Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11004 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11004 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ICI INGIUNZIONE PAGAMENTO RAGIONE_SOCIALE SOCIETA ‘ CANCELLATA ART. 2495 C.C.
sul ricorso iscritto al n. 30182/2020 del ruolo generale, proposto
DA
RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE, in persona dell’Amministratore unico e legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME rappresentata e difesa, in ragione di procura speciale e nomina poste in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE.
– RICORRENTE –
CONTRO
il COMUNE DI SANTARCANGELO DI ROMAGNA (codice fiscale CODICE_FISCALE), in persona del Sindaco pro tempore, NOME COGNOME rappresentato e difeso, in forza di procure speciali e nomine poste in calce al controricorso, dagli avv.ti NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE).
per la cassazione della sentenza n. 518/13/2020 della Commissione tributaria regionale dell’Emilia -Romagna, depositata il 20 febbraio 2020.
UDITA la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio celebratasi in data 5 dicembre 2024.
FATTI DI CAUSA
Oggetto di controversia è l’ingiunzione di pagamento in atti con cui la RAGIONE_SOCIALE -società concessionaria dell’attività di riscossione del Comune di Santarcangelo di Romagna -chiedeva ad RAGIONE_SOCIALE socia (al 52%) della cancellata società RAGIONE_SOCIALE il versamento della somma di 7.818,16 €, dovuta da tale ultima società a titolo di ICI relativamente agli anni di imposta 2007/2010.
La suindicata Commissione regionale accoglieva l’appello proposto dal Comune e, in riforma della sentenza impugnata della Commissione tributaria provinciale di Rimini (n. 102/2/2017), dichiarava la legittimità della suindicata ingiunzione di pagamento.
Nello specifico, il Giudice regionale premetteva che gli avvisi di accertamento presupposti erano stati notificati alla società RAGIONE_SOCIALE in data 25 novembre 2013, prima della cancellazione della società dal registro delle imprese, avvenuta il 19 dicembre 2013, e non erano stati impugnati, divenendo così definitivi.
La Commissione dava atto che innanzi al giudice di primo grado RAGIONE_SOCIALE aveva proposto un unico motivo di impugnazione avverso l’ingiunzione di pagamento oggetto di controversia, assumendo che i soci di una società di capitale non sono responsabili dei debiti della società, mentre la difesa del
Comune aveva eccepito la carenza di legittimazione passiva in ragione della definitività degli avvisi di accertamento e del fatto che l’ingiunzione non era stata contestata per vizi propri della stessa.
Il Giudice distrettuale riteneva, quindi, che non costituisse motivo nuovo l’eccezione proposta dal Comune appellante avente ad oggetto l’infondatezza della sentenza impugnata, comprovata, in sede di appello, dalla prova documentale del riparto tra i soci dell’attivo liquidato dalla società. E ciò perché il primo Giudice non si era pronunciato sull’eccezione formulata dall’ente territoriale circa il difetto di legittimazione passiva del Comune, avendo, invece, accolto il ricorso in ragione della mancata dimostrazione della percezione di somme da parte della contribuente all’esito della liquidazione della società partecipata, ai sensi dell’art. 2495 c.c. e 36 d.P.R. n. 602/1973, e quindi per un motivo diverso da quello proposto dalla ricorrente.
Per tale via, la Commissione regionale considerava legittima l’ingiunzione di pagamento impugnata emessa a carico dei soci della società cessata, affermando sul punto che i soci della cessata società sono tenuti a rispondere dei debiti societari in base alle menzionate disposizioni e che, dunque, il Comune non aveva legittimazione passiva, stante la definitività degli avvisi ed il fatto che l’ingiunzione poteva essere impugnata nei confronti della RAGIONE_SOCIALE solo per vizi propri della stessa.
