Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7826 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7826 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LA COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11125/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in INDIRIZZO, presso l’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO DOM DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. SALERNO n. 4834/2020 depositata il 19/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/10/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
La Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Campania ha respinto il gravame erariale proposto contro la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Avellino che aveva
accolto il ricorso del RAGIONE_SOCIALE contro il diniego di rimborso di credito IVA, motivato da ‘assenza dei presupposti’, ritenendo che la dichiarazione di cessazione dell’attività fosse sostanzialmente equiparabile a quella che il curatore deve presentare ai sensi de ll’art. 74 bis d.P.R. n. 633/1972.
La CTR ha confermato la decisione osservando che con il fallimento l’impresa versa nell’impossibilità di effettuare ulteriori operazioni imponibili, salvo il caso di esercizio provvisorio ai sensi dell’art. 90 legge fall., e ciò impedisce all’impresa di poter recuperare il credito IVA con future operazioni imponibili.
Il ricorso è affidato a due motivi illustrati con memoria.
Ha resistito con controricorso il RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo l’Agenzia deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 30 comma 2, 35 comma 4, 74 bis del d.P.R. n. 633/1972 in quanto la dichiarazione di fallimento non è incompatibile con una serie di operazioni connesse alla gestione dei beni fallimentare che costituiscono operazioni imponibili ai fini IVA, cosicché è errata l’equiparazione tra imprese cessate e fallite e la dichiarazione del Curatore ex art. 74 bis cit. non può equivalere alla dichiarazione di cessa zione di cui all’ art. 35 cit.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. La giurisprudenza di questa Corte assimila le imprese fallite a quelle cessate; così, in tema di IVA, la richiesta di rimborso dell’eccedenza d’imposta, formulata dalle «imprese cessate o fallite», le quali, non proseguendo l’attività, non possono portare in detrazione l’eccedenza l’anno successivo, è regolata dall’art. 30, secondo comma (ora primo comma), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, sicché è soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale e non a quello biennale di cui all’art. 21 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, applicabile in via sussidiaria e residuale, in
mancanza di disposizioni specifiche (Cass. n. 5024 del 2015; Cass. n. 24889 del 2013); inoltre, la dichiarazione, prevista dall’art. 74 bis del d.P.R. n. 633 del 1972 del curatore o del commissario liquidatore, relativamente alle operazioni anteriori all’apertura o all’inizio delle procedure concorsuali, è equiparabile alla dichiarazione di cessazione di attività, con la conseguenza che essa, al pari della dichiarazione annuale, chiudendo il rapporto tributario antecedente alle procedure concorsuali, fa sorgere, da quella data, ai sensi dell’art. 30 del d.P.R. 633 del 1972, il diritto al rimborso dei versamenti d’imposta che risultino effettuati in eccedenza (Cass. n. 36385 del 2022; Cass. n. 27948 del 2009).
1.3. Il profilo evidenziato dalla ricorrente non è decisivo perché la possibilità del compimento di operazioni IVA nel corso del fallimento, anche in mancanza di esercizio provvisorio, non implica la possibilità di recuperare il credito IVA preconcorsuale operando, in questo caso, il principio secondo cui la compensazione nel fallimento, consentita dall’art. 56 legge fall., richiede che entrambi i crediti siano sorti anteriormente al fallimento.
1.4. In materia di fallimento, in forza dell’art. 56 l. fall., applicabile anche ai crediti erariali, qualora sia richiesto all’amministrazione finanziaria il rimborso di un credito IVA formatosi durante lo svolgimento della procedura concorsuale, l’erario può opporre in compensazione solamente i crediti che siano sorti successivamente all’apertura della procedura medesima, con esclusione di quelli formatisi in epoca precedente, non potendo la compensazione ex art. 56 cit. – quand’anche veicolata alla stregua di eccezione riconvenzionale – avvenire fra un credito concorsuale, preesistente al fallimento, e un credito della massa, sorto dopo la dichiarazione di fallimento, il quale, facendo capo alla curatela, non è un credito del fallito, né condivide alcun rapporto di reciprocità con il credito concorsuale (Cass. n. 16779 del 2021).
Con il secondo motivo l’Agenzia lamenta, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 112 c.p.c. avendo la CTR omesso di pronunziare sulla questione della prova del credito, il cui onere grava sul contribuente, prova che in questo caso non era stata fornita, stante la mancata esibizione di documentazione comprovante l’insorgenza del credito e il suo quantum .
2.1. Sulla questione, riportata nell’espositiva della sentenza impugnata proprio tra i motivi d’appello dell’Agenzia (« Peraltro, l’onere della prova della sussistenza del credito grava sempre a carico del contribuente e l’onere di produrre idonea documentazione sussiste anche se per il Fisco siano scaduti i termini di rettifica della dichiarazione »), ricorre rigetto implicito, cosicché il motivo è infondato.
2.2. Invero, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (Cass. n. 2151 del 2021; Cass. n. 24953 del 2020). Il Giudice, invero, non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, c.p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’ iter argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorché risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel
caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (Cass. n. 12652 del 2020); ne consegue che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività (Cass. n. 12131 del 2023).
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 18/10/2023.