Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15990 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15990 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/06/2025
Oggetto:
Revocazione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8750/2020 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME -ricorrente –
Contro
Comune di Pomezia;
-intimato – avverso la sentenza della Corte di Cassazione n. 21080/2019 depositata il 7 agosto 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31 gennaio 2025 svolta dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia ha ad oggetto la revocazione della sentenza in epigrafe indicata con la quale il Giudice di legittimità ha rigettato il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi ricorrente) e rigettato il ricorso proposto dal Comune di Pomezia (d’ora in poi intimato).
La vicenda trae origine dall’impugnazione di tre avvisi di accertamento in rettifica relativi agli anni 2008, 2009 e 2010 per insufficiente versamento e, per l’anno 2008, anche per tardivo versamento dell’Ici dovuta per un complesso immobiliare sito in Torvajanica.
La CTP aveva ritenuto che gli immobili ricadessero nell’ambito della disciplina delle cd zone bianche, ma che comunque fossero da considerare edificabili indipendentemente dall’adozione di strumenti attuativi, mentre accoglieva, poi le doglianze riguardanti la determinazione dell’esatto loro valore.
La CTR, pronunciandosi sugli appelli proposti da entrambe le parti, riteneva i terreni di natura edificabile e rideterminava il loro valore venale facendo riferimento a quello stimato dall’Agenzia del Territorio. La sentenza di questa Corte, oggi impugnata, ha deciso rigettando il ricorso dell’odierna ricorrente e fondando la propria decisione su ragioni che verranno esplicitate nella parte motiva della presente decisione. La ricorrente propone ricorso, fondato su un unico motivo e deposita memoria, il controricorrente si è costituito proponendo controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo di impugnazione la ricorrente chiede la revocazione della sentenza, denunciando l’errore di percezione dei due motivi di ricorso per cassazione, in quanto, a suo avviso, non c’è alcuna relazione tra la domanda processuale e la decisione impugnata.
2.1. Con il primo motivo del ricorso per cassazione la ricorrente aveva denunciato , in relazione all’art. 360 , n. 3, c.p.c., la
violazione o falsa applicazione dell’art. 2, del d.lgs. n. 504 del 1992. Censurava la sentenza di secondo grado nella parte in cui, pur riconoscendo che il piano particolareggiato non era stato adottato nel quinquennio, non aveva ritenuto decadute le disposizioni del PRG che prevedevano l’inserimento dei terreni e dei beni oggetto del giudizio nelle aree della zona M1. Contestava l’affermazione della sentenza secondo cui sui beni in questione sussistesse, comunque, un indice di edificabilità, sia pure ridottissimo, collegato alla natura di zona bianca dell’area , che non faceva venire meno la qualifica di area fabbricabile del terreno.
Denunciava la violazione della norma invocata, in quanto i giudici di appello: avevano escluso l’edificabilità di diritto, per assenza dello strumento urbanistico generale; avevano altresì escluso l’edificabilità di fatto , non considerando neanche la documentazione (approvazione di un progetto di opera pubblica) da cui emergeva che lo stesso Comune aveva qualificato, come non edificabili, terreni adiacenti a quelli oggetto del giudizio, riportati nel medesimo foglio catastale e inclusi anch ‘ essi nella zona M1; avevano erroneamente ritenuto sussistente l’edific abilità sul presupposto che i terreni e le relative costruzioni fossero disciplinati dall’art. 9 del d.P.R. n. 380 del 2001 .
2.2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. aveva denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 quaterdecies , comma 16, del d.l. n. 203 del 2005, convertito con modificazione dalla l.n. 248 del 2005. Si censurava la parte di sentenza che richiamava erroneamente la normativa ora riportata, in quanto non applicabile al caso in esame. Tali disposizioni
presupponevano la vigenza delle previsioni dello strumento urbanistico generale che, nel caso di specie, erano decadute.
