Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15819 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15819 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15878/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (P_IVA) che la rappresenta e difende -controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. del Lazio n. 5919/2021 depositata il 24/12/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La curatela del fallimento della RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso avverso il diniego di un rimborso Iva emesso dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Roma, lamentando l’illegittimità del provvedimento, per l’insussistenza della frode fiscale ipotizzata dall’Ufficio e posta a base del diniego stesso. La frode, nella prospettazione erariale, sarebbe stata perpetrata dalle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, con il coinvolgimento della RAGIONE_SOCIALE.
La CTP di Roma ha rigettato il ricorso della curatela.
Non miglior sorte ha assistito il successivo appello di quest’ultima, che è stato del pari respinto.
La curatela articola tre motivi di ricorso per cassazione.
Resiste l’erario con controricorso.
La curatela ha depositato memoria.
In data 7 settembre 2022, nel distinto procedimento n. 27019/2020, l’RAGIONE_SOCIALE ha formulato istanza di trattazione congiunta fra detto ricorso e quello ora in esame, osservando che all’invocata estinzione del predetto dovrebbe conseguire la cessazione della materia del contendere sul ricorso ora in esame.
Nell’istanza in parola si adducono profili di stretta connessione fra l’odierno giudizio e quello or ora evocato: il primo concernerebbe, infatti, un diniego di rimborso già oggetto dell’avviso di accertamento impugnato nel secondo giudizio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la curatela lamenta l’illegittimità per violazione e falsa applicazione dell’art. 57, commi 1 e 4, DPR 633 del 1972, nella formulazione vigente ratione temporis , in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per non aver considerato decaduta l’Amministrazione finanziaria dal potere di contestare il credito d’imposta chiesto a rimborso nonostante l’esito del precedente accertamento eseguito sulla dichiarazione IVA nel quale tale credito era stato esposto e considerata l’assenza di nuovi elementi che avrebbero legittimato l’emissione di un accertamento integrativo.
Il motivo è infondato.
Secondo la tesi di parte ricorrente, essendo stato emesso avviso di accertamento teso al recupero dell’IVA indebitamente portata in detrazione nell’anno 2010, senza accompagnare la ripresa con la parallela contestazione dell’eccedenza IVA pretesa a rimborso nel contesto del presente giudizio, l’Amministrazione sarebbe incorsa in decadenza, restandole interdetto il potere di contestare il credito invocato, di fatto sovrapponendo il diniego di rimborso all’accertamento già effettuato.
In realtà, secondo un recente arresto RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite di questa Corte, ‘ In tema di rimborso dell’eccedenza detraibile dell’IVA, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione, che non derivi dalla sottostima dell’imposta dovuta, anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento o per la rettifica dell’imponibile e dell’imposta dovuta, senza che abbia adottato alcun provvedimento ‘ (Cass. S.U. n. 21766 del 29/07/2021; conf. Cass. n. 11698 del 11/04/2022; Cass. n. 26277 del 06/09/2022). La Corte ha, quindi, esteso all’IVA generalizzandolo -un principio già enunciato, sempre a Sezioni Unite, in tema di imposte dirette (Cass. S.U. n. 5069 del 15/03/2016).
Nell’affrontare la problematica le Sezioni Unite si sono fatte carico di una disamina approfondita di tutti i dubbi, sia di costituzionalità che di compatibilità unionale, che la peculiarità della fattispecie normativa sollecita.
