Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 24928 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 24928 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/09/2025
SENTENZA
Oggetto
INDEBITO ARRICCHIMENTO
A ccise sull’energia elettrica – Sentenza della Corte costituzionale n. 43 del 2025 Conseguenze
R.G.N. 16256/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 23/4/2025
Udienza Pubblica sul ricorso 16256-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore speciale, Avv. NOME COGNOME domiciliata ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante ‘ pro tempore ‘, domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica de l proprio difensore come in atti, rappresentata e difesa da ll’Avv. Avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1568/2023 del Tribunale di Firenze, depositata il 24/05/2023; udita la relazione della causa svolta nell ‘ udienza pubblica del 23/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udita la Sostituta Procuratrice Generale Dott.ssa NOME COGNOME uditi l’ Avvocato NOME COGNOME per delega – e l’Avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 1568/23, del 24 maggio 2023, del Tribunale di Firenze, che – respingendone il gravame avverso la sentenza n. 3389/21, del 9 novembre 2021, del Giudice di pace della stessa città – ne ha confermato la condanna a pagare alla società RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi, ‘RAGIONE_SOCIALE‘), a titolo di ripetizione di indebito oggettivo ex art. 2033 cod. civ., l’importo complessivo di € 4.029,64, da questa corrisposto dal mese di febbraio 2010 fino al mese di dicembre 2011 in conseguenza dell’addebito, nelle fatture emesse da Enel Energia, di somme pretese a titolo di addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica .
Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di essere stata convenuta in giudizio dalla società Ugolini, la quale – sul presupposto di aver concluso in passato, con RAGIONE_SOCIALE, un contratto per la somministrazione di energia elettrica – chiedeva il rimborso di quanto corrisposto, durante il periodo di vigenza del rapporto contrattuale, a titolo di addizionale all’accisa sull’energia elettrica, ai sensi dell’art. 6 del decreto -legge 29 novembre 1988, n. 511, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 gennaio 1989, n. 20. Ass umeva, infatti, l’allora attrice la non debenza di
tale somma, sussistendo – a suo dire – i presupposti per la disapplicazione dell’atto impositivo, per contrasto con la normativa unionale di riferimento, ovvero la direttiva 2008/118/CE, del 15 dicembre 2008, come interpretata dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea.
Accolta la domanda dal primo giudice, la decisione veniva confermata in appello.
Avverso la sentenza del Tribunale fiorentino ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE sulla base – come detto – di due motivi, preceduti da una ricostruzione degli interventi normativi e giurisprudenziali susseguitisi in materia.
Si rammenta, pertanto, come l’addizionale all’accisa di cui all’art. 52 e ss. del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 sia stata soppressa, nelle Regioni a statuto ordinario, a far data dal 1° gennaio 2012 (in base all’art. 18, comma 5, del d.lgs. 6 maggio 2011, n. 68), mentre, nelle Regioni a statuto speciale, la soppressione opera dal 1° aprile 2012, in forza dell’art. 4, comma 10, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44.
Risulta, dunque, evidente – secondo RAGIONE_SOCIALE – che, fino al 31 dicembre 2011 (per le Regioni a Statuto ordinario, qual è quella di appartenenza della società Ugolini) il pagamento dell’addizionale provinciale era dovuto in base alla allora vigente normativa italiana, essendo esso a carico di venditori (fornitori) dell’energia elettrica, con ‘diritto di rivalsa sui consumatori finali’, secondo il disposto dell’art. 56 del suddetto d.lgs. n. 504 del 1995.
Ritenendo, tuttavia, l’imposizione in questione incompatibile con la previsione della Direttiva 2008/118/CE, diversi utenti del servizio di fornitura di energia hanno convenuto in giudizio l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, con iniziative che sono state, però, ritenute inammissibili dalla Sezione Tributaria di
questa Corte (ord. 19 ottobre 2019, n. 29980; sent. 4 giugno 2019, n. 15198).
