Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16811 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16811 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23461 -20 22 R.G. proposto da:
COGNOME NOME , rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME (pec: EMAILordineavvocatinovaraEMAILit), e dall’avv. NOME COGNOME (pec: EMAILordineavvocatinovaraEMAIL), domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio legale dell’avv. NOME COGNOME (pec: EMAILordineavvocatiromaEMAILorg);
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec:
Oggetto: TRIBUTI -società estinta -art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973 -responsabilità ex liquidatore
EMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2851/07/2022 della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, depositata in data 04/07/2022; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 11 marzo 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con l’avviso di accertamento oggetto del presente giudizio l’Agenzia delle entrate, dopo aver premesso: – che il Sig. COGNOME ha rivestito, nel periodo 15.02.2012 -17.01.2013, la carica di amministratore unico e liquidatore di RAGIONE_SOCIALE cessata in data 04/03/2013; – che la predetta società avrebbe emesso e utilizzato fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, giusta l’avviso d’accertamento n. T9D032I04632/2017, emesso a carico di RAGIONE_SOCIALE dalla D.P. II di Milano;che l’art. 36 D.P.R. 602/1973, come modificato dall’art. 28, 5 co. d.lgs. 175/2014, prevedrebbe la responsabilità degli amministratori, liquidatori e soci di fatto per il mancato pagamento delle imposte societarie, salva la dimostrazione di soddisfo dei crediti tributari ant eriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di aver soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari; – che quindi, in forza del novellato art. 36 D.P.R. 602/1973, spetterebbe ai soggetti ritenuti responsabili dimostrare di aver gestito la fase della liquidazione in conformità alla legge e che la relativa responsabilità si estenderebbe a tutti i tributi; chiedeva al contribuente NOME COGNOME la corresponsione di € 776.887,00 a titolo di I.R.PE.F., oltre interessi (così a pag. 6 del ricorso).
La CTP (ora Corte di giustizia tributaria di primo grado) di Como, adita dal Girola, con sentenza 145/02/2021 respingeva il ricorso. Analoga sorte subiva l’appello proposto dal contribuente alla CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) della Lombardia che, con la sentenza in epigrafe indicata, sosteneva che l’amministrazione finanziaria non era
decaduta dal potere accertativo operando nella specie il raddoppio dei termini di accertamento, avendo l’Ufficio provato di aver inviato la comunicazione di notizia di reato a carico del Girola in data 18/12/2017, quindi nei termini per la notifica dell’avviso di accertamento che riferendosi all’anno 2012 scadeva il 31/12/2017. Sosteneva, inoltre, nel merito:
-che l’avviso di accertamento emesso nei confronti del NOMECOGNOME e da questi impugnato, scaturiva da altro avviso di accertamento emesso nei confronti della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, poi cessata, «inserita a sua volta in un complesso meccanismo di frode fiscale attraverso il collegamento con altre società dove figure di rilievo sono rappresentate dai signori NOME NOME ed il fratello NOME»;
-che l’avviso di accertamento emesso nei confronti della predetta società era «divenuto definitivo a seguito di sentenza n. 2065/05/2020 della CTR Lombardia dove si è accertato che i fratelli NOME si erano avvantaggiati della frode Iva mediante l’emissione di fatture per operazioni inesistenti. Ma con la sentenza in esame la CTR ha sancito che l’avviso di accertamento non poteva essere emesso a carico della società oramai inesistente perché cancellata dal registro delle imprese in data antecedente la notifica dell’avviso di accertamento ed ancora perché il Girola aveva impugnato l’avviso in nome e per conto della società non avendone la legittimazione ad agire; non in conto proprio nella qualità di liquidatore;
