Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18387 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18387 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/07/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 6365/2022 R.G. proposto da
NOME Salvatore e COGNOME COGNOME , entrambi quali ex soci della RAGIONE_SOCIALE (società cessata), il COGNOME anche quale ex liquidatore, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso (PEC: EMAIL)
-ricorrenti –
contro
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania -sezione staccata di Salerno n. 6366/04/2021, depositata il 18.08.2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’11 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Oggetto:
Tributi
La CTP di Avellino accoglieva i ricorsi riuniti proposti da COGNOME e da NOME COGNOME COGNOME quali ex soci della RAGIONE_SOCIALE nonché dalla predetta società estinta, in persona dell’ex liquidatore COGNOME COGNOME avverso l’avviso di accertamento per IVA e altro , in relazione all’anno 201 2, ritenendo che la società fosse priva di legittimazione, in quanto si era estinta prima della notifica dell’atto impositivo;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Campania -sezione staccata di Salerno accoglieva l ‘appello proposto da l l’Agenzia delle entrate ;
in particolare, rilevava che:
la notifica dell’accertamento doveva ritenersi validamente effettuata in capo ai soci ed al liquidatore, in ragione del fenomeno successorio che si verifica al momento dell’estinzione della società;
-l’atto era sufficientemente motivato in ordine alla oggettiva inesistenza dell’operazione contestata che riguardava l’IVA indebitamente detratta per euro 84.000,00, in relazione alla fattura emessa in data 2.01.2012 dalla RAGIONE_SOCIALE per l’imponibile di euro 400.000,00 in relazione alla stipula di un contratto preliminare di compravendita di un complesso immobiliare, sottoscritto dal COGNOME in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, mai registrato;
in dipendenza di tale contratto preliminare era stata operata una compensazione con un pregresso credito di euro 52.610,00 ed erano stati effettuati due versamenti di euro 40.000,00 ciascuno, effettuati il 20 e il 22 novembre 2012; il 4 gennaio 2013 era stato risolto il contratto preliminare per inadempimento del promittente acquirente RAGIONE_SOCIALE con accettazione da parte della venditrice della somma di euro 48.610,00 a titolo di penale, in luogo di quella pattuita; la risoluzione del preliminare era stata firmata dal COGNOME in qualità
di liquidatore della RAGIONE_SOCIALE, e da NOME COGNOME in qualità di liquidatore della RAGIONE_SOCIALE; già in data 22 giugno 2012 l’intero fabbricato risultava ceduto nelle sue singole parti ad altre società che avevano una parziale coincidenza delle rispettive compagini sociali e al legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE
al momento del versamento degli acconti, a novembre 2012, per l’importo di euro 80.000,00, quindi, il complesso immobiliare era stato già ceduto, per cui l’inadempimento non doveva imputarsi alla RAGIONE_SOCIALE ma alla PA.VI.VE che aveva venduto gli immobili in data anteriore, senza restituire alla RAGIONE_SOCIALE quanto pagato, ma incamerando, anzi, anche la penale;
-l’intera operazione, quindi, era finalizzata a consentire alla CoRAGIONE_SOCIALE di conseguire un indebito vantaggio fiscale consistente nella formazione di un credito IVA inesistente (da riportare nelle liquidazioni periodiche e nella dichiarazione annuale), stante l’oggettiva incongruenza dell’operazione, la parziale coincidenza della compagine sociale, l’identità della sede sociale, la diversità della veste assunta dal rappresentante legale delle società contraenti al momento della stipula e della successiva risoluzione;
i soci sono stati chiamati a rispondere non di un debito nuovo, ma del medesimo debito facente capo alla società, a prescindere dal fatto di avere o meno goduto di una qualche ripartizione in fase di liquidazione, atteso che il creditore potrebbe avere in ogni caso interesse a proseguire per l’accertamento del proprio diritto;