Il Giudice regionale reputava che la «La ritenuta inammissibilità del ricorso introduttivo è assorbente rispetto alla questione della fondatezza della sentenza impugnata nella parte in cui vi si afferma che sussiste in capo ai soci di una società di capitali cessata la responsabilità per i debiti societari solo a condizione che gli stessi soci abbiano percepito somme in sede di liquidazione». Nondimeno ed «In ogni caso » rilevava « che tale assunto appare in contrasto con la giurisprudenza di legittimità già sopra menzionata,
secondo cui la suddetta responsabilità sussiste indipendentemente dalla riscossione dell’attivo residuo (Sez. 5, Sentenza n. 9094 del 07 /04/2017; Sez. 6, Sentenza n. 9672 del 19/04/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 17243 del 02/07/2018)».
Ed aggiungeva che « la liquidazione (volontaria) di RAGIONE_SOCIALE si è chiusa in attivo (nonostante la dichiarazione del liquidatore NOME sulla insussistenza di debiti) e che ai soci sono stati destinati i beni residui, come dimostrato dai documenti prodotti dal Comune» (così a pagina n. 7 della sentenza impugnata).
Avverso tale pronuncia RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione, notificato -nel rispetto del termine di sospensione di cui agli artt. 83 d.l. n. 83/2020 e 36 d.l. n. 23/2020 -in data 19 novembre 2020, sulla base di tre motivi, successivamente illustrati con memoria ex art. 380bis 1., c.p.c. depositata in data 25 novembre 2024.
Il Comune di Santarcangelo di Romagna resisteva con controricorso notificato il 29 dicembre 2020.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE ha dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la «violazione o falsa applicazione degli artt. 10 e 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, con riferimento alla declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo per carenza di legittimazione passiva in capo al Comune di Santarcangelo di Romagna, sul presupposto che i quattro avvisi di accertamento in materia di ICI notificati alla RAGIONE_SOCIALE erano divenuti definitivi e, conseguentemente, che l’ingiunzione di pagamento n. 639 prot. n. NUMERO_DOCUMENTO emessa dalla RAGIONE_SOCIALE nella qualità di Concessionario per la
riscossione del predetto Comune nei confronti della RAGIONE_SOCIALE poteva essere impugnata solo per vizi propri e nei soli confronti del medesimo Concessionario» (v. pagine nn. 7 ed 8 del ricorso).
L’istante ha precisato che « l’ingiunzione di pagamento impugnata fondata sui quattro avvisi di accertamento divenuti definitivi nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (società di capitali) era stata notificata alla RAGIONE_SOCIALE -socia della predetta RAGIONE_SOCIALE, che era stata cancellata dal Registro delle imprese in pendenza del termine per l’impugnazione -sull’unico presupposto che la società ingiunta sarebbe stata tenuta al pagamento dei debiti sociali contratti dalla società di capitali estinta in quanto socio illimitatamente responsabile» (v. pagina n. 9 del ricorso) e che oggetto del contendere, sulla base dell’unico motivo di impugnazione proposto, era se la pretesa fiscale, per quanto definitiva, potesse essere azionata nei confronti del socio della società di capitale estinta.
La ricorrente ha, quindi, asserito che le sentenze rese dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (nn. 6070, 6071 e 672 del 2013) erano state erroneamente poste a sostegno della decisione, in quanto le stesse avevano stabilito il diverso principio secondo cui, dopo la cancellazione della società si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate , essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali.
Soprattutto, la società ha contestato la decisione impugnata circa il difetto di legittimazione passiva del Comune, opponendo che «L’unico motivo di impugnazione proposto dalla società ricorrente investiva l’essenza stessa del diritto (di credito) fatto valere nei
suoi confronti attraverso l’ingiunzione di pagamento; diritto che era stato azionato sull’errato presupposto che la RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata obbligata al pagamento delle somme intimate in quanto socio illimitatamente responsabile di una società di capitali estinta» (v. pagine nn. 11 e 12 del ricorso), in palese violazione del regime patrimoniale di responsabilità delle società di capitali di cui all’art. 2462 c.c.
Con la conseguenza -ha proseguito la contribuente – che, essendosi con il ricorso contestato il presupposto giuridico su cui si fondava la pretesa, basato sulla ritenuta responsabilità illimitata del debito sociale di una società cancellata anche del socio di società di capitale, l’unico soggetto parte del processo tributario, ai sensi dell’art. 10 d.lgs. n. 546/1992 non poteva che essere il Comune, titolare del credito.