che «La cessazione della società non può genericamente portare con sé l’estinzione di tutti i rapporti attivi e passivi ancora in essere», sicché, «Se l’avviso di accertamento non poteva essere emesso nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE estinta ciò non preclude la possibilità per l’Amministrazione Finanziaria di esperire azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore/liquidatore ai sensi dell’art. 36 co. 4 del Dpr 602/73»;
-che andava disattesa la tesi dell’appellante secondo cui la cancellazione della società dal registro delle imprese determinerebbe la
nullità dell’accertamento “erga omnes”, sia nei confronti della società che dei soci che la compongono;
che, invece, andava condivisa la giurisprudenza di legittimità, richiamata, secondo cui l’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, determina un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono, posto che ciò, sacrificherebbe ingiustamente il diritto dei creditori sociali, ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali, cui sono soggetti;
che ciò determinava l’infondatezza della contestata nullità degli avvisi di accertamento, notificati al contribuente quale socio unico e quale liquidatore, secondo i presupposti di trasferimento del debito erariale societario o di costituzione del debito erariale iure proprio ex artt. 2495 c.c. ed ex art. 36 D.p.r. 602/73. Tali norme prevedono fenomeni di tipo successorio del debito societario (anche erariale) ma anche situazioni costitutive di debiti in capo al socio percettore di beni sociali durante la fase della liquidazione;
che la notifica dell’avviso di accertamento era correttamente avvenuta nei confronti di chi poteva essere chiamato a rispondere – iure successionis – dei debiti non soddisfatti di una società non più esistente, ovvero di chi aveva dato luogo iure proprio alla costituzione di un debito per mancata salvaguardia del debito erariale societario (quale socio assegnatario di beni in fase di liquidazione o di liquidatore senza salvaguardia delle ragioni di prevalenza del debito erariale);
che, in merito alle operazioni oggettivamente inesistenti era stato accertato che la figura del Girola era inserita in un complesso meccanismo di frode attraverso collegamenti e giro di fatture tra varie società; situazione peraltro già esaminata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia con sentenza n. 2065/05/2020; operazioni svolte in violazione dell’art. 109 del TUIR, senza che il ricorrente avesse fornito
prova che le operazioni risultanti dalle fatture siano state effettivamente eseguite.
Avverso tale statuizione il Girola propone ricorso per cassazione affidato ad otto motivi, variamente articolati, cui replica l’ intimata con controricorso.
Il controricorrente deposita memoria illustrativa e decreto di archiviazione emesso il 27/04/2023 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pavia in relazione ai reati contestatigli con riferimento ai fatti di causa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la «Violazione e/o falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c., dell’art. 28, 5 co. d.lgs. 175/2014 in relazione all’art. 36 D.P.R. 602/1973; nonché degli artt. 11, 1 co. delle ‘ Disposizioni sulla legge in generale ‘, cioè delle c.d. ‘ Preleggi ‘ e dell’art. 3, 1 co. L. 212/2000 e della più recente elaborazione giurisprudenziale sul punto. Irretroattività della legge tributaria. Violazione e/o falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c., dell’art. dell’art. 28, 5 co. d.lgs. 175/2014 in relazione all’art. 36 D.P.R. 602/1973 e agli artt. 2697 e ss. c.c.: applicazione dell’art. 36 D.P.R. 602/1973 nella versione ante novella con conseguente onere della prova a carico dell’A.E.».
1.1. Viene censurata la sentenza d’appello per aver fatto applicazione nella fattispecie, relativa a società cessata il 4 marzo 2013, del disposto di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 nella versione risultante dalla modifica apportata dall’art. 28, comma 5, del d.lgs. n. 175 del 2014, decorrente, però, dal 13/12/2014, data di entrata in vigore della stessa.
1.2. Sostiene il ricorrente che la disposizione in esame, così come novellata, pone a carico dei liquidatori l’onere di provare « di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli
tributari » , mentre nella versione previgente alla novella, l’ onere era posto a carico dell’amministrazione finanziaria .
Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta la «Violazione e/o falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c., dell’art. 36 D.P.R. 602/1973 in relazione agli artt. 2697 e ss. c.c.: onere della prova e condizioni dell’azione a carico dell’A.E. alla luce della più recente elaborazione giurisprudenziale di legittimità (Cass. 25530/2021) in base alla quale:
-in forza dell’autonomia patrimoniale perfetta che caratterizza le società di capitali, l’amministratore e il liquidatore non sono solidalmente responsabili dell’obbligazione tributaria della società;
-l’ipotesi di responsabilità ex art. 36 D.P.R. 602/1973 è una particolare ipotesi di responsabilità per obbligazione propria ex lege e non prevede alcuna successione o coobbligazione in capo agli amministratori e/o liquidatori dei debiti tributari a carico della società, neppure allorché la stessa sia stata cancellata dal Registro delle Imprese;
-l’azione ex art. 36 D.P.R. 602/1973 è esperibile nei confronti del liquidatore nel caso in cui questi abbia esaurito le disponibilità della liquidazione senza provvedere al pagamento dei debiti tributari e a condizione che i ruoli in cui siano iscritti i tributi della società possano essere posti in riscossione e che sia acquisita legale certezza che i debiti non siano stati soddisfatti con le attività della liquidazione medesima;
-spetta all’Amministrazione dimostrare di avere iscritto i relativi crediti quantomeno in ruoli provvisori dei quali poter pretendere il pagamento in via sussidiaria nei confronti del liquidatore;
-l’Amministrazione non può integrare in corso di causa i presupposti dell’azione delineati ai punti che precedono.
2.1. Si contesta, altresì, la «Omessa considerazione, da parte della C.T.R., della più recente elaborazione giurisprudenziale e dottrinale in materia di responsabilità dell’amministratore e del liquidatore ai sensi della quale la condizione dell’azione è rappresentata dall’esistenza e d alla
definitività del debito tributario nei confronti della società che deve sussistere al momento della notifica dell’avviso d’accertamento ex art. 36 D.P.R. 602/1973», mentre nel caso in esame la sentenza emessa in relazione all’avviso di accertamento societario è divenuta definitiva solamente il 29.03.2021, cioè successivamente alla notifica dell’avviso di accertamento impugnato, effettuata in data 26/12/2019.
Con il terzo motivo viene dedotta la «Violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5) c.p.c., dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 36 D.P.R. 602/1973, con conseguente ‘ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ‘ per non avere la C.T.R. verificato, al tempo della notifica dell’avviso impugnato, se l’Ufficio avesse:
dimostrato che il liquidatore avesse esaurito le disponibilità della liquidazione senza provvedere al pagamento dei debiti tributari;
-dimostrato l’esistenza e la legale certezza di debiti non soddisfatti con le attività della liquidazione medesima;
-documentato l’esistenza di ruoli in cui siano iscritti i tributi della società da porre in riscossione.
3.1. Si contesta, altresì, l’o messa considerazione della più recente elaborazione giurisprudenziale (Cass. 25530/2021) e dottrinale ai sensi della quale:
-spetta all’A.E. , rimasta insoddisfatta, dedurre e allegare che la fase di pagamento dei debiti sociali non si è svolta nel rispetto del principio della ‘ par condicio creditorum ‘;
-spetta all’A.E. dedurre il mancato soddisfacimento di un diritto di credito, provato come esistente, liquido ed esigibile al tempo dell’apertura della fase di liquidazione;
la responsabilità del liquidatore rispetto agli obblighi sullo stesso identificati dall’art. 36 D.P.R. 602/1973 è esercitabile a condizione che i tributi a carico della società siano stati iscritti a ruolo e che sia acquisita
certezza legale che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività di liquidazione medesima.
Con il quarto motivo viene dedotta la «Violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4) c.p.c., degli artt. 112 e 132, 2 co., n. 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 36, 2 co., n. 4), D.Lgs. 546/1992, 111, 6 co., Cost., 6 C.E.D.U., per difetto di motivazione in relazione agli artt. 2697 e ss. c.c. e 36 D.P.R. 602/1973, per non avere la C.T.R. motivato in relazione ai seguenti punti:
dimostrazione che il liquidatore avesse esaurito le disponibilità della liquidazione senza provvedere al pagamento dei debiti tributari;
-dimostrazione dell’esistenza e legale certezza di debiti non soddisfatti con le attività della liquidazione medesima;
-documentazione dell’esistenza di ruoli in cui siano iscritti i tributi della società da porre in riscossione;
nonché per non avere la C.T.R. motivato in relazione alle precise censure dell’avviso d’accertamento promosse alla luce della più recente elaborazione giurisprudenziale di legittimità (Cass. 25530/2021) ai sensi della quale:
-spetta all’A.E. , rimasta insoddisfatta, dedurre e allegare che la fase di pagamento dei debiti sociali non si è svolta nel rispetto del principio della ‘ par condicio creditorum ‘;
-spetta all’A.E. dedurre il mancato soddisfacimento di un diritto di credito, provato come esistente, liquido ed esigibile al tempo dell’apertura della fase di liquidazione;
la responsabilità del liquidatore rispetto agli obblighi sullo stesso identificati dall’art. 36 D.P.R. 602/1973 è esercitabile a condizione che i tributi a carico della società siano stati iscritti a ruolo e che sia acquisita certezza legale che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività di liquidazione medesima.