Essa, invero, pur ritenendo la norma interna incompatibile con quella unionale, ha reputato inammissibile l’azione di ripetizione nei confronti dell’Ente impositore e ciò perché – vertendosi in fattispecie caratterizzata dall’esistenza di due distinti rapporti: l’uno privatistico, tra cliente e società di vendita, e l’altro tributario, tra quest’ultima e l’Agenzia delle Dogane – la domanda dell’utente avrebbe dovuto necessariamente esplicarsi nell’ambito del rapporto negoziale che lo vedeva coinvolto ed essere, quindi, indirizzata verso il fornitore.
Orbene, sulla base di un’errata interpretazione di tali affermazioni, risulta essersi incardinato un contenzioso tra migliaia di utenti ed Enel Energia, che ha messo capo a pronunce del contenuto di quella qui in esame.
Ciò premesso, la ricorrente illustra i due motivi di ricorso.
3.1. Il primo motivo denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., violazione degli art. 288 Testo Unico sul Funzionamento dell’Unione Europea e 101 Cost., stante l’assoluta inconferenza (e non deducibilità) nel presente giudizio – alla luce del fermo principio della inefficacia c.d. orizzontale delle Direttive UE – della presunta incompatibilità tra la normativa tributaria nazionale e la direttiva n. 2008/118/CE, nell’interpretazione datane dalla Corte di G iustizia dell’ Unione europea.
Secondo la ricorrente, ‘la disapplicazione del diritto interno nell’ambito dei rapporti sostanziali e processuali tra privati (quale è quello che ci occupa) non può essere disposta per asserito contrasto con una direttiva’, potendo tale situazione di contr asto dare luogo, al più, ad una responsabilità dello Stato, per non avere trasposto (o per aver mal trasposto), nel diritto interno, direttive che siano prive di efficacia ‘orizzontale’. Né, d’altra parte, la
disapplicazione potrebbe essere giustificata – come ha fatto il Tribunale fiorentino -affermando che, anche rispetto alle pronunce della CGUE, vige il principio della ‘ primauté ‘ del diritto dell’Unione, in quanto a tali decisioni ‘va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino « ex novo » norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia « erga omnes »’. Si tratterebbe, infatti, secondo la ricorrente di affermazione errata, giacché ‘a prescindere dall’efficacia erga omnes delle sentenze interpretative della Corte di Giustizia, queste ultime costituiscono per l’appunto «interpretazione» delle norme europee e non mutano, né possono mutare, il loro rango e l’originaria efficacia delle stesse’, pena, altrimenti, la violazione del principio della separazione dei poteri sancito, nel nostro ordimento costituzionale, dall’ art. 101 Cost.
Del resto, l’impossibilità di superare il limite rappresentato dalla efficacia solo verticale delle direttive – evidenzia sempre la ricorrente è stata ‘ribadita da ultimo anche nella sentenza della Grande Sezione della CGUE del 18 gennaio 2022, in C-261/20 ‘ , sentenza che ha confermato ‘senza mezzi termini la efficacia solo «verticale» delle direttive, anche ove contenenti disposizioni sufficientemente chiare e precise ed anche ove non recepite o erroneamente recepite dal legislatore nazionale’, e con essa , dunque, ‘la impossibilità di invocare la disapplicazione di una disposizione di legge interna per contrasto con una direttiva ai fini della decisione di un giudizio fra privati’. E ciò, in particolar modo, qualora tale efficacia ‘verticale’ – come si assume essere nel caso in esame ‘inciderebbe sull’ordinamento interno in termini di «esclusione» (e non di «sostituzione») della disposizione nazionale confliggente’.
Infine, secondo la ricorrente, va segnalato come il suddetto arresto abbia confermato ‘la piena plausibilità – secondo costante
e notissima giurisprudenza della Corte (a partire dalla sentenza Francovich del 19 novembre 1991) della strada aperta all’utente, nella vicenda che ora ci occupa, per il caso in cui davvero si ravvisi un contrasto fra disposizione interna’, ovvero quell a della responsabilità dello Stato per inadempimento dell’obbligo di dare trasposizione (o meglio, ‘corretta’ trasposizione) ad una direttiva comunitaria priva di efficacia ‘orizzontale’.