2.3. In relazione a tali motivi, la sentenza di cui oggi si chiede la revocazione ha così motivato: « Va premesso che “In tema di ICI, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 11- quaterdecies, comma 16, del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e dell’art. 36, comma 2, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica dell’art. 2, comma 1, lettera b), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, l’ edificabilità di un’ area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi. La natura edificabile non viene meno, trattandosi di evenienze incidenti sulla sola determinazione del valore venale dell’ area, né per le ridotte dimensioni e/o la particolare conformazione del lotto, che non incidono su tale qualità (salvo che siano espressamente considerate da detti strumenti attributive della stessa), essendo sempre possibile l’accorpamento con fondi vicini della medesima zona, ovvero l’asservimento urbanistico a fondo contiguo avente identica destinazione, né a seguito di decadenza del vincolo preordinato alla realizzazione dell’opera pubblica, da cui deriva non una situazione di totale inedificabilità, ma l’applicazione della disciplina delle c.d. ” zone bianche” (nella specie quella di cui all’art. 4, ultimo comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10, applicabile “ratione temporis”), che, ferma restando
l’utilizzabilità economica del fondo, in primo luogo a fini agricoli, configura pur sempre, anche se a titolo provvisorio, un limitato indice di edificabilità. (Cass., Sez. 5, n. 25676/2008). Per quanto attiene alle c.d. zone bianche, il legislatore, nell’art. 9 t.u. edilizia prende in esame, come precisato, l’ipotesi di assenza di ogni pianificazione urbanistica, fattispecie che deve però potersi ritenere assimilabile all’ipotesi di caducazione totale delle previsioni del piano regolatore generale, e a fronte della quale la P.A. è comunque tenuta ad istruire tutte le procedure legali per addivenire alla formulazione di nuove previsioni fondamentali per l’assetto, il controllo e il governo del territorio, ai sensi della legge urbanistica n. 1150/42. Ma nelle more dello svolgimento di tali procedure è ben possibile che si apra una fase per così dire “transitoria”, in cui le aree risultanti prive di specifiche previsioni, ad esse relative, vengono definite, con gergo tecnico, “zone bianche” (espressione convenzionale usata in passato, erroneamente, per indicare le zone agricole, e che deve invece indicare le zone “non pianificate”). In assenza di una qualsiasi destinazione di “piano”, perché caducata e quindi come se mai fosse esistita, e quindi anche in mancanza di ultrattività delle stesse norme tecniche di attuazione del PRG, non si può argomentare con certezza per la natura “agricola” dell’area ricadente in una “zona bianca”. Pertanto, correttamente la CTR ha ritenuto la natura edificabile di tali aree pur riconoscendo loro un ridotto indice di edificabilità».
2.4. Deve innanzitutto escludersi che non vi sia traccia del reale contenuto dei motivi di ricorso. La motivazione, sia pure in modo sintetico, ha dato conto, non solo dei motivi, così come enunciati in ricorso, ma anche del loro contenuto. In relazione al primo ha chiarito, infatti, come «parte ricorrente deduceva che, benché la
CTR avesse affermato che il terreno di proprietà Nash fosse incluso in una c.d. zona bianca, lo aveva tuttavia qualificato a fini impositivi come fabbricabile così considerando come base imponibile il valore venale e non vagliando neanche la dedotta questione della edificabilità di fatto».
In relazione al secondo motivo ha esposto come «parte ricorrente deduceva che l’art. 11 quaterdecies citato è una norma implicitamente abrogata prima dell’adozione degli avvisi di accertamento per cui è processo, essendo stato sostituito dall’art. 36 comma 2, del decreto legge n. 223 del 2006 peraltro non applicabile alla vicenda di causa».
La parte in fatto, è da ritenersi, pertanto, sviluppata in modo tale da dare esattamente conto delle doglianze sollevate dalla ricorrente.
Per quanto riguarda, poi, le ragioni della decisione, la sentenza, come si evince dal testo sopra riportato per esteso ha fornito una motivazione, peraltro allineata a un risalente orientamento giurisprudenziale (Cass., Sez. 5, n. 25676/2008, Rv. 605170 -01), secondo cui l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi.