Con la seconda censura la contribuente ha eccepito, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2462 c.c. in relazione alla responsabilità patrimoniale del socio di società a responsabilità limitata, nonché dell’art. 2495, comma 2, c.c., nella parte in cui il Giudice del gravame ha ritenuto che la successione del socio nelle obbligazioni della società di capitali estinta operi a prescindere dalle somme effettivamente riscosse dal successore con il bilancio finale di liquidazione» (v. pagina n. 14 del ricorso).
Tutto ciò, evidenziando la sussistenza di una responsabilità circoscritta della società a responsabilità limitata (e, quindi, anche del socio nell’ambito del conferimento effettuato), ai sensi dell’art. 2462 c.c., nonché, in base all’art. 2495, comma 2, c.c., la ricorrenza della responsabilità del socio per i debiti della società estinta nei riguardi del creditore sociale soltanto sino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio di
liquidazione, con onere della prova di tale ultima circostanza a carico del creditore.
Con la terza doglianza, la società ha lamentato, con riguardo al parametro di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 57 e 58 d.lgs. n. 546/1992, « nella parte in cui la Commissione distrettuale ha ritenuto ammissibili le domande nuove e i motivi nuovi, rispetto a quelli dedotti in seno all’ingiunzione di pagamento oggetto di processo, formulati per la prima volta in sede di appello dal Comune di Santarcangelo di Romagna e la documentazione depositata a supporto delle domande e dei motivi nuovi» (v. pagina n. 19 del ricorso).
Sul punto, la ricorrente ha sottolineato che la pretesa fiscale si fondava sul presupposto (erroneo) dell’illimitata responsabilità dell’istante per i debiti della società cancellata e che il Comune – a fronte della decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso della contribuente non avendo l’ente territoriale provato la ricezione di somme da parte della società in sede di liquidazione – aveva in sede di appello proposto una nuova domanda, allegando il titolo della responsabilità, ai sensi dell’art. 2495 c.c., sulla circostanza della dedotta riscossione di somme da parte della società in esito alla liquidazione, così allargano il tema decisorio ed inammissibilmente producendo in appello documentazione a sostegno della nuova domanda avanzata.
L’esame dei motivi va svolto unitariamente in quanto connessi tra loro nelle dedotte violazioni di legge a fronte di circostanze fattuali pacifiche.
Come dedotto dalla ricorrente e riportato nel ricorso, l’ingiunzione di pagamento aveva rivolto la pretesa in oggetto nei confronti della contribuente (come detto, socia della cancellata
società RAGIONE_SOCIALE nei riguardi della quale erano stati emessi e notificati i presupposti avvisi di accertamento, non impugnati) sul rilievo che «Essendo la società cancellata dal registro delle imprese ( RAGIONE_SOCIALE), e non potendo procedere alla riscossione del debito nei confronti della società sopra citata, come disposto dal Codice Civile, tenuti al pagamento dei debiti sociali sono i singoli soci illimitatamente responsabili» (v. nota n. 7 di pagina n. 9 del ricorso).
Nel ricorso originario la società chiedeva di «annullare totalmente l’Ingiunzione di Pagamento in oggetto, essendo nulla e/o comunque illegittima, in quanto assolutamente indebita è la richiesta di pagamento di un debito sociale, per asserita illimitata responsabilità, nei confronti di un socio di società di capitali che, per previsione di legge, è limitatamente responsabile» (v. nota 14 di pagina n. 13 del ricorso).
Come sopra esposto, la Commissione regionale, rovesciando la decisione del primo Giudice (che aveva accolto il ricorso nella ritenuta applicazione dell’art. 2495, comma 2, c.c. e considerando non dimostrata la ricezione di somme in esito alla liquidazione), ha reputato che, essendo divenuta definitiva la pretesa fiscale, in ragione della mancata impugnazione dei prodromici avvisi di accertamento, l’ingiunzione fiscale emessa dalla concessionaria « poteva essere impugnata solo per vizi propri e non anche per motivi attinenti gli atti definitivi da cui è scaturita» (così a pagina n. 6 della sentenza), per cui il ricorso proposto contro il Comune era stato diretto contro un soggetto non passivamente legittimato.
