Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22254 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22254 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16095-2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME, quali soci della RAGIONE_SOCIALE, cancellata dal registro delle imprese in data 28/09/2011, rappresentati e difesi, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL), e dall’avv.
NOME COGNOMEEMAIL.studioavvocatomastinoEMAIL);
(pec:
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso
Oggetto: TRIBUTI -società cancellata dal registro delle imprese -accertamento nei confronti dei soci
l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende (pec: @mailcert.avvocaturastatoEMAIL);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1367/22/2015 della Commissione tributaria regionale del PIEMONTE, depositata in data 16 dicembre 2015; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12 giugno 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In controversia avente ad oggetto l’impugnazione degli avvisi di accertamento di maggior reddito d’impresa ai fini IVA ed IRES conseguito nell’anno d’ imposta 2006 dalla Immobiliare del Parco s.r.l., cancellata dal registro delle imprese in data 28/09/2011, e pertanto emessi nei confronti dei soci NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME con la sentenza in epigrafe indicata la CTR del Piemonte rigettava l’appello dei contribuenti avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sostenendo che:
-in forza del disposto di cui all’art. 2495 cod. civ. la pretesa erariale, una volta che la società è cessata per cancellazione, può essere fatta valere nei confronti dei soci fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione e che, pertanto, « al di là dell’esplicito riferimento alla qualità di ‘socio dell’RAGIONE_SOCIALE‘ correttamente indicato nell’epigrafe dell’atto », nessuna « ‘motivazione dell’iter logico -giuridico’ avrebbe dovuto essere ulteriorme nte specificata dall’Ufficio »;
« non pertanto pregio la doglianza che pretenderebbe di gravare il creditore (in questo caso l’Amministrazione finanziaria) di un onere motivazionale inesistente, trattandosi di effetto diretto ed automatico voluto dal legislatore »;
« del tutto irrilevante è poi il riferimento all’esiguità della quota di partecipazione al capitale sociale dal momento che il fenomeno successorio di cui si è detto riguarda la qualità di socio,
indipendentemente dalla misura della quota ed altresì dell’eventuale ingerenza nell’amministrazione della società »;
la tesi sostenuta dai contribuenti, secondo cui, essendosi la società estinta nel 2011, mancava un accertamento definitivo del debito erariale e della conseguente responsabilità dei soci, era infondata atteso che, verificatosi il fenomeno successorio, spettava ai soci, subentrati nella posizione del soggetto estinto, contestare la pretesa erariale ove ritenuta infondata, ma nella specie « i soci si erano limitati alla generica contestazione della non riferibilità a loro delle poste debitorie dell’ente esti nto »;
-la tesi, pure sostenuta dai contribuenti, secondo cui l’amministrazione finanziaria avrebbe dovuto provare l’effettiva percezione da parte dei soci di aver riscosso somme in sede di liquidazione, era superata dall’arresto giurisprudenziale delle Sezioni unite n. 6070 e n. 6071 del 2013; in sostanza, una cosa è l’accertamento del credito erariale, oggetto degli atti impositivi impugnati, altra è l’effettiva azionabilità in una fase ulteriore di quel credito nei confronti dei soci.
Avverso tale statuizione i contribuenti propongono ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui replica l’ intimata con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, 36, comma 5, del d.P.R. n. 602 del 1973.
1.1. Sostengono che i giudici di appello, nel pronunciarsi sul motivo con cui avevano dedotto il difetto di motivazione degli atti impositivi, su cui i giudici di primo grado avevano omesso di pronunciarsi, avevano erroneamente ritenuto «che la motivazione dell ‘atto impugnato risiedesse sic et simpliciter nel richiamo implicito agli artt. 2495 c.c. e
36 D.P.R. 602/73, pur essendo totalmente assente nell’avviso di accertamento persino il richiamo a dette norme», così come negli avvisi di accertamento « è assente la prova che i soci abbiano percepito utili o beni dal bilancio finale di liquidazione ».
Il motivo è inammissibile ed infondato.
2.1. È inammissibile per difetto di specificità.
