Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21554 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21554 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 24608/2021 proposto da:
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
PEC: EMAIL
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso , dall’Avv. NOME COGNOME (EMAIL.
–
contro
ricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della EMILIA ROMAGNA n. 295/2021, depositata in data 26 febbraio 2021, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’11 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della RAGIONE_SOCIALE (quale socio accomandante della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Donatella) avente ad oggetto l’atto di irrogazione di sanzioni n. THCOC20001143, emesso ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. n. 471 del 1997, per omesso versamento Irap, anni 2009 e 2010, ed omesso versamento Iva per l’anno 2009.
I giudici di secondo grado, in particolare, esaminando il motivo di appello con il quale era stato dedotto che l’Associazione comunque rispondeva per responsabilità solidale con la società in accomandita semplice e che, solo nella fase riscossiva sarebbe stata, poi, individuata l’entità della responsabilità ne i limiti della quota conferita ai sensi dell’art. 2313 c.c., lo hanno rigettato (ritenendo superfluo l’esame delle ulteriori doglianze ed eccezioni, per questo assorbite) affermando che: -) in capo alle società in accomandita semplice la pretesa impositiva doveva essere rivolta solamente alla società e al socio accomandatario, in quanto, anche nell’ambito dell’obbligazione tributaria, il socio accomandante rispondeva solamente per la quota conferita ex art. 2740, comma primo, c.c., quale porzione di capitale sociale, sicché poteva essere destinatario solamente di uno specifico atto limitato all’entità della medesima e, nel caso di specie, non risultava individuata
la quota conferita e l’Ufficio aveva proceduto illegittimamente in violazione dell’art. 2313 c.c.;
-) era ovvio e pacifico che nella formazione dell’obbligazione tributaria il quantum preteso doveva emergere dall’atto di natura accertativa o di irrogazione della sanzione e non nella fase riscossiva, deputata, alla mera esecuzione del pagamento del tributo e che poteva contenere solamente le ulteriori spese connesse alla riscossione e gli interessi di legge.
L’ Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi, cui resiste l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione de ll’art. 16 del d. lgs. n. 472 del 1997 e dell’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997, nonché degli artt. 2313, primo comma, c.c. e 2320 c.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. . La sentenza impugnata era errata in quanto l’atto di irrogazione delle sanzioni era stato contestato a tutti i soci obbligati per i debiti sociali ed era chiaro che rilevava la quota conferita dal socio accomandante, quale limitazione della sua responsabilità. Nel caso di soci amministratori il debito per le sanzioni irrogate era definibile come solidale sulla base di un comportamento colposo, consistendo tale colpa nell’omesso o insufficiente esercizio del potere di controllo sullo svolgimento degli affari sociali e di consultazione dei documenti contabili e del diritto ad ottenere il rendiconto dell’attività sociale, da cui scaturiva il diritto del socio a percepire gli utili.
Il secondo motivo deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. , in quanto la CTR non si era pronunciata sulla domanda con la quale era stato chiesto di dichiarare l’illegittimità dell’emissione degli atti nei
confronti del socio COGNOME essendosi gli accertamenti resisi ormai definitivi per mancata impugnazione nel merito della società RAGIONE_SOCIALE Né vi era stato un rigetto implicito sulla stessa perché la sentenza si era focalizzata sulla posizione del socio accomandante e non aveva alcuna connessione con il merito degli accertamenti posti in essere nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE
2.1 L’esame delle esposte censure porta al rigetto del primo motivo e alla conseguente inammissibilità del secondo motivo per carenza di interesse.
2.2 In proposito, è sufficiente ricordare che secondo l’orientamento di questa Corte, nella società in accomandita semplice, il socio accomandante è privo di legittimazione -sia attiva che passiva rispetto alle obbligazioni tributarie riferibili alla società, salvo le deroghe alla regola di cui all’art. 2313 c.c., il quale, nel limitare la responsabilità dell’accomandante per le obbligazioni sociali alla quota conferita, non autorizza i creditori sociali, incluso l’ Erario, ad agire direttamente nei suoi confronti, limitandosi tale disposizione a disciplinare i rapporti interni alla compagine sociale (Cass., 6 settembre 2022, n. 26264; Cass., 19 maggio 2021, n. 13565).