Ciò posto, vanno riepilogati i seguenti principi più volte affermati da questa Corte.
6.1. Innanzitutto, va ricordato che, qualora il contribuente impugni una cartella esattoriale emessa dal concessionario della
riscossione per motivi che non attengono a vizi della cartella medesima, il ricorso deve essere notificato all’ente impositore, quale titolare del credito oggetto di contestazione nel giudizio, essendo il concessionario un mero destinatario del pagamento, o più precisamente, mutuando lo schema civilistico dell’art. 1188 c.c., il soggetto incaricato dal creditore ed autorizzato a ricevere il pagamento (cosi Cass. n. 5062/2022, che richiama Cass. n. 8613/2011; Cass. n. 8295/2018; Cass. n. 19074/2020; Cass. n. 12511/2021).
6.2. Con riferimento alla regola posta dall’art. 2495, terzo comma, c.c. (a mente del quale, «Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi), questa Corte, a partire dalle pronunce delle Sezioni Unite del 2013 (nn. 6070, 6071 e 6072), ha affermato che:
il debito del quale, in situazioni di tal genere, possono essere chiamati a rispondere i soci della società cancellata dal registro non si configura come un debito nuovo, quasi traesse la propria origine dalla liquidazione sociale, ma s’identifica col medesimo debito che faceva capo alla società, conservando intatta la propria causa e la propria originaria natura giuridica (si veda, in argomento, Cass. n. 5113/2003 richiamata da Cass., Sez. U, n. 6070/2013);
l’estinzione della società di capitali conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese comporta, quindi, un fenomeno di tipo successorio (“connotato da caratteristiche sui generis , connesse al regime di responsabilità dei soci per i debiti sociali nelle differenti tipologie di società (Cass. Sez. Un., n. 6070/2013 cit.), che si caratterizza, da un lato, per il trasferimento
ai soci del medesimo debito che faceva capo alla società e, dall’altro lato, per la limitazione della responsabilità del socio a quanto ricevuto in sede di liquidazione;
l’estinzione della società non fa, tuttavia, venir meno i rapporti attivi e passivi di cui la stessa era titolare, ma comporta piuttosto una vicenda successoria (Cass. Sez. U, n. 6070/2013, cit.);
la regolazione dei rapporti passivi, in particolare, ruota attorno al coordinamento tra il principio di garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c. (in relazione ai beni rientranti nella titolarità dell’ente estinto) e le norme che scandiscono la responsabilità patrimoniale dei soci per i debiti della società. La circostanza che il socio di una società di capitali estinta risponda dei debiti di quest’ultima, nei limiti di quanto attribuito in sede di liquidazione, costituisce la proiezione della regola che vede il patrimonio sociale oggetto, in via prioritaria, della garanzia (generica) ex art. 2740 c.c. per i debiti sorti durante l’esercizio dell’attività economica che ha caratterizzato l’oggetto sociale e solo successivamente di un’attribuzione, in via residuale, ai soci in relazione alla partecipazione detenuta nella società estinta. È in tale prospettiva che il socio di una società di capitali risponde anche per le obbligazioni della società estinta rimaste inadempiute, comprese quelle relative alle sanzioni pecuniarie derivanti dalla violazione di norme tributarie, nei limiti di quanto attribuito nel bilancio di liquidazione;
tale regola è coerente, dal punto di vista sistematico, con la previsione dell’art. 36, terzo comma, d.P.R. n. 602/1973 (che estende la responsabilità dei soci per il pagamento delle imposte anche a quanto ricevuto negli ultimi due periodi di imposta antecedenti alla messa in liquidazione e non solamente ai beni o al denaro ricevuto durante quest’ultima);
il fenomeno successorio sui generis regolato nell’art. 2495, comma 3, c.c. (“che tale è anche se si vogliano rifiutare improprie suggestioni antropomorfiche derivanti dal possibile accostamento tra l’estinzione della società e la morte di una persona fisica “, v. Cass., Sez. U., n. 6070/2013) presenta, quindi, una contiguità di tipo linguistico e descrittivo più che di tipo sostanziale rispetto alla disciplina delle successioni regolate nel secondo libro del codice civile;
di conseguenza non può trovare applicazione l’art. 8 d.lgs. n. 472/1997 (“L’obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi.”) , non essendoci alcun margine per qualificare l’estinzione della società e la morte della persona fisica come “casi simili”, ai sensi e per gli effetti di quanto previsto nell’art. 12, secondo comma, preleggi, ai fini dell’interpretazione analogica (così, da ultimo, Cass. n. 23341/2024).