Su tali basi, quindi, la ricorrente reputa essere ‘assolutamente preclusa’ al giudice nazionale la disapplicazione – in un rapporto tra privati ‘delle disposizioni interne sulle addizionali accise per asserito contrasto con la Direttiva o con la sua interpretazione da parte della CGUE’; sicché ‘la questione concernente tale asserito contrasto è dunque totalmente irrilevante nel presente giudizio’.
Peraltro, ove dovessero permanere dubbi in proposito, questa Corte è sollecitata a ‘disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ai sensi e per gli effetti degli articoli 19, paragrafo 3, lettera b), del Trattato sull’Unione europea e 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, anche in relazione a tale questione’.
D’altra parte, un’ulteriore conferma dell’impossibilità , in un rapporto tra privati, di dare applicazione a ‘preferenza’ di quella nazionale contrastante – alla normativa unionale, sarebbe offerta dal decreto del 10 maggio 2023, con cui la Prima Presidente di questa Corte ha dichiarato inammissibile l’istanza di rinvio pregiudiziale, ex art. 363bis cod. proc. civ., formulata dal Tribunale di Verona. Esito al quale la Prima Presidente sarebbe pervenuta non solo in ragione della carenza del requisito della ‘novità’ della questione, ma anche ribadendo che la disapplicazione della disposizione interna per conflitto con una direttiva dell’Unione Europea è consentita ed imposta al giudice nazionale solo ed esclusivamente nei rapporti e nei corrispondenti giudizi ‘verticali’.
3.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.l. n. 511 del 1988, convertito in legge n. 20 del 1989, e della direttiva 2008/118/CE, assumendosi l’insussistenza del presunto contrasto tra la normativa italiana sull’addizionale sull’accisa sull’energia elettrica e la direttiva suddetta, con richiesta -ove occorra – di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
La ricorrente evidenzia di aver sempre negato, in entrambe le fasi del giudizio di merito, l’esistenza di un contrasto – in materia di addizionale all’accisa sull’energia elettrica – tra diritto nazionale e unionale, e ciò perché le addizionali in esame perseguono appieno la ‘finalità specifica’ richiesta dalla direttiva, e, ancor prima, a ben vedere, in quanto tale finalità ‘non era neppure richiesta per la validità dell’imposizione tributaria non avendo l’addizionale carattere di tributo autonomo’.
Quanto, infatti, a questo secondo rilievo (che ha carattere, all’evidenza, pregiudiziale), si sottolinea come l’addizionale si risolva in un mero incremento quantitativo dell’accisa, vale a dire in una sua maggiorazione o inasprimento che si pone rispetto ad essa in rapporto di accessorietà, sicché essa non è un tributo autonomo.
Tale circostanza, pertanto, è tale ‘da consentire il cumulo tra imposta di consumo sull’energia elettrica e relativa addizionale provinciale’, escludendo l’applicabilità della normativa unionale, senza che occorra verificare non essendo l’addizionale, appunto, un tributo autonomo se ricorra, o meno, la c.d. ‘finalità specifica’ imposta dalla direttiva, ovvero quella di ‘ridurre i costi ambientali specificamente connessi al consumo di energia elettrica’.
Difatti, sin dall’introduzione con il d.l. n. 511 del 1988, il legislatore nazionale ha individuato le finalità specifiche, cui
dovevano essere indirizzate le somme derivanti dalla riscossione dell’addizionale provinciale, tra le quali il finanziamento dell’illuminazione stradale, dell’edilizia scolastica, della tutela e della valorizzazione dei beni culturali, della formazione professionale, dei servizi all’impiego e della gestione integrale del ciclo dei rifiuti.
Ove, peraltro, dovesse permanere una situazione di dubbio, anche in tal caso questa Corte è sollecitata a ricorrere allo strumento del rinvio pregiudiziale.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, la società RAGIONE_SOCIALE chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
Il Procuratore Generale presso questa Corte, in persona di una sua Sostituta, ha fatto pervenire requisitoria scritta, con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso, anche sulla scorta della pronuncia della CGUE, sent. 11 aprile 2024, in C-316/22.