il criterio per valutare quanto ricevuto dai soci non poteva limitarsi al dato formale delle risultanze contabili cristallizzate nel bilancio finale di liquidazione, ma occorreva valutare l’indebita utilità ricavata dall’operazione fraudolenta posta in essere dagli stessi e dal liquidatore, che rappresentava l’effettivo residuo attivo ‘distribuito’ ai soci;
i contribuenti impugnavano la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;
-l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
– Con il primo motivo di ricorso i contribuenti deducono la violazione e/o errata applicazione degli artt. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014, 2495 cod. civ. e 36 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR errato nel ritenere validamente eseguita la notifica dell’avviso di accertamento, riguardante la società già cancellata dal registro delle imprese, nei confronti dell’ex liquidatore e dei soci della stessa, non avendo considerato che non era applicabile l’art. 28, comma 4, cit., dato che la società era stata cancellata in data 27.08.2014 e la predetta disposizione non aveva efficacia retroattiva, sicché era necessario un autonomo avviso di accertamento per far valere la responsabilità dei soci e del liquidatore ex art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, relativa ad una obbligazione propria ex lege , avente natura civilistica e non tributaria, accertamento che nella specie mancava; – con il secondo motivo di ricorso i contribuenti deducono la violazione e/o errata e/o falsa applicazione dell’art. 2495 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR considerato che la responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali, a seguito dell’estinzione della società, era limitata alla quota dell’attivo risultante dal bilancio finale di liquidazione della società da ciascuno riscossa e che nella specie era stato dimostrato dai contribuenti, con l’allegazione del bilancio finale di liquidazione della società cessata, che nessuna somma di denaro o qualsivoglia altro tipo di attivo, derivante dalla liquidazione della RAGIONE_SOCIALE era stata ricevuta dagli ex soci; precisano che l’Amministrazione
finanziaria non aveva comunque dimostrato che i soci avevano
ricevuto negli ultimi due periodi d’imposta, precedenti alla messa in liquidazione, denaro o altro attivo, né alcuna indebita utilità;
preliminarmente deve essere esaminata d’ufficio la questione della legittimazione del liquidatore , COGNOME ad impugnare l’avviso di accertamento, in nome e per conto della società estinta;
è stato più volte precisato che la cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica la sua estinzione, priva la stessa della capacità di stare in giudizio (Cass. Sez. U. 12/03/2013, n. 6070; Cass. 9/10/2018, n. 24853; Cass. 19/12/2016, n. 26196);
secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, infatti, “in tema di contenzioso tributario, la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto della sua capacità processuale e il difetto di legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore, sicché eliminandosi ogni possibilità di prosecuzione dell’azione, consegue l’annullamento senza rinvio, ex art. 382 c.p.c., della sentenza impugnata con ricorso per cassazione, ricorrendo un vizio insanabile originario del processo, che avrebbe dovuto condurre da subito ad una pronuncia declinatoria di merito”, trattandosi di impugnazione “improponibile, poiché l’inesistenza del ricorrente è rilevabile anche d’ufficio’ (Cass. n. 5736/16, n. 20252/15, n. 21188/14), non essendovi spazio per ulteriori valutazioni circa la sorte dell’atto impugnato, proprio per il fatto di essere stato emesso nei confronti di un soggetto già estinto (Cass. n. 19142/16; Cass. n. 2444/17; Cass. n. 16523/25, punto 10);
deve essere, quindi, dichiarata l’improponibilità del ricorso di primo grado, per difetto di legittimazione attiva di COGNOME nella parte in cui questi lo ha proposto in qualità di liquidatore, quando la
società RAGIONE_SOCIALE era già estinta per intervenuta cancellazione dal registro delle imprese;
ciò posto, i primi due motivi, che vanno esaminati congiuntamente per connessione per la parte riguardante la posizione dei soci, sono infondati;
per quanto riguarda i soci, infatti, occorre chiarire che emerge dalla sentenza impugnata (né risulta diversamente dal ricorso) che l’avviso di accertamento non si fonda sull’art. 28, comma 4, della l. n. 175 del 2014, essendo la società cessata prima dell’entrata in vigore di detta disposizione, ma sull’art. 2495 cod. civ., quale responsabilità di tipo successorio dei soci;