6.3. Come rammentato da Cass. n. 31933/2019, la giurisprudenza tributaria di questa Corte (Cass. n. 7676/2012; Cass. n. 7724/2018; Cass. n. 7236/2018; Cass. n. 23916/2016) ha precisato i riflessi di tale positiva regola sul versante probatorio, osservando che, se come risulta dal chiaro tenore testuale della norma, la responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali non assolte è limitata alla parte da ciascuno di essi conseguita nella distribuzione dell’attivo risultante dal bilancio di liquidazione della società, allora il creditore, il quale intenda agire nei confronti del socio, è tenuto a dimostrare il presupposto della responsabilità di quest’ultimo (vale a dire la sua legittimazione passiva), e cioè che, in concreto, in base al bilancio finale di liquidazione, vi sia stata la distribuzione dell’attivo risultante dal bilancio medesimo e che una quota di tale attivo sia stata da questi riscossa (Cass. n. 13259 / 2015).
Dunque, « poichè è attraverso la nominata vicenda successoria che il socio rimane obbligato nei confronti del creditore sociale, è quest’ultimo a dover provare che l’importo preteso sia di ammontare eguale o superiore a quello riscosso dal predetto in sede di liquidazione, sulla base del relativo bilancio. E’ evidente, infatti, che la percezione della quota dell’attivo sociale assurga a elemento della fattispecie costitutiva del diritto azionato dal creditore nei confronti del socio: sicché, in base alla regola generale posta dall’art. 2697 c.c., tale circostanza deve essere dimostrata da chi faccia valere il diritto in giudizio nel senso che grava sul creditore insoddisfatto l’onere della prova circa la distribuzione dell’attivo e circa la riscossione di una quota di esso da parte del socio” (Cass., Sez. I, 22/06/2017, n. 15474)» (così Cass. n. 31933/2019 cit.).
7. Gli illustrati principi regolano la presente decisione.
Intanto, osservando che con la contestazione posta a base dell’unico motivo del ricorso originario (lo si ripete, fondata sul rilievo secondo il quale « assolutamente indebita è la richiesta di pagamento di un debito sociale, per asserita illimitata responsabilità, nei confronti di un socio di società di capitali che, per previsione di legge, è limitatamente responsabile») non si articolavano questioni sulla regolarità o sulla validità degli atti della procedura di riscossione, essendosi richiesto al giudice l’accertamento dell’infondatezza della pretesa creditoria (cfr., su tale precisazione, Cass., Sez. Un., n. 7514/2022).
Sebbene sia stata l’ingiunzione di pagamento, predisposta dal concessionario, ad imputare il debito sociale della società cancellata al socio, resta il fatto che la contestazione ha riguardato il diritto del Comune (ente impositore) di poter ottenere il pagamento del predetto debito sociale dal socio ricorrente o -come evidenziato dalla ricorrente -« il presupposto giuridico -socio
illimitatamente responsabile di una società di capitali estinta -attraverso il quale viene chiesto di una somma che non è dovuta in radice » (v. pagina n. 13 del ricorso).
In tale prospettiva deve allora riconoscersi che la Commissione, nel negare la soggettività passiva del Comune e ritenere quindi il ricorso originario della contribuente inammissibile, abbia basato la decisione su elementi e considerazioni non pertinenti alla specificità della fattispecie in esame.
Il ragionamento operato dal Giudice regionale, infatti, ha puntualizzato l’attenzione sulla non controvertibilità dell’avviso presupposto e sulla possibilità di impugnare l’atto consequenziale (l’ingiunzione) solo per vizi propri e, dunque, nei confronti del solo concessionario che aveva emesso l’atto impugnato, omettendo, invece, di considerare la peculiarità della fattispecie in esame, vale a dire la particolare vicenda successoria derivata dalla cancellazione della società dal registro delle imprese e del diverso atteggiarsi della responsabilità del socio nei termini stabiliti dall’art. 2495, terzo comma, c.c.
