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Ricorso inammissibile: quando l’appello è un abuso

Un contribuente ha presentato un ricorso per cassazione eccessivamente lungo (73 pagine e 48 motivi) e confuso contro una decisione sulla compensazione delle spese legali. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, sanzionando il ricorrente per abuso dello strumento processuale, a causa della violazione dei principi di chiarezza e sinteticità richiesti dalla legge.

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Ricorso inammissibile: la Cassazione sanziona l’abuso del processo

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16934/2024, ha ribadito un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: la chiarezza, la sinteticità e la precisione non sono semplici optional stilistici, ma requisiti cogenti per chi si rivolge alla giustizia. La pronuncia in esame ha dichiarato un ricorso inammissibile non solo per la sua prolissità, ma anche per la sua confusione, condannando il ricorrente per abuso dello strumento processuale. Questa decisione offre spunti cruciali su come redigere correttamente un atto di impugnazione e sulle gravi conseguenze di un approccio contrario.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da una controversia tributaria. Un contribuente si opponeva a una cartella di pagamento. Durante il giudizio di primo grado, l’oggetto del contendere veniva meno, portando il giudice a dichiarare l’estinzione del processo. Tuttavia, il giudice decideva di compensare le spese legali tra le parti, ovvero di stabilire che ciascuna parte si facesse carico delle proprie.

Il contribuente, insoddisfatto di questa decisione sulle spese, proponeva appello, che veniva però respinto. Non pago, decideva di portare la questione fino in Cassazione, presentando un ricorso mastodontico: ben 48 motivi di impugnazione sviluppati in 73 pagine. L’oggetto del contendere, si ricorda, era unicamente la decisione sulla compensazione delle spese del primo grado di giudizio.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha stroncato sul nascere le pretese del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile in toto. La decisione si fonda su una pluralità di ragioni, tutte riconducibili a una violazione sistematica delle norme che regolano il giudizio di legittimità. I giudici hanno evidenziato come l’atto fosse un esempio di come non si debba redigere un ricorso: ripetitivo, disorganico e confuso, al punto da rendere quasi impossibile per la Corte isolare le questioni giuridiche rilevanti.

Oltre a dichiarare l’inammissibilità, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e, fatto ancora più significativo, al versamento di un’ulteriore somma ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., per aver agito in giudizio con mala fede o colpa grave, configurando un vero e proprio abuso del processo.

Le Motivazioni: Il Principio di Chiarezza e il Divieto di Abuso

Le motivazioni della Corte sono un vero e proprio manuale sui doveri del difensore nel redigere un atto di impugnazione.

La Violazione dei Requisiti Formali del Ricorso

Il primo punto critico sollevato dalla Corte riguarda la violazione dell’art. 366 del codice di procedura civile. La norma impone che il ricorso contenga un’esposizione sommaria dei fatti e motivi chiari e specifici. Nel caso di specie, il ricorso inammissibile mescolava in modo disordinato diverse censure, sovrapponendo vizi procedurali a critiche di merito, rendendo l’esposizione caotica. La Corte ha sottolineato che non è suo compito “ricostruire, selezionare e riorganizzare” le censure per dare loro un senso giuridico. Il ricorso deve essere “autosufficiente” e presentare le questioni in modo chiaro e diretto.

L’Abuso dello Strumento Processuale

La Corte ha qualificato il comportamento del ricorrente come un palese “abuso dello strumento processuale”. Presentare un ricorso di 73 pagine per contestare la sola compensazione delle spese di primo grado è stato ritenuto sproporzionato e non coerente con le reali esigenze della controversia. Questo comportamento non solo appesantisce inutilmente il lavoro della Corte, distogliendola da casi più meritevoli, ma viola anche il principio di lealtà processuale sancito dall’art. 88 c.p.c. Per questo motivo, oltre alla condanna alle spese, è stata applicata la sanzione prevista dall’art. 96 c.p.c., quantificata in una somma pari al doppio delle spese di lite liquidate.

L’Insindacabilità della Compensazione delle Spese

Infine, nel merito della questione originaria, la Corte ha ricordato che la decisione di compensare le spese è un potere discrezionale del giudice di merito. Tale decisione può essere contestata in Cassazione solo se la motivazione è totalmente assente, palesemente illogica o contraddittoria, circostanze non riscontrate nel caso in esame. La pretesa del ricorrente di ottenere un nuovo esame del merito era, quindi, di per sé inammissibile.

Conclusioni

La sentenza n. 16934/2024 è un monito severo per tutti gli operatori del diritto. La redazione di un atto giudiziario, specialmente un ricorso per cassazione, richiede rigore, sintesi e chiarezza. L’abuso degli strumenti processuali attraverso atti prolissi e confusi non solo porta a una declaratoria di ricorso inammissibile, ma può avere conseguenze economiche molto pesanti per la parte. La giustizia, ci ricorda la Corte, è una risorsa preziosa e il suo corretto funzionamento dipende anche dal comportamento responsabile di chi la invoca.

Quando un ricorso per cassazione può essere dichiarato inammissibile per motivi formali?
Un ricorso può essere dichiarato inammissibile se non rispetta i requisiti di chiarezza, sinteticità e specificità imposti dall’art. 366 c.p.c. Ad esempio, quando è eccessivamente lungo e prolisso rispetto alla questione trattata, mescola confusamente diversi motivi di impugnazione o non espone in modo chiaro i fatti e le censure.

Cosa si intende per ‘abuso del processo’ e quali sono le conseguenze?
Si ha ‘abuso del processo’ quando una parte utilizza gli strumenti processuali in modo distorto e sproporzionato, non per tutelare un diritto ma per finalità dilatorie o per gravare inutilmente sul sistema giudiziario. Le conseguenze, come stabilito in questa sentenza, includono la condanna al pagamento delle spese legali e un’ulteriore sanzione economica ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c.

È possibile contestare in Cassazione la decisione del giudice sulla compensazione delle spese legali?
In linea di principio, no. La decisione sulla compensazione delle spese rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Può essere contestata in Cassazione solo in casi eccezionali, ad esempio se la motivazione è completamente assente, palesemente illogica o contraddittoria, ma non per ottenere un semplice riesame della valutazione di opportunità fatta dal giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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