4.1. Dopo aver riprodotto nel ricorso le parti rilevanti dell’atto d’appello in cui aveva dedotto i relativi motivi di impugnazione con
riferimento alle questioni sopra indicate, il ricorrente ha dedotto che la CTR aveva omesso di pronunciarsi sulle seguenti questioni proposte con l’ appello:
dimostrazione, da parte dell’A.E., dei presupposti previsti dall’art. 36 D.P.R. 602/1973, ossia che il liquidatore avesse esaurito le disponibilità della liquidazione senza provvedere al pagamento dei debiti tributari;
dimostrazione, da parte dell’A.E., dell’esistenza e della legale certezza di debiti non soddisfatti con le attività della liquidazione medesima;
documentazione, da parte dell’A.E., dell’esistenza di ruoli in cui siano iscritti i tributi della società da porre in riscossione;
impossibilità, da parte dell’A.E., di emettere a carico del Girola l’avviso d’accertamento in assenza del presupposto necessario per esperire l’azione di responsabilità in capo all’amministratore e al liquidatore rappresentato dalla definitività della sentenza emessa nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
Con il quinto motivo viene dedotta la «Violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4) c.p.c., degli artt. 112 e 132, 2 co., n. 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 36, 2 co., n. 4), D.Lgs. 546/1992, 111, 6 co., Cost., 6 C.E.D.U., per insanabile contraddittorietà della motivazione risultante dalla lettura del testo della sentenza impugnata. Erroneità della sentenza della C.T.R. nella parte in cui dapprima afferma che il ricorrente rivestisse le qualifiche di amministratore e liquidatore e successivamente -contraddicendosi -che il medesimo ricorrente fosse anche socio. Conseguenti riflessi sul diverso regime di responsabilità che l’art. 36 D.P.R. 602/1973 riserva ai soci e ai liquidatori nella versione applicabile ai fatti di causa (anno 2012)».
Con il sesto motivo viene dedotta la «Violazione e/o falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c., dell’art. 28, 5 co. d.lgs. 175/2014 in relazione all’art. 36 D.P.R. 602/1973; nonché
degli artt. 43 D.P.R. 600/1973 e 57 D.P.R. 633/1972 in relazione all’art. 1, 132 co., L. 208/2015».
6.1. Lamenta il ricorrente che la CTR era incorsa in errore nel ritenere nella specie raddoppiati i termini di accertamento benché difettasse la prova della presentazione della denuncia di reato entro i termini ordinari di accertamento.
6.2. Sostiene il ricorrente che la denuncia di reato non era stata presentata entro i termini ordinari di accertamento in quanto:
-la denuncia prodotta dall’Ufficio non riporta la data in cui la stessa sarebbe stata presentata alla Procura della Repubblica, circostanza che costituisce conditio sine qua non per poter beneficiare del raddoppio dei termini alla luce dell’art. 1, 132 co. L. 208/2015;
-trattandosi dell’anno d’imposta 2012, l’avviso avrebbe dovuto essere notificato entro il 31.12.2017;
-l’avviso d’accertamento di RAGIONE_SOCIALE, in prima pagina indica quale data di notifica il 13 gennaio 2018, cioè una data successiva al 31.12.2017, ossia il termine di decadenza dal potere di accertamento.