La trattazione del ricorso è stata fissata, inizialmente, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ., per l’adunanza camerale dell’8 novembre 2024, in vista della quale la ricorrente ha depositato memoria, svolgendo considerazioni soprattutto in relazione alla portata della citata sentenza della CGUE 11 aprile 2024, in C-316/22.
Con ordinanza interlocutoria del 12 dicembre 2024, n. 32088, la trattazione del ricorso è stata rinviata in pubblica udienza.
La ricorrente e il Procuratore Generale presso questa Corte hanno presentato memoria, ex art. 378 cod. proc. civ.
Alla detta udienza, il ricorso – previo invito del Presidente del Collegio, ai difensori delle parti e al Pubblico Ministero, a interloquire anche sulla sentenza n. 43, del 15 aprile 2025, della Corte costituzionale – è stato trattenuto per la decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va rigettato.
‘ In limine ‘, tuttavia, va chiarito che non può accogliersi la richiesta di concessione di termine – se del caso, ai sensi del terzo comma dell’art. 384 c od. proc. civ. – per esaminare la questione posta dalla recente sentenza della Corte costituzionale: da un lato, perché il termine per note a istanza di parte non è previsto nel giudizio di legittimità; dall’altro, perché non si tratta di questione su cui le parti non sono state messe in condizione di interloquire, anzi a tanto essendo state invitate in esordio di pubblica udienza: così essendo state poste in grado di espletare le proprie difese sul punto.
Ciò detto, i due motivi di ricorso – suscettibili di scrutinio unitario, data la loro connessione – non sono fondati.
11.1. In via preliminare, va evidenziato, in una prospettiva storicosistematica, che l’addizionale alle accise sull’energia elettrica è stata introdotta dal d.l. n. 511 del 1988, convertito, con modificazioni, nella legge n. 20 del 1989, ed è rimasta in vigore fino alla sua abrogazione sull’intero territorio nazionale, avvenuta nel 2012.
La normativa istitutiva stabiliva che l’obbligo di versamento dell’addizionale gravasse sul fornitore di energia elettrica, il quale
poteva tuttavia traslare il relativo onere sull’utente finale, mediante specifica indicazione in bolletta.
L’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, nella formulazione oggetto di censura, è stata introdotta dall’art. 5 del d.lgs. 2 febbraio 2007 , che ha sostituito l’art. 6 d.l. n. 511 del 1988, come convertito, in recepimento della Direttiva n. 2003/96/CE del Consiglio, del 27 ottobre 2003, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, sottoponendo anche l’energia elettrica ad accisa armonizzata secondo le previsioni della Direttiva n. 92/12/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1992, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione e ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa.
Nel dettaglio, l’art. 3, par. 2, Direttiva n. 92/12/CEE stabiliva che i prodotti di cui al par. 1 ivi compresa l’energia elettrica -potessero formare oggetto di altre imposizioni indirette, aventi finalità specifiche, nella misura in cui esse rispettassero le regole di imposizione applicabili ai fini delle accise o dell’IVA per la determinazione delle base imponibile, il calcolo, l’es igibilità e il controllo dell’imposta.
A tale disposizione si è poi sovrapposta la formulazione dell’art. 1, par. 2, Direttiva n. 2008/118/CE (dal tenore sostanzialmente identico, come rilevato dalla CGUE, 9 novembre 2021, in C-255/20, Agenzia delle dogane e dei monopoli – Ufficio delle dogane di Gaeta ), ai sensi del quale i singoli Stati membri dell’Unione europea possono introdurre sulla fornitura di energia elettrica nuove tasse, purché queste rispondano a specifiche finalità.
Tale direttiva ha dunque fatto sorgere la questione se l’addizionale provinciale, che in quel momento era ancora in vigore, fosse giustificata da quel principio di diritto comunitario, ossia avesse o meno una specifica finalità.
La Direttiva del 2008 è stata recepita dallo Stato italiano con d.lgs. n. 48 del 29 marzo 2010, che ha modificato numerose disposizioni del T.U.A. (d.lgs. n. 504 del 26 ottobre 1995,) a far data dal 1° aprile 2010. Successivamente, con decorrenza 1° gennaio 2012, l’art. 2, comma 6, del d.lgs. n. 23 del 14 marzo 2011 ha abrogato l’addizionale provinciale per le Regioni a statuto ordinario e, a far data dal 1° aprile 2012, l’art. 6 del d.l. n. 511 del 1988 è stato definitivamente abrogato dal d.l. n. 16 del 2 marzo 2012, convertito con modificazioni nella legge n. 44 del 26 aprile 2012.