La Corte, dopo aver rilevato che ‘ l’attività di controllo della dichiarazione è funzionale all’adempimento degli obblighi tributari, che nascono in dipendenza dell’insorgenza dei relativi presupposti, e non già a seguito dell’esercizio di quell’attività e dei conseguenti avvisi di accertamento ‘ e che ‘ l’omissione dell’attività di controllo si risolve nell’inadempimento definitivo di quegli obblighi ‘, riverberandosi sul contribuente, per cui ‘ l’amministrazione, che sia decaduta dai propri poteri di accertamento e rettifica, non può pretendere un’imposta maggiore di quella liquidata in dichiarazione ‘, ha peraltro posto in risalto che ‘ il credito che nasca, invece, (…) dal coacervo RAGIONE_SOCIALE poste detraibili che prevalgano sul debito, e che quindi eccedano l’imposta liquidata, esiste in quanto ne sussistano i fatti generatori, sicché non è sufficiente che sia esposto in dichiarazione, né è necessario che sia accertato dall’amministrazione ‘, ‘ né l’inerzia può equivalere al riconoscimento implicito del credito, per l’assenza di fatti impeditivi o preclusivi del rimborso, in ragione di un obbligo dell’amministrazione di attivarsi, derivante anche dalla combinazione dei commi 2 e 5 dell’art. 6 dello statuto dei diritti del contribuente. Al contrario, il legislatore prende sì in considerazione l’inerzia, ma assegna ad essa il significato di rifiuto tacito, in quanto tale impugnabile». Ne deriva che «l’omesso esercizio del potere di controllo non determina alcun effetto accertativo del credito vantato, che può derivare soltanto dalla positiva verifica di rispondenza alla realtà di quanto dichiarato (Cass., sez. un., n. 8500/21)». Ritenere, dunque, incontrovertibile il credito ‘soltanto perché è indicato in una dichiarazione non più assoggettabile al potere di accertamento o
verifica, striderebbe con la matrice costituzionale dell’azione impositiva, presidiata dai precetti della riserva di legge (art. 23 Cost.), del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), e anche dell’imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.)’.
Lo stesso contribuente, infatti, ha sempre la possibilità di dimostrare, in conformità al principio costituzionale di capacità contributiva, l’inesistenza anche parziale di presupposti d’imposta erroneamente dichiarati e, per conseguenza, di presentare nei termini previsti istanza di rimborso per l” inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento ‘, nonostante l’errore, contenuto in dichiarazione, sicché ‘ già sul piano logico non è certo agevole costruire come titolo di un diritto, in quanto tale tendenzialmente stabile, la dichiarazione fiscale, fisiologicamente instabile, perché emendabile in ogni tempo (…) anche direttamente in sede contenziosa, in caso di errori di fatto o di diritto, che abbiano determinato l’indicazione di un maggior debito o di un minor credito d’imposta ‘. Resta quindi depotenziata l’asimmetria di posizioni poiché ‘ il fisco può contestare in ogni tempo il proprio debito, ossia la sussistenza del diritto al rimborso che non derivi dalla sottostima dell’imposta dovuta; ma il contribuente può far valere, anche direttamente in sede contenziosa – salvo il limite suindicato -, l’errore di fatto o di diritto che abbia infirmato la propria dichiarazione’. E del resto ‘è il contribuente, che decide di chiedere il rimborso di un credito a distanza di anni dalla maturazione del diritto relativo, a scegliere, riportandolo a nuovo, di assegnare ad esso rilevanza, appunto ex novo, in ciascuna RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni successive in cui lo espone’. Ne deriva che ‘la situazione fiscale del contribuente non è posta indefinitamente in discussione: la parte dilaziona nel tempo l’istanza di rimborso, preferendo il riporto a nuovo; la scelta conforma anche l’onere di conservazione RAGIONE_SOCIALE scritture contabili e dei documenti giustificativi del credito (si veda Cass. n. 8500/21, cit.); e
comunque il silenzio rifiuto opposto all’istanza è impugnabile e apre all’accertamento giudiziale e alla definizione del rapporto’