La sentenza ha poi affermato che l’ipotesi delle cd zone bianche , prese in esame dal l’art. 9 del d.p.r. , n. 380 del 2001, riguardanti i casi di assenza di ogni pianificazione urbanistica, è una fattispecie da «ritenere assimilabile all’ipotesi di caducazione totale delle previsioni del piano regolatore generale», a fronte
della quale la P.A. è tenuta a formulare nuove previsioni fondamentali per l’assetto del territorio.
La sentenza ha, inoltre, precisato che, nelle more di tali procedure, le zone prive di specifiche previsioni vengono definite in gergo tecnico zone bianche (nel senso di non pianificate).
Essa, si riporta nuovamente, ha affermato: « In assenza di una qualsiasi destinazione di “piano”, perché caducata e quindi come se mai fosse esistita, e quindi anche in mancanza di ultrattività delle stesse norme tecniche di attuazione del PRG, non si può argomentare con certezza per la natura “agricola” dell’area ricadente in una “zona bianca”. Pertanto, correttamente la CTR ha ritenuto la natura edificabile di tali aree pur riconoscendo loro un ridotto indice di edificabilità».
La costruzione logico giuridica espressa nella sentenza impugnata, lungi dall’essere, dunque , scollegata dai motivi di impugnazione, li affronta e li supera effettuando un’equiparazione della fattispecie dei terreni per i quali non vi sia una previsione di strumento urbanistico generale a quella in cui detto strumento sia caducato. Come logica conseguenza ha ritenuto corretta la sentenza di appello impugnata che ha provveduto alla rideterminazione del valore sulla base di un ridotto indice di edificabilità.
2.5. Deve, infine, essere smentita l’affermazione contenuta in ricorso circa l’omessa risposta alla domanda processuale contenuta nel secondo motivo di ricorso. La sentenza, infatti, nel trattare congiuntamente i motivi e richiamando le disposizioni di interpretazione autentica, ha effettuato l’equiparazione tra l’ipotesi delle cd zone bianche, ovvero non contemplate in alcun piano regolatore, e quelle di aree in cui il piano regolatore generale è caducato. Con ciò ha fornito una risposta giuridica
coerente con i motivi di impugnazione sollevati, rendendo evidente che gli stessi erano stati ben compresi e chiarendo le ragioni per cui li ha ritenuti infondati.
Si ricorda, infine, che l’istanza di revocazione implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395, primo comma, n. 4, c.p.c., il quale consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato.
L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio (tra le tante: Cass., Sez. 5, n. 9802/2023; Sez. 6 – 1, n. 2236/2022, Rv. 663756 -01; Sez. 65, n. 5387/2022; Sez. 5, n. 22994/2021; Sez. 5, n. 29042/2021; Sez. 5, n. 27131/2020, Rv. 659719 – 01; Sez. 5, n. 26890/2019, Rv. 655451 – 01; ma già Sez. 3, n. 13915/2005, Rv. 582707 -01; Sez. U, n. 9882/2001, Rv. 548338 -01).
E’ , quindi, esperibile, ai sensi degli artt. 391bis e 395, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità per omessa pronuncia su uno o più motivi di ricorso e, ai fini della valutazione di sussistenza o meno di tale vizio, deve aversi riguardo al “capo” della domanda riproposta all’esame del giudice dell’impugnazione, escludendosi il vizio suddetto quante volte la pronunzia su di esso vi sia effettivamente stata, sia pure con
motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio (tra le tante: Cass., Sez. 6 – 3, n. 3760/2018, Rv. 647695 – 01; Cass. Sez. U., n. 31032/2019, Rv. 656234 – 01; Sez. 5, n. 13989/2021; Sez. 5, n. 22193/2023).
Nel caso in esame per le ragioni sopra esposte è da escludere il lamentato errore di percezione del fatto processuale, consistente nella mancata percezione del reale contenuto dei motivi di impugnazione.