Premessa tale ricostruzione di carattere generale, può passarsi ad esaminare la fattispecie oggetto della presente controversia.
11.2. Due, come detto, sono le questioni poste nel ricorso; segnatamente: l’incompatibilità dell’addizionale provinciale all’accisa con la Direttiva n. 2008/118/CE; b) l’applicabilità orizzontale di quest’ultima nelle cause di ripetizione tra privati .
11.2.1. In premessa, osserva il Collegio che ai fini della composizione delle questioni di massima rimesse all’esame di questa Corte assume un rilievo assolutamente dirimente la recente declaratoria di incostituzionalità della stessa norma istitutiva della addizionale di cui qui si chiede la ripetizione.
Mette conto di osservare, infatti, che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 43 del 15 aprile 2025, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1, lettera c), e 2, del d.l. n. 511 del 1988, come convertito e sostituito, per violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Costituzione, in relazione all’art. 1, par. 2, della Direttiva n. 2008/118/CE, definitivamente dichiarando, ora per allora, la contrarietà dell’addizionale provinciale all’accisa sul consumo di energia elettrica al diritto
europeo, e – segnatamente – alla Direttiva n. 2008/118/CE, da cui discende ‘ ipso iure ‘ la legittimità della domanda di rimborso, così come azionata dai consumatori finali che abbiano corrisposto al fornitore di energia, a titolo di rivalsa, tale tributo, come ora si verrà ad illustrare nel dettaglio.
Ed invero, il Giudice delle leggi, sulla premessa della non configurabilità di un’efficacia orizzontale delle direttive eurounitarie non autoesecutive, ha escluso che l’addizionale provinciale in questione rispettasse il requisito di legittimità della fina lità specifica espressamente richiesto dall’art. 1, par. 2, Direttiva n. 2008/118/CE; conclusione questa che – osserva la Corte costituzionale – trova pieno conforto nella giurisprudenza di legittimità, e in particolare in Cass. Sez. 5, sent. 23 ottobre 2019, n. 27101, Rv. 655544-01, confermata di recente da Cass. Sez. 5, ord. 11 settembre 2024, n. 24373, Rv. 672230-01; si veda, sul punto, il ‘ Considerato in diritto ‘, par. 11.
Varrà considerare, infatti, come anche questa Corte, da ultimo con ordinanza n. 9450 del 10 aprile 2025, aveva ritenuto ‘incontestabile’ l’autonomia dell’addizionale rispetto all’accisa, motivata proprio attraverso il riferimento al fatto che, per vero, è la stessa Direttiva n. 2008/118/CE a chiarire che le prime sono imposte diverse rispetto alla seconda, non potendo ritenersi che le addizionali siano dunque una mera componente dell’accisa.
Del resto, questa Corte ha già avuto modo di precisare, a partire dalla sentenza n. 27101 del 2019 cit ., che l’autonomia strutturale delle addizionali provinciali rispetto all’accisa emerge chiaramente dal tenore delle disposizioni contenute nella Direttiva n. 2008/118/CE, le quali pure ammettono l’introduzione di imposizioni fiscali aggiuntive, sempreché rispettose di condizioni previamente determinate (in tal senso, v. anche Cass. Sez. 5, sent. 4 giugno 2019, n. 15198, Rv. 654134-01).
In particolare, come specificato da Cass. Sez. 5, sent. 28 luglio 2020, n. 16142, ai fini della legittimità delle addizionali provinciali alle accise sull’energia elettrica -in conformità con l’art. 1, parr. 1 e 2, Direttiva n. 2008/118/CE, che sostanzialmente riproduce le previgenti disposizioni di cui all’art. 3, par. 2, Direttiva n. 1992/12/CEE (cfr. CGUE, 9 novembre 2021, in causa C-255/20, Agenzia delle dogane e dei monopoli – Ufficio delle dogane di Gaeta , punto 27; CGUE, 5 marzo 2015, in causa C-553/13, Oliver Medical SIA , punto 34) – deve ritenersi soddisfatto il cumulativo riscontro di due requisiti, quali: 1) il rispetto delle regole di imposizione dell’Unione applicabili ai fini delle accise o dell’IVA per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta; 2) la sussistenza di u na finalità specifica.