La connotazione del sistema, infine, è coerente e conforme con i principi unionali di proporzionalità ed equivalenza, nonché con il principio di neutralità dell’IVA atteso che ‘ proprio la possibilità per l’amministrazione di contestare la sussistenza del credito indipendentemente dal decorso del termine di decadenza contemplato dall’art. 57 del d.P.R. n. 633/72 è volta a scongiurare il riconoscimento di crediti iva inesistenti, che, questo sì, si porrebbe in contrasto col principio di neutralità ‘. Neppure resta leso il principio del legittimo affidamento atteso che ‘ nessun affidamento tutelabile si produce al cospetto dell’omesso esercizio del potere di rettifica, di per sé privo di significatività all’interno di un sistema impositivo che trova il proprio fulcro nella fisiologia della dichiarazione, quale vero e proprio atto di responsabilità autoimpositiva e autoliquidativa ‘. Da ciò la conclusione che ‘ quanto agli artt. 23 e 53 Cost. è proprio l’applicazione dei principi ivi stabiliti che esclude la rilevanza della dichiarazione come titolo costitutivo del diritto al rimborso, anche in ipotesi di crediti inesistenti; – quanto all’art. 3 Cost., il sistema complessivo, che prevede la possibilità di rettificare in ogni tempo la dichiarazione errata in fatto o in diritto – salvo che non si siano verificate le decadenze previste dalla legge – , la facoltà di presentare istanza di rimborso nonostante si sia dichiarato l’obbligo di versamento del tributo, e la possibilità di scegliere di riportare reiteratamente a nuovo il credito, non consente di ravvisare alcuna discriminazione; in particolare, non v’è discriminazione alcuna tra chi riporta a nuovo il credito e chi, invece, lo chiede a rimborso, in quanto in entrambi i casi i crediti sono soggetti al potere di contestazione del fisco; -quanto all’art. 97 Cost., la condotta dell’amministrazione di contestazione dell’esistenza di crediti risponde
all’obbligo, su di essa gravante, di assicurare la riscossione dell’Iva dovuta’.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1970, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per non aver considerato sussistente il presupposto della cessazione di attività dell’ente fallito.
Il motivo è inammissibile.
Certamente l’asserzione del giudice d’appello secondo cui al fallimento non s’accompagnerebbe la cessazione dell’attività d’impresa è in linea di principio confliggente col sistema concorsuale, nel cui quadro l’apertura del fallimento comporta proprio la cessazione dell’attività d’impresa, salvo che il curatore non disponga l’esercizio provvisorio della stessa ex art. 104 L.fall.
Del resto, sul piano fiscale la dichiarazione del curatore (prevista prima dall’art. 74-bis del d.P.R. n. 633/72 e poi dall’art. 8, comma 4, del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322), non a caso definisce il rapporto tributario antecedente alla procedura concorsuale, che funge da spartiacque per le categorie di crediti e di creditori (Cass. n. 8642 del 2009), ed è per questo equiparata alla dichiarazione di cessazione di attività ai fini dell’insorgenza del diritto al rimborso dell’eccedenza detraibile sin da quella data (Cass. n. 27948 del 2009). Essa, peraltro, nel contempo evita che si verifichi una frattura nella continuità del rapporto Iva dell’imprenditore fallito in relazione alle operazioni che consistano nella liquidazione ai fini dell’estinzione dei debiti (Cass. n. 14620 del 2019; Cass. n. 25897 del 2020; sulla medesima linea anche Corte cost. n. 115 del 1986 e Corte giust. causa C-182/20, BE, DT), propiziando il riporto a nuovo.
Su queste premesse, è tuttavia evidente che la motivazione resa dalla CTR nella parte in cui adduce che all’apertura del fallimento non si
collega la cessazione dell’attività d’impresa è mera argomentazione che si affianca alle altre argomentazioni tese ad escludere la spettanza del rimborso.
Ed allora mette punto richiamare il principio incisivamente espresso da questa Corte, secondo il quale ‘ qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza RAGIONE_SOCIALE censure mosse ad una RAGIONE_SOCIALE rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività RAGIONE_SOCIALE altre, alla cassazione della decisione stessa ‘ (Cass. n. 5102 del 2024; Cass. n. 11493 del 2018).
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta l’illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 19, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972 e 168, comma 1, lett. a, Direttiva 2006/112/CE, per aver ricondotto alla fattispecie astratta di frode fiscale una fattispecie concreta accertata come priva dei necessari elementi costitutivi.
Il motivo è inammissibile.
Esso trascende il paradigma del vizio ex art. 360 n. 3 c.p.c. e mira a contestare l’accertamento operato dalla CTR per tendere ad una diversa e più appagante rivisitazione del merito.
Ad ogni buon conto la CTR, contrariamente a quanto allegato dalla parte, ha valorizzato -e in termini articolati – molteplici elementi presuntivi tesi a contraddire la spettanza del rimborso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che
liquida in euro 23.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 30/04/2024.