Con il settimo motivo viene dedotta la «Violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5) c.p.c., dell’art. 2697 c.c. nonché dell’art. 28, 5 co. d.lgs. 175/2014 in relazione all’art. 36 D.P.R. 602/1973; nonché degli artt. 43 D.P.R. 600/1973 e 57 D.P.R. 633/1972 in relazione all’art. 1, 132 co., L. 208/2015 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
7.1. Il motivo ripropone la questione dedotta nel precedente sesto motivo di ricorso ma sotto il profilo dell’omesso esame da parte dei giudici di appello «del fatto che l’avviso d’accertamento di RAGIONE_SOCIALE, in prima pagina indica quale data di notifica il 13 gennaio 2018, cioè una data successiva al 31.12.2017», ovvero di quella della comunicazione di notizia di reato.
Con l’ottavo motivo viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt.
91 e ss. cod. proc. civ. per avere la CTR liquidato le spese del grado d’appello in favore dell’amministrazione finanziaria benché la stessa fosse assistita da un proprio funzionario.
Va esaminato preliminarmente, per evidenti ragioni di ordine logico giuridico, il quinto motivo di ricorso con cui viene dedotta la nullità della sentenza per motivazione contraddittoria.
9.1. Il motivo è infondato e va rigettato.
9.2. Il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti confluenti nella stessa “ratio decidendi” e tali da non permettere di comprendere la “ratio decidendi” che sorregge il “decisum” adottato, per cui non è ravvisabile la motivazione contraddittoria allorché, dalla lettura della sentenza, non sussistano incertezze di sorta su quella che è stata la volontà del giudice (Cass., Sez. U, sentenza n. 25984 del 22/12/2010, Rv. 615519 -01).
9.3. Nella specie, la sentenza impugnata svolge argomentazioni niente affatto connotate da quell’ irriducibile contraddittorietà necessaria al fine di ravvisare il denunciato vizio, tale non potendosi considerare la diversa qualificazione del ruolo svolto dal ricorrente in ambito societario, attribuitagli in sentenza dai giudici di appello che lo hanno indicato ora amministratore e liquidatore, ora quale socio, benché tale non lo sia mai stato. D’altro canto, ciò non ha neppure influito sul decisum posto che i giudici di appello mai hanno scisso le due qualifiche avendole ritenute sussistenti entrambe.
Sempre preliminarmente, essendo questioni astrattamente idonee a risolvere il giudizio, vanno esaminati il sesto e settimo motivo di ricorso proposti con riferimento all’insussistenza sub specie delle condizioni per il raddoppio dei termini di accertamento.
10.1. Va premesso che è pacifico tra le parti che l’avviso di accertamento è stato e messo con riferimento all’anno d’imposta 2012 e che il termine ordinario di accertamento scadeva il 31/12/2017.
Il sesto motivo, declinato come violazione di legge, è inammissibile in quanto si scontra con l’accertamento in fatto compiuto dai giudici di appello, secondo cui l’Agenzia ha «… provato con documentazione in atti la comunicazione di motivo di reato a carico del Girola NOME ed altri con protocollo n. 302538/2017 del 18/12/2017», ovvero in data antecedente alla scadenza (al 31/12/2017) del termine di accertamento; circostanza di fatto, questa, del resto ripresa e ammessa dal ricorrente, che la richiama alla nota 47 del punto 8 di pag. 35 del ricorso.
12. Il settimo motivo è inammissibile.
12.1. Là dove si lamenta che il giudice d’appello non abbia valutato che l’avviso di accertamento riporta in prima pagina, quale data di notifica della comunicazione della notizia di reato, il 13 gennaio 2018, si denuncia, in realtà, il travisamento del fatto probatorio (Cass., Sez. Un., n. 5792 del 05/03/2024), che può essere fatto valere ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nei limiti in cui questa censura può essere proposta.
Nel caso in esame, la censura non può essere proposta, posto che il fatto storico, rilevante in causa, ossia la data di trasmissione della notizia di reato, è stata esaminata e valutata tenendo conto dei documenti in questione e degli elementi da essi risultanti (v. Cass., Sez. Un., n. 8053 del 7/04/2014).
Deve, a questo punto, esaminarsi il primo motivo di ricorso che è infondato e va rigettato.