In tale ultima occasione, questa Corte aveva osservato che: a) sotto il primo profilo, l’art. 6, comma 3, ult. per., del d.l. n. 511 del 1988 chiarisce che «e addizionali sono liquidate e riscosse con le stesse modalità dell’accisa sull’energia elettric a», sicché notava questa Corte – la condizione sub 1) è sicuramente rispettata; b) non risultava, invece, rispettata la seconda condizione, in quanto né la disposizione di cui all’art. 6, né il decreto 11 giugno 2007 del capo dipartimento per le politiche fiscali del M.E.F., previsto dal comma 2 del medesimo articolo, chiarivano in alcun modo le specifiche finalità al cui soddisfacimento le addizionali sarebbero state teleologicamente implementate, non essendo in armonia con il diritto unionale la mera destinazione di tali addizionali a semplici finalità di bilancio (cfr., ex multis , la già richiamata Cass. Sez. 5, sent. n. 15198 del 2019; CGUE, 7 febbraio 2022, in causa C-460/21, RAGIONE_SOCIALE , punti 19 ss.; CGUE, 9 novembre 2021, in causa C-255/20, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli , punti 27 e ss. CGUE, 25 luglio 2018, in causa C-103/17, RAGIONE_SOCIALE , punti 34 ss.).
Ne discende che, una volta affermata la autonomia strutturale della addizionale all’accisa per il consumo di energia elettrica rispetto all’accisa stessa, è già stata la stessa giurisprudenza di legittimità ad aver a più riprese precisato, nella vigenza de ll’ormai espunto art. 6 d.l. n. 511 del 1988, tramite un consolidato orientamento, che le addizionali provinciali avrebbero dovuto comunque rispondere ad una o più finalità specifiche, in conformità al disposto dell’art. 1, parr. 1 e 2, Direttiva n. 2008/118/CE, come interpretata dalla CGUE, dovendosi evitare che le imposizioni indirette, aggiuntive rispetto alle accise armonizzate, ostacolassero indebitamente gli scambi (Cass. Sez. 5, sent. n. 15198 del 2019, cit .).
Per altro verso, nel caso che ci occupa, lo stesso giudice di appello – facendo buon governo delle ricordate ‘ regulae iuris ‘ , patrimonio già acquisito nel formante giurisprudenziale, prima ancora del recente intervento caducatorio della Corte costituzionale – ha espressamente evocato e si è, perciò, allineato ai precedenti della giurisprudenza della Sezione Tributaria di questa Corte del 2019, dinanzi richiamati, e ripresi anche dalla Consulta (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).
Ciò in quanto tale giurisprudenza già costituiva, da tempo, ‘ ius receptum ‘ .
Ne è autorevole prova, tra l’altro, oltre ai numerosi arresti sopra evocati, il Decreto n. 12502 del 10 maggio 2023, con cui la Prima Presidente di questa Corte, esaminando l’ordinanza di rinvio pregiudiziale ex art. 363bis cod. proc. civ. resa dal Tribunale di Verona sulle questioni di odierno interesse, ha osservato che, nella giurisprudenza della Corte di cassazione, non manca l’enunciazione di principi idonei ad orientare la risoluzione della questione interpretativa posta dal giudice rimettente, con la conseguenza inammissibilità del rinvio pregiudiziale, per difetto del requisito della novità della questione, richiesto dallo stesso
art. 363bis cod. proc. civ. (quando, per ritenersi superata tale condizione di ammissibilità, sarebbe invero bastata anche una latente divergenza tra le decisioni delle diverse sezioni della Suprema Corte, dovendosi valorizzare il riferimento testuale della predetta norma codicistica rispetto a quello della legge delega, che, nei suoi principi e criteri direttivi, richiedeva che la questione non fosse stata ancora ‘affrontata’ dalla Corte di legittimità, come è stato più recentemente puntualizzato da Cass. Sez. Un., sent. 7 maggio 2024, n. 12449, Rv. 670951-01).