2.2. Richiamando quanto recentemente affermato da Cass., Sez. U, n. 22986/2024 (in motivazione, par. 3), l’orientamento espresso dalla più recente giurisprudenza di questa Corte sulla cosiddetta autosufficienza o autonomia del ricorso per cassazione (Cass. Sez. U. n. 8950/2022, n. 35305/2022; Cass. n. 17670/2024; Cass. n. 17445/2024; Cass. n. 1718372024; Cass. n. 13565/2024; Cass. n. 12906/2024; Cass. n. 11362/2024) è nel senso che ««la «specifica indicazione» degli atti processuali e dei documenti, già richiesta dal testo previgente dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ., va letta alla luce dei principi stabiliti nella sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (COGNOME e altri c. Italia), che ha ritenuto il requisito formale compatibile con il principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU, a condizione che, in ossequio al criterio di proporzionalità, non trasmodi in un eccessivo formalismo, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa. È stato, di conseguenza, affermato che se, da un lato, la «specifica indicazione» non si può «tradurre in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso» (così Cass. S.U. n. 8950/2022), dall’altro sono comunque necessarie l’individuazione chiara del contenuto dell’atto nonché la produzione o l’indicazione della esatta collocazione dello stesso nel fascicolo processuale. Ciò perché il requisito di ammissibilità del ricorso è finalizzato a consentire al giudice di legittimità l’esatta comprensione del contenuto della doglianza nonché la valutazione sulla fondatezza della stessa e, pertanto, come evidenziato dalla Corte EDU nella citata pronuncia del 28 settembre 2021, serve a semplificare l’attività
dell’organo giurisdizionale nazionale, assicurando nello stesso tempo la certezza del diritto, la corretta amministrazione della giustizia, l’utilizzo appropriato e più efficace delle risorse disponibili (punti 75, 78, 104 e 105 della motivazione)»».
2.3. Pertanto, il motivo in esame, censurando l’errore in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado nel valutare il contenuto motivazionale degli atti impositivi è inammissibile in quanto i ricorrenti hanno omesso di trascrivere nel ricorso le parti essenziali di quegli atti, che neppure hanno allegato al ricorso o localizzato negli atti dei giudizi di merito, di fatto impedendo a questa Corte di effettuare la necessaria verifica di fondatezza del motivo.
Il motivo è comunque infondato in quanto i giudici di appello, muovendo dal l’esatto rilievo che i soci subentrano ex lege , ai sensi dell’art. 2495 cod. civ., alla società cancellata dal registro delle imprese, hanno correttamente ritenuto sufficiente che nell’avviso di accertamento notificato risultasse la qualità di socio della società cessata del destinatario dell’atto (circostanza, questa, non negata dai ricorrenti), e che il « riferimento alla qualità di ‘socio dell’RAGIONE_SOCIALE‘ » era stato « correttamente indicato nell’epigrafe dell’atto », e che nessuna « ‘motivazione dell’iter logico -giuridico’ avrebbe dovuto essere ulteriormente specificata dall’Ufficio », nemmeno in ordine al limite della responsabilità di ciascun socio, avendo all’uopo precisato, che il fenomeno successorio che si verifica ai sensi dell’art. 2495 cod. civ. « riguarda la qualità di socio, indipendentemente dalla misura della quota ed altresì dell’eventuale ingerenza nell’amministrazione della società ».
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2495 cod. civ., 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, 2697 cod. civ. in relazione al «Paragrafo 1 Sentenza impugnata pag. 3».
4.1. Sostengono che la CTR aveva errato nel ritenere integrata la responsabilità di essi ricorrenti per il solo fatto di essere soci ancorché avessero «dimostrato documentalmente di essere possessori di una quota sociale minima e di non aver mai svolto alcuna attività di gestione o di controllo tale da influire sull’operatività sociale» e a prescindere dalla prova, il cui onere incombeva sull’amministrazione finanziaria che non l’aveva assolto, di aver conseguito utili o beni in sede di liquidazione, non essendo rinvenibile nelle disposizioni di cui agli artt. 2495 cod. civ. e 36, comma 3, del d.P.R. n. 602 del 1973, alcun effetto di automatismo tra la qualifica di soci e la responsabilità per i debiti della società cessata.
Con il terzo motivo deducono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2495 cod. civ. e 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, in relazione al «Paragrafo 2.1 Sentenza impugnata pag. 3-4».
5.1. Sostengono che i giudici di appello avevano errato nel ritenere la responsabilità dei soci quali successori della società per un debito tributario che non si era consolidato in capo alla società in quanto sorto successivamente alla sua cancellazione e in relazione al quale i soci potevano essere chiamati a rispondere soltanto se l’amministrazione finanziaria avesse dimostrato che gli stessi avevano percepito una qualche utilità dalla liquidazione e nei limiti di essa.
Con il quarto motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2495 cod. civ. e 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, in relazione al «Paragrafo 2.2. Sentenza impugnata pag. 4», per avere i giudici di appello erroneamente ritenuto che l’accertamento del credito erariale costituiva una fase distinta ed autonoma da quella della «effettiva azionabilità» di quel credito nei confronti dei soci.
I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto tra loro strettamente connessi inerendo alla responsabilità dei
soci a seguito di cancellazione della società contribuente dal registro delle imprese, sono fondati nei termini di cui appresso si dirà.
Deve premettersi che nel caso di specie non si fa questione né viene in rilievo la disposizione di cui all’art. 28, comma 4, della legge n. 175 del 2014, essendo la società cancellata dal registro delle imprese prima dell’entrata in vigore di detta disposizione, ma la responsabilità dei soci della società cessata viene assunta ai sensi dell’art. 2495 cod. civ.