13.1. Invero, il riferimento alla versione più aggiornata dell’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, quella esitata dalla modifica apportata alla predetta disposizione dall’art. 28, comma 5, del d.lgs. n. 175 del 2014, è stata fatta dai giudici di appello al solo ed esclusivo fine di risolvere «la prima questione che si pone», ovvero «quella di capire la sorte dei debiti sociali non estinti in conseguenza dell’estinzione della società e quali po essere le azioni che i creditori sociali po intraprendere per vedere soddisfatti i propri crediti» (sentenza, pag. 2). Peraltro, non vi
è alcuna parte della sentenza impugnata da cui si possa desumere che, al di là di quel profilo, sia stata fatta applicazione della disposizione nella versione aggiornata.
13.2. A ciò deve aggiungersi che, con riguardo al profilo della responsabilità dei liquidatori, degli amministratori e dei soci, che era la questione che la CTR doveva risolvere, il citato art. 36, nella versione modificata dall’art. 28, comma 5, del d.lgs. n. 175 del 2014, non si discosta in nulla da quella originaria. Infatti, a dirla con Cass., Sez. U, n. 32790/2023, la parte dispositiva della norma è rimasta immutata, e la modifica ha investito soltanto l’onere probatorio che il legislatore ha mitigato per l’Amministrazione finanziaria facendolo gravare sul liquidatore che ha, ora, l’onere di fornire la prova liberatoria.
Il secondo motivo di ricorso, che è variamente articolato con riferimento alla responsabilità del liquidatore di società di capitali ex art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, è parimenti infondato.
14.1. Sulla questione della responsabilità dei liquidatori di società cessata si sono pronunciate le Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 32790 del 27/11/2023 (Rv. 669631 -01), in cui si è chiarito che la responsabilità del liquidatore ex art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, che trae titolo per fatto proprio ex lege, ha natura civilistica e non tributaria, con la conseguenza che, ai fini della legittimità dell’atto di accertamento emesso nei suoi confronti ai sensi del comma 5 dello stesso art. 36, non costituisce condizione necessaria la preventiva iscrizione a ruolo e che il predetto, col ricorso avverso tale avviso, può contestare, innanzi agli organi della giustizia tributaria, la sussistenza dei presupposti dell’azione intrapresa nei suoi confronti, ivi compreso il debito della società per le imposte. La responsabilità del liquidatore nei confronti dell’erario, dunque, non è una responsabilità tributaria, bensì una forma speciale di responsabilità civile che viene azionata direttamente da parte dell’amministrazione con un atto di accertamento impugnabi le secondo le
regole del processo tributario (art. 36, ultimo comma, del d.P.R. n. 602 del 1973).
14.2. Nel dettaglio, le Sezioni unite hanno esaminato la questione di massima di particolare importanza relativa ai presupposti dell’azione promossa nei confronti del liquidatore di una società ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, e, in particolare, se essa richieda un preventivo accertamento del debito tributario nei confronti della società e, necessariamente, la sua iscrizione a ruolo.
14.3. Il Supremo consesso, richiamata la normativa di riferimento, avallando il consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi sia nelle stesse Sezioni unite, quando chiamate ad occuparsene ai fini dell’individuazione della giurisdizione sulle controversie promosse dai liquidatori (v. Cass. Sez. U. 27 ottobre 1971 n. 3021; Cass. Sez. U. 3 giugno 1978 n. 2766; Cass. Sez. U. 4 maggio 1989 n. 2079), sia nella Sezione Tributaria, che si è invece occupata più specificamente della materia (v., tra le altre, Cass. 11 maggio 2012 n. 7327; Cass. 19 novembre 2019 n. 29969; Cass. 20 luglio 2020 n. 15377), ha affermato che tale responsabilità trova la sua fonte in un’obbligazione, propria, ex lege (in base agli artt. 1176 e 1218 cod. civ.), avente natura civilistica e non tributaria (cfr., tra le altre, Cass. 26 maggio 2021 n. 14570 con ampi richiami ai precedenti conformi). Ed ha precisato che «Tale orientamento, condiviso peraltro dalla dottrina maggioritaria, continua a essere ininterrottamente e pacificamente seguito dalla giurisprudenza di questa Corte, anche a seguito della riforma del diritto societario di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6 e nella vigenza dell’art. 28, comma 4, del d. lgs. n. 175 del 2014 (prevedente come detto, la sospensione per un quinquennio, ai soli fini fiscali, dell’efficacia dell’estinzione della società)».