Nondimeno, è appena il caso di osservare che la tentata ricostruzione diacronica delle richiamate pronunzie di legittimità e dei principi in esse enunciati non può che risolversi, allo stato, in un mero esercizio esegetico, volta che la stessa norma che is tituiva l’addizionale della quale si controverte è stata ormai e in via definitiva espunta dal nostro ordinamento, mercé la già menzionata pronunzia di accoglimento della Corte costituzionale.
Di talché, l’addizionale stessa va qualificata di per ciò solo indebita e indebita è la sua percezione, a prescindere da ogni pregressa discussione sulla natura del tributo.
Tanto premesso, dunque, risulta destituita di alcun fondamento normativo, oltre che teorico, e quindi ormai del tutto inutile, la sollecitazione dell’odierna ricorrente, la quale, postulata la non autonomia dell’addizionale all’accisa, ricondotta a mera porzione dell’ammontare ( quantum ) del tributo principale (l’accisa medesima), fa questione della inutilità dell’interrogativo se tale imposta debba o meno rispondere ad una specifica finalità, asserendo che la questione si porrebbe esclusivamente per le imposte autonome.
11.2.2. Per le esposte ragioni, alcun motivo conduce alla anelata cassazione della gravata sentenza, della quale, tuttavia,
occorre emendare la motivazione, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ.
La conferma della pronuncia di prime cure in punto di condanna del fornitore di energia elettrica alla ripetizione degli importi versati dal consumatore finale, a titolo di rivalsa, per l’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica va, in conclusione, rapportata ora alla dirimente considerazione della sopravvenuta caducazione, con effetti sostanzialmente ex tunc , della norma che aveva legittimato la percezione dell’addizionale all’accisa da parte del fornitore di energia elettrica nei confront i dell’utente finale, a titolo di rivalsa (art. 6, commi 1, lett. c), e 2, d.l. n. 511 del 1988), ad opera della sentenza n. 43 del 15 aprile 2025 della Corte costituzionale.
11.3. Non rileva in questa sede, per essere la controversia circoscritta ai rapporti tra ‘ solvens ‘ e ‘ accipiens ‘ di una prestazione divenuta indebita in forza della sopravvenuta caducazione della norma che la legittimava, alcuna ulteriore questione sull’esclusività o meno della legittimazione passiva dell’azione di ripetizione, né, quindi, sull’individuazione delle ricadute ermeneutiche della recente sentenza della Corte di giustizia, resa in data 11 aprile 2024, in causa C-316/22.
Né rileva alcuna ulteriore questione – neppure sotto il profilo della nuova rimessione alla Corte di Lussemburgo per ulteriori dubbi – sulla conformità o meno al diritto eurounitario della normativa che aveva istituito il tributo, atteso che la caducazione ‘ ex tunc ‘ di quella stessa normativa, provocata dalla pronuncia della Corte costituzionale, ha determinato il venir meno dell’oggetto stesso di quei dubbi.
11.4. Ai sensi dell’art. 384, primo comma, c.p.c., essendo stato il ricorso esaminato e deciso ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., la Corte enuncia il principio di diritto che segue:
« In tema di rimborso dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, il consumatore finale, che ha corrisposto al fornitore di energia, a titolo di rivalsa, tale imposta, poi dichiarata in contrasto con il diritto eurounitario, può agire nei confronti del detto fornitore mediante l’azione di ripetizione di indebito oggettivo ex art. 2033 cod. civ., in considerazione del carattere indebito di tale imposta, stante la illegittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1, lett. c), e 2, d.l. n. 511 del 1988, come convertito e sostituito » .
Le spese del presente giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti, per essere state definite le questioni trattate, in via dirimente, solo in forza di pronuncia di illegittimità costituzionale sopravvenuta in corso di causa.
A carico della ricorrente, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso, compensando integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, al competente ufficio
di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito della camera di consiglio della