Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4558 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4558 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24751 -20 16 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso, da ll’avv. NOME COGNOME (pec: EMAILordineavvocatipotenzaEMAIL), domiciliata presso lo studio legale dell’avv. NOME COGNOME, in Roma, alla INDIRIZZO;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
Oggetto:
TRIBUTI –
rimborso credito IVA – termine
avverso la sentenza n. 140/03/2016 della Commissione tributaria regionale della BASILICATA, depositata in data 25/03/2016; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13 febbraio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
1. In controversia avente ad oggetto l’impugnazione da parte del Fallimento della RAGIONE_SOCIALE del silenzio rifiuto serbato dall’Agenzia delle entrate sull’istanza di rimborso del credito IVA maturato con riferimento all’anno d’imposta 2006, avanzata dalla predetta società in data 24/01/2012, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR della Basilicata accoglieva l’appello dell’amministrazione finanziaria avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sostenendo che «non avendo esposto nella dichiarazione annu ale il credito d’imposta maturato nell’anno 2006, e non avendo contestualmente richiesto il rimborso compilando il rigo RX del Modello Unico, la società contribuente non ha legittimamente esercitato il proprio diritto al rimborso non impedendo la consumazione del termine biennale di decadenza ex art. 21 Dlgs n. 446/92».
Avverso tale statuizione la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui replica l’ intimata con controricorso.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale, dott. NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte chiedendo di accogliere il ricorso, più precisamente l’accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso con assorbimento del primo.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 30 del d.P.R. n. 600 del 1973 per non essersi la
CTR attenuta ai principi giurisprudenziali in base ai quali, in caso di cessazione dell’attività, quale doveva essere considerata la RAGIONE_SOCIALE Com s.p.a., in quanto dichiarata fallita, il diritto al rimborso dell’imposta versata in eccedenza spetta in ogni caso, non essendo subordinato al rispetto di particolari adempimenti formali, ed essendo esercitabile nel termine di prescrizione decennale.
Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza perché pronunciatasi ultra petitum , in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
2.1. Al riguardo sostiene che l’amministrazione finanziaria nel costituirsi nel giudizio di primo grado non aveva dedotto, «a base proprio silenzio-rifiuto né la mancata esposizione nella dichiarazione annuale del credito d’imposta maturato nel 2006 né la mancata compilazione del rigo RX del modello Unico, ma soltanto la mancata presentazione del mod. VR» e che «nell’atto di appello alla Commissione Tributaria Regionale ha espressamente riconosciuto che la dichiarazione IVA era stata presentata dal fallimento della società RAGIONE_SOCIALE e che la stessa conteneva l’esposizione del credito IVA in questione, avendo precisato alla pag. 2) del predetto appello che l’eccedenza d’IVA in questione: ‘…era stata indicata solo nel quadro VX del modello IVA, presentato per il medesimo periodo di ultima gestione normale, il 31 luglio 2007… ‘ » .
Con il terzo motivo viene dedotta, sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la medesima questione posta nel secondo motivo ma sotto il profilo dell’omessa pronuncia della CTR, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., sull’eccezione sollevata ai sensi dell’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992 , di inammissibilità dell’appello dell’Agenzia delle entrate per novità dei motivi con esso proposti, ovvero quello in cui deduceva la tardività della dichiarazione
IVA e del Modello Unico contenenti l’esposizione del credito IVA e la richiesta di rimborso.
Tale motivo, da cui pare opportuno muovere essendo logicamente propedeutico agli altri, è inammissibile alla stregua del principio giurisprudenziale secondo cui «In tema di processo tributario, nel ricorso per cassazione non è utilmente censurabile ai sensi degli artt. 360, comma 1, n. 4, e 112 c.p.c. la mancata pronuncia da parte del giudice sull’eccezione di inammissibilità di un motivo di appello, perché nuovo, in quanto trattasi di questione rilevabile “ex officio”, che sfugge pertanto alla preclusione di cui all’art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, la quale investe le sole eccezioni in senso stretto e non anche le eccezioni improprie o le mere difese» (Cass. n. 5204 del 2023). Peraltro, questa Corte ha anche affermato che «il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione puramente processuale», qual è quella dell’inammissibilità dell’appello per novità delle censure con lo stesso proposte, «non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall’art. 112 cod. proc. civ., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte» (Cass. n. 13649 del 2005; conf. Cass. n. 7406 del 2014).
