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Rimborso IVA: no alla decadenza se il credito è nullo

Una società in fallimento si è vista negare un rimborso IVA a causa di una presunta frode. La società ha sostenuto che il potere di contestazione dell’Amministrazione finanziaria fosse decaduto. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, affermando un principio fondamentale: l’Amministrazione può sempre verificare l’effettiva esistenza di un credito IVA al momento della richiesta di rimborso, anche se sono scaduti i termini per l’accertamento della dichiarazione originaria.

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Rimborso IVA: l’Amministrazione può sempre contestare il credito inesistente

L’ordinanza n. 15819/2024 della Corte di Cassazione affronta una questione cruciale per imprese e professionisti: fino a che punto l’Amministrazione finanziaria può contestare un credito IVA chiesto a rimborso? La pronuncia chiarisce che il potere di verifica del Fisco sulla reale esistenza del credito non decade con i termini di accertamento, specialmente quando si tratta di un rimborso IVA. Questo principio ha importanti implicazioni per la gestione della contabilità e dei rapporti con l’erario.

I Fatti di Causa: la richiesta di rimborso e il diniego

Il caso nasce dalla richiesta di rimborso di un credito IVA da parte della curatela di una società fallita. L’Agenzia fiscale rigettava l’istanza, sostenendo che il credito fosse inesistente in quanto derivante da una presunta frode fiscale perpetrata da altre società con il coinvolgimento della società fallita.
La curatela, ritenendo illegittimo il diniego, ha impugnato il provvedimento. Tuttavia, sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale hanno respinto le sue ragioni, confermando la decisione dell’Amministrazione finanziaria. La questione è così giunta all’esame della Corte di Cassazione.

Il Ricorso in Cassazione: la tesi della decadenza del potere di accertamento

Il principale motivo di ricorso della curatela si basava su un argomento procedurale. Si sosteneva che l’Amministrazione finanziaria fosse decaduta dal potere di contestare il credito IVA. In passato, infatti, era già stato eseguito un accertamento sulla dichiarazione IVA da cui emergeva il credito, e in quella sede non era stata mossa alcuna contestazione. Secondo la ricorrente, in assenza di nuovi elementi, il Fisco non poteva più rimettere in discussione quel credito per negare il rimborso.
In sostanza, si affermava che l’inerzia del Fisco nel contestare il credito entro i termini di accertamento avesse consolidato il diritto del contribuente.

La Decisione della Cassazione sul rimborso IVA

La Corte di Cassazione ha dichiarato il motivo infondato, rigettando completamente la tesi della decadenza. I giudici hanno richiamato un fondamentale orientamento delle Sezioni Unite (sent. n. 21766/2021), secondo cui il potere di controllo finalizzato all’accertamento di un’imposta dovuta è distinto e autonomo dal potere di verifica sull’effettiva esistenza di un credito chiesto a rimborso.
La dichiarazione fiscale, in cui è esposto il credito, non costituisce un titolo di credito incontestabile. Essa rappresenta una dichiarazione del contribuente, la cui veridicità può sempre essere controllata dall’Amministrazione quando il contribuente, anziché utilizzare il credito in compensazione, ne chiede il rimborso.

Distinzione tra potere di accertamento e verifica del credito

La Corte ha chiarito che la scadenza dei termini per l’accertamento impedisce al Fisco di pretendere un’imposta maggiore di quella dichiarata. Tuttavia, non impedisce di verificare se il credito che il contribuente chiede di incassare esista davvero. L’onere di provare i fatti costitutivi del credito (ad esempio, l’effettività delle operazioni sottostanti) ricade sempre sul contribuente che ne chiede la restituzione.

Altri motivi di ricorso

La Cassazione ha inoltre dichiarato inammissibili gli altri motivi di ricorso. In particolare, la censura relativa alla presunta errata valutazione della cessazione di attività (condizione per il rimborso in caso di fallimento) è stata considerata irrilevante, poiché la decisione di appello si basava su una pluralità di ragioni autonome e sufficienti a giustificare il diniego. Anche il motivo sulla qualificazione della frode fiscale è stato respinto, in quanto tendeva a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

Le motivazioni

La Corte ha ribadito che l’Amministrazione finanziaria ha il potere-dovere di verificare la sostanza di un credito IVA prima di procedere al rimborso, anche se sono scaduti i termini di accertamento. Consentire il rimborso di un credito IVA inesistente violerebbe il principio di neutralità dell’imposta, che mira a tassare solo il consumo finale e a non gravare sulle imprese. La dichiarazione fiscale non genera un diritto al credito, ma si limita a esporlo; il diritto sorge solo se esistono i presupposti sostanziali. L’inerzia dell’ufficio non può sanare l’inesistenza di un credito e non genera un legittimo affidamento nel contribuente, che resta sempre tenuto a conservare la documentazione a prova del proprio diritto.

Le conclusioni

La decisione consolida un principio di estrema importanza pratica. I contribuenti non possono fare affidamento sulla mera scadenza dei termini di accertamento per considerare ‘sicuro’ un credito IVA. Quando si sceglie di chiedere il rimborso, anche a distanza di anni, bisogna essere pronti a dimostrare con prove concrete l’effettiva esistenza e spettanza del credito. Questa pronuncia sottolinea la centralità della prova documentale e della correttezza sostanziale delle operazioni, ponendo in secondo piano gli aspetti puramente procedurali come la decadenza.

L’Amministrazione finanziaria può contestare un credito IVA chiesto a rimborso se sono scaduti i termini per l’accertamento?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il potere di verificare la reale esistenza di un credito al momento della richiesta di rimborso è autonomo e non decade con i termini previsti per l’accertamento della dichiarazione fiscale.

Il silenzio del Fisco su un credito IVA durante un precedente controllo ne sana l’eventuale inesistenza?
No. La mancata contestazione di un credito in un precedente accertamento non equivale a un riconoscimento implicito del diritto. L’omesso esercizio del potere di controllo non ha effetto accertativo e non solleva il contribuente dall’onere di provare l’esistenza del credito quando ne chiede il rimborso.

Su chi ricade l’onere di provare l’esistenza di un credito IVA richiesto a rimborso?
L’onere della prova ricade sempre sul contribuente. È quest’ultimo che deve dimostrare i fatti costitutivi del proprio diritto al rimborso, fornendo la documentazione necessaria a provare l’effettività delle operazioni che hanno generato il credito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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