come hanno affermato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U., 12 marzo 2013, nn. 6070, 6071 e 6072), infatti, dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese, a seguito della riforma del diritto societario, attuata dal decreto legislativo n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, « pendente societate », siano limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da
parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo;
i soci sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definiti all’esito della liquidazione, indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto, o no, di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione;
come ha correttamente affermato la CTR, quindi, i soci rispondono in virtù del fenomeno successorio e non in proprio;
per quanto concerne più specificatamente la seconda censura, secondo l’orientamento giurisprudenziale più recente, a cui il Collegio intende dare continuità, i soci, per il solo fatto di possedere tale qualità, rispondono delle obbligazioni tributarie facenti capo alla società cancellata, non definite al momento della liquidazione, indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione (Cass. n. 30536 del 2021; Cass. n. 26758 del 2022; Cass. 22692 del 2023; Cass. n. 8633 del 2024 e, da ultimo, Cass. Sez. U. n. 3625 del 2025);
l’Amministrazione finanziaria ha, infatti, interesse a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, potendovi essere la possibilità di sopravvenienze attive o di beni e diritti non contemplati nel bilancio, suscettibili di aggressione da parte di tale creditore;
con la recente decisione delle Sezioni Unite di questa Corte (n. 3625/2025 cit.) è stato ribadito che , a seguito dell’estinzione della società, il socio (ex socio) è successore per il solo fatto di essere tale, non perché abbia ricevuto quote di liquidazione, e il carattere universale della sua successione non è contraddetto dal fatto che egli risponda solo nei limiti di quanto percepito; la legittimazione dell’ex socio quale soggetto responsabile per i debiti societari residui
discende ‘ se non proprio dall’adempimento, quantomeno in conseguenza del rapporto sociale al quale egli diede volontariamente corso ‘;
diversa è l’ipotesi di responsabilità, prevista per i soci della società estinta dall’art. 36, comma 3, del d.P.R. n. 602 del 1972 e che riguarda i soci che abbiano ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione denaro o altri beni sociali ovvero abbiano avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione; si tratta di responsabilità che non è di tipo successorio, come quella contemplata dall’art. 2495 cod. civ., ma che si aggiunge ad essa e che non viene contestata con l’ avviso impugnato nel presente giudizio;
la CTR ha correttamente applicato i richiamati principi affermando che i soci COGNOME e COGNOME erano chiamati a rispondere, quali successori, del debito della società e che era irrilevante che avessero goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione, avendo l’Amministrazione interesse a proseguire per l’accertamento del proprio diritto nei confronti dei soci;
-con il terzo motivo di ricorso, i contribuenti deducono l’omessa pronuncia su fatti decisivi per la controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., per avere la CTR errato nel ritenere corretta la ricostruzione della vicenda processuale effettuata dall’Ufficio , senza considerare quanto dedotto dai contribuenti e senza valutare l’errore in cui era incorsa l’Agenzia delle entrate nel ritenere inesistente l’operazione sottesa all’emissione della fattura n. 1 del 2.01.2012, emessa dalla RAGIONE_SOCIALE anche per il ritenuto errato trattamento dell’operazione ai fini IVA;
occorre rilevare che quanto sostenuto dai ricorrenti, in ordine all’esigibilità dell’IVA relativa alla fattura oggetto di contestazione, è del tutto destituito di fondamento;