In particolare, questa Corte ha stabilito il principio di diritto secondo cui « In tema di società in accomandita semplice, la norma giuscivilistica contemplata dall’art. 2313 c.c., nel prevedere che i soci accomandanti rispondono per le obbligazioni sociali limitatamente alla quota conferita, vale anche per le obbligazioni di natura tributaria, e, segnatamente, per quelle relative all’IVA e all’Irap dovute dalla società medesima » (Cass., 22 maggio 2020, n. 9429).
E’ stato pure affermato che il maggior reddito risultante dalla rettifica operata nei confronti di una società di persone, ed imputato al socio ai fini dell’IRPEF, giusta l’art. 5 del d.P.R. n. 597 del 1973, in proporzione della relativa quota di partecipazione, comporta anche l’applicazione allo stesso socio della sanzione per infedele dichiarazione prevista
dall’art. 46 del d.P.R. n. 600 del 1973 e che tale principio si applica anche al socio accomandante di società in accomandita semplice, essendo irrilevante l’estraneità di tale specie di soci all’amministrazione della società, in quanto ad essi è sempre consentito di verificare l’effettivo ammontare degli utili conseguiti; la sanzione non viene, quindi, irrogata all’accomandante sulla base della mera volontarietà, in contrasto con l’elemento della colpevolezza introdotto dall’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997, consistendo, nel suo caso, la colpa nell’omesso o insufficiente esercizio del potere di controllo sull’esattezza dei bilanci della società, ai sensi dell’art. 2320, ultimo comma, c.c. (Cass., 28 giugno 2017, n. 16116).
2.3 I principi suesposti consentono di ritenere l’impossibilità del socio accomandante, che non assume responsabilità diretta e personale, di promuovere azioni con riguardo alle pretese debitorie avanzate nei confronti della società, così restando fermo il principio per cui il socio accomandante è privo di legittimazione – attiva e passiva – rispetto alle obbligazioni tributarie riferibili alla società in accomandita semplice, fra le quali rientra quella concernente l’IVA, che, alla stregua delle considerazioni sopra esposte, non può avere effetti riflessi sul socio accomandante, a nulla poi rilevando, in punto di legittimazione attiva, la notifica dell’avviso al socio accomandante (Cass., 24 gennaio 2013, n. 1671, in motivazione).
2.4 Né viene in rilievo, nel caso di specie, un maggior reddito della società e, quindi, di tutti i soci della società personale, in quanto l’atto impugnato è un atto di irrogazione delle sanzioni ex art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997 (« Nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. Le violazioni commesse nell’esercizio dell’attività di consulenza tributaria e comportanti la soluzione di problemi di speciale difficoltà sono punibili solo in caso di dolo o colpa grave »), che non contiene alcun
accertamento di maggiori redditi tratti dalla società che sono normalmente imputati per trasparenza ai soci ex art. 5 del d.P.R. n. 917 del 1986. Ed infatti, nella vicenda in esame, l’Agenzia Delle Entrate ha recuperato le sanzioni nei confronti della A.L.A.R. per gli omessi versamenti delle imposte dovute dalla società RAGIONE_SOCIALE che aveva usufruito dei servizi offerti dalla RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME, svolgente attività di centro di assistenza fiscale, e, in particolare, del servizio di pagamento delle imposte per conto della società RAGIONE_SOCIALE Non viene, dunque, in rilievo, contrariamente a quanto affermato dall’Agenzia delle En trate, un profilo di colpa consistente nell’omesso o insufficiente esercizio del potere di controllo sull’esattezza dei bilanci della società, ai sensi dell’art. 2320, ultimo comma, c.c., né la sanzione, per quanto già detto, può essere irrogata nei confronti del socio accomandante sulla base della mera volontarietà (cfr. Cass., 28 giugno 2017, n. 16116, citata). 3. Per quanto esposto, va rigettato il primo motivo e dichiarato inammissibile il secondo e l’Agenzia ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, in favore dell’Associazione controricorrente, e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo. 3.1 Non vi è luogo a pronuncia sul raddoppio del contributo unificato, perché il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa (ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile), disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1 bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale
versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., Sez. U., 25 novembre 2013, n. 26280; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia ricorrente al pagamento, in favore dell’Associazione contro ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, in data 11 giugno 2025.