Il secondo motivo, che nell’ordine logico segue il terzo, è infondato.
5.1. E’ orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui, «In tema di contenzioso tributario, ove la controversia abbia ad oggetto l’impugnazione del rigetto di un’istanza di rimborso di un tributo avanzata dal contribuente, l’Amministrazione finanziaria può
esercitare la facoltà di controdeduzione di cui all’art. 23 del d.lgs. n. 546 del 1992 e, quindi, prospettare, senza che si determini vizio di ultrapetizione, argomentazioni giuridiche ulteriori rispetto a quelle che hanno formato la motivazione di rigetto della istanza in sede amministrativa, poiché, in tal caso, il contribuente assume la posizione sostanziale di attore, che deve fornire la prova della propria domanda, mentre l’Ufficio non ha esplicitato una “pretesa” (impugnata dal contribuente), quale l’avviso di accertamento o di liquidazione, o l’irrogazione di una sanzione. Ne consegue che, non potendosi attribuire alla motivazione del provvedimento di rigetto (equivalente, peraltro, al cd. silenzio-rifiuto, del pari impugnabile) il carattere dell’esaustività, può ritenersi adeguata una motivazione del diniego che delinei gli aspetti essenziali delle ragioni del provvedimento, e che si fondi sull’insussistenza dei presupposti per il rimborso, richiamando altresì le norme di riferimento e gli eventuali provvedimenti adottati. (Fattispecie in tema di rimborso di un credito IVA, ai sensi dell’art. 30 del d.P.R. n. 633 del 1972, in cui la S.C, nell’affermare i suddetti principi, ha ritenuto che l’Amministrazione finanziaria potesse integrare la motivazione con elementi ed argomentazione diverse ed ulteriori rispetto a quanto contenuto nel provvedimento di rigetto)» (Cass. n. 25999 del 2022; in termini, ex multis , Cass. n. 10797 del 2010; n. 1822 del 2019; n. 17329 del 2019).
Venendo, quindi, al primo motivo di ricorso, lo stesso è fondato e va accolto.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 32424 dell’ 11/12/2019, Rv. 656120 -01), l ‘istanza di rimborso del credito d’imposta maturato dal contribuente deve considerarsi già presentata con la compilazione del corrispondente quadro della dichiarazione annuale (“RX4”), la quale configura
formale esercizio del diritto, mentre la presentazione del modello VR costituisce, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, solo un presupposto per l’esigibilità del credito e, dunque, un adempimento prodromico al procedimento di esecuzione del rimborso ( ex plurimis , Cass. nn. 4592 e 4857 del 2015; nn. 10653, 20069 e 26867 del 2014; n. 14070 del 2012; n. 20039 del 2011). Si è, altresì, affermato che ove si tratti di richiesta di rimborso relativa all’eccedenza d’imposta risultata alla cessazione dell’attività, la fattispecie è regolata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, e la richiesta è soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale, non a quello biennale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, applicabile in via sussidiaria e residuale, solo in mancanza di disposizioni specifiche, e ciò in quanto l’attività non prosegue, sicché non sarebbe possibile portare l’eccedenza in detrazione l’anno successivo (Cass. n. 9941 del 2015, n. 2005 del 2014; nn. 7684, 7685 e 14070 del 2012; nn. 13920 e 20039 del 2011; nn. 9794 e 25318 del 2010; n. 27948 del 2009; da ultimo, Cass. n. 25612 del 01/09/2023, Rv. 669049 – 01).
