Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33726 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33726 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16797/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO NOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE -) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE
-intimati-
avverso il DECRETO del TRIBUNALE di FIRENZE n. 7742/2016 depositato il 17/06/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con decreto n. 7742/2016, depositato il 17.6.2016, il Tribunale di Firenze ha rigettato l’opposizione ex art. 98 legge fall. proposta dalla RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto dell’11.2.2016 con cui il G.D. del fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione aveva rigettato la sua domanda di insinuazione per crediti tributari, e, segnatamente, per € 44.065,87 a titolo di imposte, in privilegio ex art. 2752 ult. c omma c.c. ed € 41.186,00 a titolo di sanzioni, fondata su due avvisi di accertamento.
Il giudice di primo grado ha, preliminarmente, osservato che l’attività svolta dall’opponente il cui oggetto sociale è definito in termini di ‘gestione delle attività di liquidazione e accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate … – si inserisce nell’ambito del rapporto di collaborazione, che sebbene connotato dallo svolgimento di funzioni di accertamento, liquidazione e riscossione dei tributi, identifica nel Comune di Pisa l’unico soggetto impositore.
Ne consegue che, non potendosi riconoscere la natura di ente impositore alla RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima non può fondare la domanda di insinuazione al passivo su degli avvisi di accertamento, ma avrebbe dovuto allegare alla propria domanda la prova dell’iscrizione a ruolo dei crediti azionati con la notifica delle cartelle di pagamento.
Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE affidandolo a due motivi.
La curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione non ha svolto difese.
La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dei principi di diritto derivanti dalla sentenza Teckal (18.11.1999, C-107/1998) della Corte di Giustizia; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13 commi 1 e 2 D.L. n. 223/06 come conv. nella L. 248/2006, dell’art. 113 d.lgs n. 267/2000, dell’art. 5 d.lgs n. 50/2016, dell’art. 52 comma 5 lett b) n. 3 d.lgs n. 446/1997, dell’art. 36 comma 2 D.L. n. 258/2007 come conv. nella L. 31/2008, per avere il tribunale erroneamente negato alla RAGIONE_SOCIALE la qualifica di ‘ente impositore’ nonostante la sua natura di società in house a capitale interamente pubblico, che gestisce in affidamento non solo la riscossione ma anche l’accertamento dei tributi e delle altre entrate del Comune di Pisa.
Espone la ricorrente che, in quanto società in house, rappresenta la longa manus del Comune di Pisa, una mera articolazione dell’Ente Locale da cui promana, ‘quale emanazione operativa dell’Ente’. Il rapporto con il Comune di Pisa non è di mera collaborazione, come lo ha erroneamente definito il Tribunale di Firenze, bensì di affidamento diretto, ai sensi dell’art. 52 lett b) n. 3 d.lgs n. 446/1997, non solo dell’attività di riscossione ma di accertamento e liquidazione dei tributi. Evidenzia che, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 26283/2013, è esclusa l’alterità sostanziale della società in house con la P.A. in presenza tre requisiti affermati dalla Corte di Giustizia:
natura esclusivamente pubblica dei soci;
esercizio dell’attività in prevalenza a favore dei soci stessi;
3) sottoposizione ad un controllo corrispondente a quello esercitato dagli enti pubblici su loro uffici.
La ricorrente lamenta che il Tribunale di Firenze ha totalmente omesso di considerare quanto dedotto a proposito della natura di società in house come risultante chiaramente dal ricorso in opposizione allo stato passivo (pagg. 4 e 5) e dai numerosi documenti ad esso allegati (vedi, in particolare, docc 9, 10 e 11), da cui sarebbero emersi il possesso di un capitale interamente pubblico, il trasferimento, dal Comune di Pisa, delle funzioni amministrative di accertamento e liquidazione dei tributi, la sottoposizione a forme di controllo e vigilanza particolarmente incisive da parte dello stesso Comune.
2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 93 commi 3 e 6 L.F., dell’art. 52 comma 5 lett b) n. 3 d.lgs n. 446/1997, dell’art. 36 comma 2 D.L. n. 258/2007 come conv. nella L. 31/2008, dell’art. 7 comma 2 lett gg quater n. 1 D.L. 70/2011 come conv. nella L. 106/2011, dell’art. 17 comma 2 d.lgs n. 46/1999, degli artt. 49 e 87 DPR n. 602/1973; dell’art. 3 RD n. 639/1910, dell’art. 33 d.lgs n. 112/1999, dell’art. 1 comma 161 L. 296/2006, per avere il Tribunale di Firenze ritenuto non provato il credito di RAGIONE_SOCIALE in base agli avvisi di accertamenti ICI allegati alla domanda di insinuazione al passivo.
Espone la ricorrente che, ai fini dell’insinuazione al passivo, non essendo la ricorrente un agente di riscossione – in luogo della procedura del ruolo e della notifica della cartella di pagamento – è applicabile esclusivamente la procedura dell’ingiunzione ex art. R.D. n. 639/1910, strumento che sostituisce il ruolo e la cartella di pagamento in caso di riscossione in proprio da parte di un comune e di affidamento della riscossione ad uno dei soggetti di cui all’art. 52 comma 5° lett b) d.lgs n. 446/1997.
Nel caso di specie, non era neppure necessario emettere ed allegare l’ingiunzione di cui al RD n. 639/2010, non essendo gli
avvisi di accertamento stati contestati ed essendo quindi divenuti definitivi, come tali già idonei a provare il credito insinuato al passivo.
Entrambi i motivi, da esaminare unitariamente per la stretta connessione delle questioni trattate, sono fondati.
Va preliminarmente osservato che per orientamento consolidato di questa Corte (vedi Cass. S.U. n. 5491/2014; vedi recentemente Cass. S.U. n. 22408/2018) una società può definirsi “in house”, con conseguente superamento dell’autonomia della personalità giuridica rispetto all’ente pubblico, quando concorrano contemporaneamente tre requisiti: 1) il capitale sociale sia integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi e lo statuto vieti la cessione delle partecipazioni a privati; 2) la società esplichi statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti, in modo che l’eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale; 3) la gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici, con modalità e intensità di comando non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai sensi del codice civile.
Nel caso di specie, la ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza, ha dedotto e dimostrato di aver sottoposto, nel ricorso ex art. 98 L.F., al Tribunale di Firenze, la questione della sua natura di società in house del Comune di Pisa, come tale costituente una mera articolazione dell’Ente Comunale e non un soggetto giuridico distinto.
Il giudice di primo grado, tuttavia, ha reso una motivazione nella quale ha omesso di affrontare la predetta questione, costituente la premessa dell’accertamento allo stesso demandato -che era decisivo ai fini della soluzione della controversia -affermando, peraltro, il principio secondo cui l’ente di riscossione sarebbe
tenuto, ai fini dell’insinuazione al passivo, alla notifica della cartella di pagamento; principio che non si evince affatto dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 4126/2012, citata dallo stesso primo giudice.
In sostanza, il Tribunale di Firenze, non ha compiuto l’ accertamento di fatto cui era, invece, tenuto alla luce alla prospettazione della SRAGIONE_SOCIALE, e, quindi, non ha affrontato il thema decidendum allo stesso sottoposto.
Va, inoltre, osservato che il giudice di primo grado non ha neppure precisato se il titolo vantato dalla ricorrente sia stato impugnato o contestato.
Il decreto va quindi cassato con rinvio al Tribunale di Firenze, in diversa composizione, per nuovo esame che tenga conto di quanto appena evidenziato e per statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Firenze, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 29.11.2024