Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5002 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5002 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/02/2025
Opp. PDA (Avv. Acc. IRES 2006)
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3861/2024 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Padova, INDIRIZZO EMAIL.
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI II GRADO VENETO n. 796/2023, depositata in data 21 agosto 2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 gennaio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate – direzione provinciale di Venezia notificava, in data 23 dicembre 2011, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE un avviso di accertamento afferente all’anno d’imposta 2006 con il quale, a seguito del non superamento del test di
operatività previsto dall’art. 30 della L. 23 dicembre 1994, n. 724, del DPR 29 settembre 1973, n. 600, una maggiore imposta IRES di € 34.332,00, oltre interessi e
veniva liquidata, ex art. 41 bis sanzioni.
Avverso l’ avviso la società contribuente proponeva ricorso dinanzi la C.t.p. di Venezia; si costituiva anche l’Ufficio, chiedendo la conferma del proprio operato.
La C.t.p. di Venezia, con sentenza n. 101/05/2013, rigettava il ricorso della contribuente.
Contro tale sentenza proponeva appello la società contribuente dinanzi la C.g.t. di II grado del Veneto; si costituiva anche l’Agenzia delle Entrate, chiedendo conferma della sentenza impugnata.
Con sentenza n. 1208/06/2014 la C.t.r adita accoglieva il gravame della contribuente.
Avverso la sentenza della C.t.r . del Veneto, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione; resisteva anche la società contribuente, chiedendone il rigetto.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 20807/2021, accoglieva il ricorso dell’Ufficio rinviando alla C.t.r. del Veneto.
Riassunto dalla società contribuente il giudizio, la C.g.t. di II grado adita, con sentenza n. 796/07/2023, depositata in data 21 agosto 2023, rigettava il gravame della contribuente.
Avverso la sentenza della C.g.t. di II grado del Veneto, la società ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi e l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Sul ricorso, ritenuto inammissibile, veniva effettuata proposta di definizione anticipata ex art. 380 bis. cod. proc. civ.; quest’ultima veniva comunicata alle parti e il contribuente presentava istanza di opposizione alla stessa in data 27 dicembre 2024 chiedendo, a norma dell’art. 380 bis, secondo comma cit., di decidere la causa.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 14 gennaio 2024 per la quale la contribuente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Illegittimità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 30, l. n. 724/1994 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.g.t. di II grado non ha valutato se la RAGIONE_SOCIALE avesse effettivamente e concretamente esercitato l’attività agricola, cosicché, in caso positivo, l’odierna ricorrente non avrebbe potuto giuridicamente qualificarsi come ‘società di comodo’, a prescindere dal mancato superamento del c.d. ‘test di operatività’.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità della sentenza impugnata per omesso esame circa un fatto, decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.g.t. di II grado ha omesso di considerare il ‘fatto’ costituito dall’effettivo svolgimento dell’attività d’impresa nel settore agricolo da parte della RAGIONE_SOCIALE
I motivi di ricorso proposti, da trattarsi congiuntamente stante l’affinità delle censure sollevate, sono inammissibili; con essi, in particolare, parte ricorrente censura la sentenza della C.g.t. di II grado nella parte in cui non ha valutato il fatto che la società in
questione svolgesse attività agricola, ciò che poi avrebbe impedito la qualificazione della stessa come ‘società di comodo’ a prescindere dal mancato superamento del c.d. ‘test di operatività’.
2.1. Con riferimento alla vicenda di cui è causa questa Corte si è già pronunciata (Cass. 21/07/2021, n. 20807) e, dopo avere analiticamente ricostruito l’evoluzione sia normativa che di prassi in materia, ha ritenuto che le società agricole, per l’annualità in contestazione (2006), non rientrassero tra quelle per le quali era automaticamente esclusa l’applicazione della disciplina delle società di comodo (esclusione in vigore solo da epoca successiva).
Sempre nella detta ordinanza, si legge poi che: «Dovendosi, quindi, applicare alla fattispecie in esame l’art. 30 della legge n. 724/1994, nella versione vigente, nell’anno 2006, la società contribuente dovrà dimostrare l’esistenza di oggettive situazioni di carattere straordinario che non le hanno consentito, nell’anno di imposta 2006, il superamento del test di operatività».
2.2. Il Giudice del rinvio, correttamente applicando i principi in materia, come specificati nell’ordinanza della Cassazione di annullamento con rinvio, ha ritenuto che la società contribuente non avesse adeguatamente assolto al proprio onere probatorio. Invero, in particolare, la C.g.t. di II grado ha ritenuto non rilevanti le due circostanze che avrebbero inciso sul volume complessivo dei ricavi, vale a dire le regole di fissazione dei prezzi del settore agricolo e le modalità di determinazione del reddito su base catastale; ha poi ritenuto che la società non avesse dimostrato la sussistenza di alcuna oggettiva situazione di carattere climatico che non potesse ricondursi al normale andamento di qualunque attività agricola, così che anche la percezione di contributi per la coltivazione a fronte di un calo fisiologico della produttività era da considerarsi ‘normale’; peraltro, tale statuizione che non risulta neanche censurata adeguatamente, poiché la ricorrente si è limitata a richiamare una serie di documenti depositati nei gradi di
merito senza riportarne il contenuto, rimanendo in ogni caso precluso un simile esame in sede di legittimità.
Secondo le SS.UU. (sent. n. 27/12/2019, n. 34476) è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito. (Principio affermato dalla S.C. con riferimento ad un motivo di ricorso che, pur prospettando l’omesso esame di risultanze probatorie, in realtà tendeva ad una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti dai quali era originata la condanna disciplinare di un avvocato).
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
4.1. Il contribuente deve essere anche condannato al pagamento di somme -liquidate in dispositivo – in favore della controricorrente, ai sensi del combinato disposto dagli artt. 380 bis, terzo comma, e 96, terzo comma, cod. proc. civ., nonché della cassa delle ammende, ai sensi del combinato disposto degli artt. 380 bis, terzo comma, e 96, quarto comma, cod. proc. civ.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 3.200,00, oltre spese prenotate a debito nonché al pagamento dell’ulteriore somma pari ad € 1.600,00, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.
Condanna, inoltre, il ricorrente al versamento di € 500,00 in favore della cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 14 gennaio 2025.