7.1. Si è correttamente osservato, al riguardo (cfr. Cass. n. 9941 del 2015), che «siffatta soluzione ermeneutica è del resto coerente con il diritto eurounitario, poiché, se è vero che gli Stati membri adottano le misure necessarie ad assicurare l’osservanza degli obblighi di dichiarazione e di pagamento, l’esatta riscossione dell’imposta e la prevenzione di frodi, tuttavia è pur vero che tali misure non possono eccedere gli obiettivi sopra indicati (v. Corte di giustizia, 11 dicembre 2014, in causa C-590/14, Idexx; 8 maggio 2008, in causa C- 95/07 e C-96/07, RAGIONE_SOCIALE; 27 settembre 2007, in causa C- 146/05, Coilee), essendo il diritto al ristoro dell’Iva versata “a monte” basilare nel sistema comunitario, in forza del principio di neutralità (cfr. Corte di giustizia, 22 dicembre 2010, in
causa C- 438/09, COGNOME, p.to 34, con riguardo al caso di cessazione d’attività; 18 dicembre 1997, in cause riunite C-286/94, C-340/95, C- 401/95, C-47/96, Molenheide e altri). Deve quindi ritenersi ormai definitivamente superato il diverso e più risalente orientamento secondo cui, in caso di cessazione dell’attività, solo una domanda di rimborso conforme al modello ministeriale corrisponderebbe allo schema tipico delineato dall’art. 30 del decreto IVA, con la conseguenza che la domanda difforme resterebbe assoggettata alla decadenza biennale prevista, in via residuale, dal citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 (Cass. nn. 18920 e n. 18915 del 2011; n. 7669 del 2012)».
7.2. Peraltro, nella circolare dell’Agenzia delle entrate n. 34/2012 si ammette che, in ossequio al principio di neutralità che ispira il sistema dell’IVA, il credito maturato in un’annualità per la quale non sia stata presentata la dichiarazione, se effettivamente esistente e spettante, potrà essere riconosciuto al contribuente (benché attenga ad una dichiarazione omessa) che avanzi istanza di rimborso di quel credito nel termine biennale di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992 oppure, per quanto detto sopra, nel diverso termine prescrizionale decennale, nelle ipotesi eccezionali di cessazione dell’attività (Cass. n. 6876 dell’11/03/2021) o di morte del contribuente (Cass. n. 15867 del 24/07/2020).
7.3. In tal senso si è pronunciata questa Corte affermando, in una non recente ma sempre valida pronuncia, che «In tema di IVA, in caso di mancata presentazione della dichiarazione annuale si determina la perdita definitiva del diritto di avvalersi delle eccedenze maturate a credito per quell’anno, dal momento che l’omessa dichiarazione vale, “a fortiori”, come mancato computo, ma non la perdita del diritto al rimborso nel rispetto dei limiti di legge» (Cass. n. 13090 del 25/07/2012, Rv. 623841 – 01).
7.4. Deve precisarsi, inoltre, che nel caso di specie è pacifica e, comunque, neppure contestata, la cessazione dell’attività della società contribuente per essere intervenuta, nell’anno 2006, la dichiarazione di fallimento della stessa (arg. da Cass. n. 23273 del 28/08/2024, Rv. 672077 -01) senza che risulti essere stato autorizzato l’esercizio provvisorio dell’attività aziendale.
7.5. In Cass. n. 23273 del 28/08/2024 (Rv. 672077 – 01) si legge (par. 8.4.) «che in casi eccezionali, in cui la compensazione non può pi ù̀ essere effettuata, come nel caso di specie in cui vi è stata la cessazione dell’attività, anche la richiesta in compensazione può rilevare. Questa infatti, comunque contiene la volontà di non pe rdere il credito, e l’esposizione del credito in dichiarazione può valere quale richiesta di rimborso di un’eccedenza d’imposta in precedenza maturata e domandata entro il termine di prescrizione ordinaria. Tale soluzione è pienamente coerente con la giurisprudenza della Sezione (cfr. Cass. Sez. 6 – 5, n. 5024 del 12/03/2015, conforme a Cass. Sez. 5, n. 9794 del 23.4.2010) secondo la quale la richiesta di rimborso dell’eccedenza IVA, formulata dalle imprese cessate o fallite, le quali, non proseguendo l’attività, non possono portare in detrazione l’eccedenza l’anno successivo è soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale».
In sintesi , dall’accoglimento del primo motivo di ricorso discende la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado territorialmente competente anche per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di
secondo grado dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 13 febbraio 2025