Orbene, in relazione alle questioni che vengono in rilievo nel presente giudizio, di società cancellata dal registro delle imprese, di successione dei soci e di legittimazione, sia sostanziale che processuale, si sono recentemente espresse le Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 3625/2025 in cui il Supremo consesso, muovendo dall’esame della disposizione di cui all’art. 2495, secondo comma, ora terzo comma cod. civ., dettato in materia di responsabilità dei soci dopo la cancellazione della società, dà continuità all’interpretazione fornita dalle medesime Sezioni unite nelle sentenze del 12/03/2013, nn. 6070, 6071 e 6072, ribadendo gli effetti sostanziali e processuali dell’estinzione che in tali sentenze si affermava essere originati da tale disposizione.
9.1. Sul piano sostanziale, affermano le Sezioni unite che, «qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, ‘si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, ‘pendente societate’, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società
estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo».
9.2. In buona sostanza, i soci sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definiti all’esito della liquidazione, indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto, o no, di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione (in tal senso, recentemente, anche Cass. n. 18387/2025, non massimata) e, quindi, correttamente la CTR ha affermato che i soci rispondono in virtù del fenomeno successorio e non in proprio e senza alcun onere da parte dell’amministrazione finanziaria di dimostrare l’effettiva percezione di somme da parte dei soci in base al bilancio finale di liquidazione.
9.3. Secondo l’orientamento giurisprudenziale più recente, a cui il Collegio intende dare continuità, i soci, per il solo fatto di possedere tale qualità, rispondono delle obbligazioni tributarie facenti capo alla società cancellata, non definite al momento della liquidazione, indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione (Cass. n. 30536/2021; Cass. n. 26758/2022; Cass. 22692/2023; Cass. n. 8633/2024 e, da ultimo, Cass. Sez. U. n. 3625/2025 citata). L’Amministrazione finanziaria ha, infatti, interesse a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, potendovi essere la possibilità di sopravvenienze attive o di beni e diritti non contemplati nel bilancio, suscettibili di aggressione da parte di tale creditore (così in Cass. n. 18387/2025, cit.).
9.4. Ed è ciò che hanno ribadito le Sezioni unite di questa Corte nella citata sentenza n. 3625/2025, affermando che, a seguito dell’estinzione della società, il socio (ex socio) è successore per il solo fatto di essere tale, non perché abbia ricevuto quote di liquidazione, e il carattere universale della sua successione non è contraddetto dal fatto che egli risponda solo nei limiti di quanto percepito; la legittimazione dell’ex socio quale soggetto responsabile per i debiti societari residui discende «se n on proprio dall’adempimento, quantomeno in conseguenza del rapporto sociale al quale egli diede volontariamente corso».
Come correttamente si afferma nelle citata pronuncia n. 18387/2025, emessa sulla scorta di Cass., Sez. U., n. 3625/2025, diversa è l’ipotesi di responsabilità, prevista per i soci della società estinta dall’art. 36, comma 3, del d.P.R. n. 602 del 1972 , che riguarda i soci che abbiano ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione denaro o altri beni sociali ovvero abbiano avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione. Si tratta di un titolo di responsabilità «sussidiaria» (così in Cass. Sez. U, n. 3625/2025) che non è di tipo successorio, come quella contemplata dall’art. 2495 cod. civ., ma che si aggiunge ad essa.
10.1. Nel caso in esame risulta che la pretesa dell’amministrazione finanziaria era stata azionata non soltanto ai sensi dell’art. 2495 cod. civ., ma «altresì» (così a pag. 3 della sentenza impugnata) ai sensi del citato art. 36. La sentenza impugnata, però, si limita a dare atto di tale circostanza senza alcun vaglio della sussistenza dei relativi presupposti, fondando la propria decisione solo ed esclusivamente sulla responsabilità dei soci ai sensi dell’art. 2495 cod. civ.
10.2. Da quanto fin qui detto, consegue che i motivi di ricorso in esame, in cui pure si deduce la violazione dell’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, sono infondati relativamente alla violazione e falsa
applicazione dell’art. 2495 cod. civ. mentre vanno accolti limitatamente alla dedotta violazione dell’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, dovendo i giudici di appello verificare la sussistenza sub specie dei presupposti di responsabilità dei soci ai sensi del citato art. 36 che, come detto, è di tipo ‘sussidiario’, diverso ed autonomo da quello ‘successorio’ di cui alla richiamata norma civilistica, fondato su presupposti del tutto diversi.
Conclusivamente, vanno accolti il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione (ovvero con riferimento alla contestata responsabilità ex art. 36 della d.P.R. n. 602 del 1973) e rigettato il primo. La sentenza impugnata va cassata con riferimento ai motivi accolti e la causa rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte per nuovo esame e per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 12 giugno 2025