass. n. 18455 del 2023), e in tal senso si è mossa la CTR che, con apprezzamento incensurabile nel giudizio di legittimità, ha accertato , tra l’altro, proprio che il COGNOME, legale rappresentante della committente, esercitava il potere direttivo e organizzativo anche nei confronti dei lavoratori RAGIONE_SOCIALE cooperative e che la stessa committente disponeva di gran parte dei mezzi utilizzati cosicché, in sostanza, le appaltatrici si limitavano a fornire la manodopera.
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito;
a i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 30/05/2024.