Con la doglianza in esame la ricorrente sembra volere surrettiziamente indurre il Collegio ad una valutazione sulle conclusioni giuridiche cui è pervenuta la sentenza impugnata, vaglio del tutto precluso in questa sede dall’ordinamento.
Dall’accertata assenza dell’errore revocatorio deriva l’inammissibilità del ricorso.
L’istanza di revocazione per sopravvenuto giudicato, proposta con la memoria, non può trovare accoglimento.
Il presente ricorso per revocazione non è stato proposto per conflitto tra giudicati. Da ciò consegue che, se il ricorso per revocazione è ab origine inammissibile nemmeno può tenersi conto del giudicato sopravvenuto.
Sotto un diverso profilo si osserva che, nella presente fattispecie, la sentenza su cui si è pronunciata l’ordinanza oggetto del presente giudizio di revocazione (CTR Lazio n. 1425/2016) è stata depositata il 17 marzo 2016.
L’ordinanza della SRAGIONE_SOCIALE. oggi impugnata è stata depositata il 7 agosto 2019.
Nel corso del presente giudizio per revocazione, fondato sulla doglianza relativa all’omesso esame di motivi di ricorso, la ricorrente produce una decisione intervenuta tra le stesse parti avente ad oggetto il medesimo tributo, ma per annualità successive, passata in cosa giudicata il 9 gennaio 2023 (CTR Lazio n. 2695/2022, depositata il 9 giugno 2022; non essendo stata mai notificata, si assume che su di essa si è formato il giudicato nel giorno sopra indicato).
La ricorrente chiede l’accoglimento del ricorso e la riforma della pronuncia di secondo grado, invocando il giudicato esterno.
Si ricorda che il giudicato esterno non è deducibile per la prima volta nel giudizio di legittimità, pur se i fatti posti a fondamento della relativa eccezione siano sopravvenuti in pendenza di detto giudizio, salva restando, in tal caso, l’esperibilità de l rimedio della revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 5, cod. proc. civ. (Sez. U, n. 31032/2019, Rv. 656234 -01).
Per valutare la domanda di revocazione, introdotta con la memoria fondata sull’esistenza di un giudicato esterno , sarebbe necessaria una qualificazione del ricorso, ai sensi dell’art. 395, n. 5, c.p.c., la quale, tuttavia, non potrebbe comunque condurre all’accoglimento della domanda.
La disposizione da ultimo richiamata, infatti, ammette la revocazione per le ipotesi in cui «la sentenza (impugnata) è contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione».
Se è ammissibile, dunque, nel nostro ordinamento la revocazione di una pronuncia nell’ipotesi di giudicato formatosi in data antecedente a quella della pronuncia impugnata, essa non è, viceversa, consentita nel caso di giudicato esterno sopravvenuto,
pena la totale compressione del principio di certezza dei rapporti giuridici, posto alla base dell’istituto del giudicato.
L’ipotesi di revocazione della pronuncia, contraria a quella impugnata, presuppone che la sentenza, rispetto alla quale quella impugnata con revocazione si pone in contrasto, sia passata in giudicato prima della pronuncia della sentenza impugnata (in tal senso già Cass. Sez. 5, n. 16014 del 2009).
Non essendo, quindi, ammessa la revocazione per contrasto con una pronuncia intervenuta successivamente, l’istanza di revocazione introdotta nel corso del presente giudizio è inammissibile.
In conclusione, si rileva anche che l’inammissibilità della revocazione delle decisioni della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 395 n. 5 c.p.c. non si pone in contrasto, né con i principi di cui agli artt. 3, 24 e 111 Cost., né con il diritto dell’Unione europea, non recando alcun vulnus al principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti, atteso che la stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia riconosce l’importanza del principio della cosa giudicata, rimettendone la concreta attuazione all’autonomia processuale dei singoli Stati membri (Cass., Sez. 5, n. 8630 del 2019, Rv. 653530 – 01).
Da quanto esposto segue l’inammissibilità del ricorso.
Nulla sulle spese, stante la mancata costituzione del comune intimato.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso il 31 gennaio 2025.