– sul punto va anzitutto rilevato che il contratto preliminare determina l’insorgere dell’obbligo di fare, ossia della prestazione del consenso per la stipulazione del contratto definitivo. Considerato che l’obbligo discende dal contratto preliminare e non già dal versamento dell’acconto, il secondo non può essere considerato come corrispettivo del primo (Cass. n. 10306/2015; Cass. n. 17868/2021); – ciò posto, come ha già condivisibilmente affermato questa Corte (Cass. n. 18428/2021), ‘ rispetto al materiale espletamento dell’operazione, sia essa cessione di beni oppure prestazione di servizi, il rilascio della fattura o l’incasso di tutto o di parte del corrispettivo sono presupposti di esigibilità, il verificarsi dei quali può determinare l’anticipazione del momento impositivo, qualora gli Stati membri nell’esercizio della loro discrezionalità l’abbiano previsto; ciò in quanto nel caso di anticipato pagamento (come in quello di anticipata fatturazione dell’acquisto), il contenuto economico dell’operazione si considera già – in tutto o in parte – realizzato dando vita al presupposto fiscalmente sufficiente per la sua imponibilità, sia pure limitatamente all’importo pagato o fatturato; – occorre però, a tal fine, che tutti gli elementi rilevanti della futura operazione siano noti al committente/acquirente e che, al momento dell’emissione della fattura anticipata, sembri certa l’effettuazione della futura operazione (Cass. 22 maggio 2015, n. 10606; 29 gennaio 2020, n. 1961; 30 dicembre 2020, n. 29859; quanto alla giurisprudenza unionale, si veda in particolare Corte giust. 31 maggio 2018, cause C660 e 661/16) ‘ ;
– nella specie, invece, con apprezzamento di fatto esaurientemente motivato e conforme a legge, i giudici d’appello hanno stabilito che l’intera operazione era finalizzata a consentire alla società il conseguimento di un indebito vantaggio fiscale consistente nella formazione di un credito IVA da riportare nelle liquidazioni periodiche
e nella dichiarazione annuale; hanno difatti evidenziato che, benché al momento dell’emissione della fattura fosse stato stipulato un contratto preliminare, la vendita del complesso immobiliare per il quale era stato stipulato detto preliminare era tutt’alto che certa, visto che lo stesso non era stato mai registrato e non conteneva alcuna indicazione dei dati catastali relativi alle unità immobiliari oggetto della presunta cessione; inoltre, al momento del versamento degli acconti, il complesso immobiliare era stato già ceduto ad altri soggetti;
il motivo, quindi, si risolve nel tentativo di proporre una diversa lettura delle risultanze processuali, facendo leva su circostanze di fatto, quali l’esistenza di un precedente accordo, poi superato dalla stipula del contratto preliminare in questione, l’esistenza della promittente venditrice RAGIONE_SOCIALE e il fatto che ‘gli immobili, al due gennaio 2012, epoca di stipula del contratto preliminare, erano di piena proprietà della RAGIONE_SOCIALE‘ , del tutto irrilevanti, in quanto inidonee a minare la ricostruzione dei giudici d’appello e, quindi, a somministrare certezza in relazione all’operazione;
-in conclusione, quindi, pronunciando sul ricorso, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, con declaratoria di inammissibilità dell’originario ricorso, nella parte in cui è stato proposto da COGNOME in qualità di liquidatore ed ex legale rappresentante della estinta RAGIONE_SOCIALE per il resto il ricorso per cassazione va rigettato;
-stante l’esito del giudizio, le spese del giudizio di legittimità si liquidano come in dispositivo e vanno compensate per metà, ponendo a carico dei ricorrenti la restante metà;
vanno, invece, interamente compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito per la parte del ricorso dichiarato inammissibile.
La Corte, pronunciando sul ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e dichiara inammissibile il ricorso introduttivo della lite, nella parte in cui è stato proposto da COGNOME in qualità di liquidatore ed ex legale rappresentante della estinta RAGIONE_SOCIALE; rigetta il ricorso per il resto;
condanna i ricorrenti al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate, nella misura di metà, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per l’intero , in complessivi euro 8.800,00, oltre alle spese prenotate a debito, compensando la restante metà; compensa interamente fra le parti le spese dei giudizi di merito per la parte del ricorso dichiarato inammissibile;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’11 marzo 2025