Come correttamente osservato dalla difesa della ricorrente, non si discute dell’incontrovertibilità del debito della società, ma di come esso può essere fatto valere nei riguardi del socio di una sociale di capitali.
Alla luce di quanto precede valgono allora le seguenti riflessioni.
8. La pretesa avanzata con l’ingiunzione, basata – come detto sul rilievo dell’illimitata responsabilità dei soci, non ha giuridico fondamento, ponendosi in contrasto con la regola di cui all’art. 2495, terzo comma, c.c. e con quanto chiarito da questa Corte secondo cui «Qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società
estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate , essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali …. » (così Cass., Sez. U., n. 6070/2013).
Ha, dunque, errato il Giudice regionale nella parte in cui ha ritenuto, in termini assoluti, legittima l’ingiunzione impugnata, in quanto i soci della cessata società RAGIONE_SOCIALE « sono tenuti a rispondere dei debiti societari» (v. pagina n. 6 della sentenza).
La disciplina di cui all’art. 2495, terzo comma, c.c. delinea la specifica responsabilità del socio per debiti della società di capitale estinta, qualificata da propri elementi costituivi, il cui onere probatorio -per quanto sopra illustrato – grava sul creditore.
Ciò significa anche che la relativa domanda ha una sua specifica identità ed autonomia, non sovrapponibile a quella diretta -come nella specie -a rivendicare una responsabilità illimitata del socio, che non richiede le allegazioni e le prove richieste dell’art. 2492, terzo comma, c.c.
Consegue a tanto che, diversamente da quanto ritenuto dal Giudice regionale, la produzione in grado di appello della documentazione ritenuta comprovare la distribuzione di imprecisati «beni residui» (v. pagina n. 7 della sentenza), non doveva considerarsi ammissibile, né poteva essere utilizzata ai fini della decisione, siccome a posta a sostegno di una inammissibile domanda nuova (basata sulla coerente applicazione dei presupposti di cui all’art. 2495 c.c.) rispetto all’atto impugnato (fondato, al contrario, sulla illimitata responsabilità dei soci) che aveva definito e perimetrato il tema controverso.
Né detta produzione poteva considerarsi consentita in ragione della decisione del primo Giudice, basata -come più volte detto sulla regola dell’art. 2495, terzo comma, c.c., in quanto la citata pronuncia dava conto dell’illegittimità dell’ingiunzione, ma non giustificava la sua permanenza in forza di altre ragioni, non poste a base della sua adozione, anzi del tutto contrarie ad esse.
Alla luce delle osservazioni svolte deve, dunque, conclusivamente, ritenersi che il Comune sia stato correttamente identificato quale soggetto passivamente legittimato a contraddire sulla contestazione concernente la fondatezza della pretesa per come rappresentata alla contribuente.
La contribuente non è illimitatamente responsabile del debito sociale, come infondatamente ritenuto nell’ingiunzione impugnata.
Il Comune non poteva eccepire e documentare il rispetto delle condizioni di cui all’art. 2495, terzo comma, c.c., in quanto esso costituiva tema di indagine nuovo e diverso, contrario rispetto a quello che aveva integrato la ‘causa petendi’ ed il ‘ petitum ‘ dell’ingiunzione impugnata.
Per quanto sopra detto il ricorso va dunque accolto, il che comporta non solo la cassazione della sentenza impugnata, ma, non occorrendo accertamenti in fatto, anche la decisione della causa nel merito, accogliendo l’originario ricorso della contribuente ed annullando l’ingiunzione fiscale impugnata.
Compensate le spese del giudizio di merito, quelle di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente ed annulla l’ingiunzione fiscale impugnata.
Compensa le spese del giudizio di merito e condanna il Comune di Santarcangelo di Romagna al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida a favore di RAGIONE_SOCIALE nella misura di 3.000,00 € per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 dicembre 2024.