14.4. Quindi, nella pronuncia in esame, condividendo i principi già affermati da Cass. n. 14570/2021 e Cass. n. 29969/2019, le Sezioni unite hanno ribadito che «la responsabilità per le obbligazioni tributarie non è diretta ma deriva dalla carica rivestita dal liquidatore, ai sensi del
menzionato articolo 36, oltreché dell’art. 2495 cod. civ., le quali norme -senza che possa essere riconosciuta al predetto la qualità di successore della società nei debiti tributari della stessa o porre alcuna coobbligazione di debiti tributari a suo carico – delineano una fattispecie del tutto autonoma e sussidiaria rispetto alla responsabilità per debiti fiscali della società, poi estinta, i quali ne costituiscono il mero presupposto». Insomma, la responsabilità del liquidatore rispetto all’obbligazione tributaria della società è responsabilità distinta da quella societaria, di natura autonoma e di tipo civilistico e non tributario, in quanto le condotte che fanno sorgere la responsabilità del liquidatore «sono estranee alla realizzazione di fatti indice di capacità contributiva».
14.5. Con specifico riferimento alle ipotesi di estinzione di società a seguito di cancellazione dal registro delle imprese, come nella fattispecie in esame, le Sezioni unite hanno osservato che, «verificatasi l’estinzione della società contribuente, la successione nei debiti della società si realizza nei confronti dei soci (che ne rispondono diversamente a seconda del tipo di società, di persone o di capitali) i quali subentrano, anche nei processi in corso, ex art. 110 cod. proc. civ., nella legittimazione processuale facente capo all’ente, in situazio ne di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ossia a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale. Non si realizza, invece, alcuna successione del liquidatore nei debiti tributari della società contribuente, venendo meno il suo potere di rappresentanza dell’Ente estinto che non può essere più parte di alcun rapporto tributario – e dunque la sua legittimazione passiva in ordine all’atto impositivo. Anche se i soci subentrano negli stessi debiti che facevano capo alla società, si assiste ad una vicenda nuova e diversa da quella societaria, rispetto alla quale l’art. 2495, secondo comma, cod. civ. (ora comma 3 a seguito dell’art. 40, comma 12 -ter, lett. b), del d.l. n. 76 del 2020, convertito in legge n. 120 del 2020), per la generalità dei creditori sociali, e la disposizione speciale di cui all’art. 36 del d.P.R. n.
602 del 1973, per l’Erario, costituiscono norme di chiusura quanto alla responsabilità dei soci nonché dei liquidatori in ordine all’attività svolta».
14.6. E’, quindi, nell’ipotesi di cessazione della società che si rende ancor più evidente l ‘autonomia della responsabilità del liquidatore rispetto all’obbligazione tributaria della società , «non essendo il liquidatore successore ex lege nei debiti sociali ma responsabile in proprio e in forma autonoma, trattandosi di responsabilità basata su un presupposto diverso: al mancato pagamento delle imposte dovute dalla società deve aggiungersi la condotta personale del liquidatore che, venendo meno agli obblighi che sono propri della carica rivestita, ha utilizzato l’attività di liquidazione per l’assegnazione dei beni ai soci oppure per soddisfare crediti di ordine inferiore a quelli tributari che perciò sono rimasti insoluti». Due sono le fattispecie di negligenza del liquidatore tipizzate normativamente che fanno sorgere la responsabilità dello stesso. «La prima è costituita dal mancato rispetto dell’ordine di graduazione nella destinazione dell’attivo, se da ciò derivi danno all’Erario che non ricevette il dov uto in base al detto ordine e all’attivo disponibile. La seconda è costituita dal fatto che il mancato pagamento delle imposte è stato causato dall’assegnazione di beni sociali ai soci o agli associati prima di aver soddisfatto il creditore erariale, beni che sono stati così indebitamente sottratti all’attività della liquidazione».
14.7. Precisano le Sezioni unite che quella del liquidatore nei confronti dell’Erario ex art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973 è «responsabilità, in proprio e in forma autonoma rispetto all’obbligazione tributaria societaria, trattandosi di responsabilità fondata su un diverso titolo», ovvero sulla condotta del medesimo violativa degli obblighi conseguenti alla carica rivestita, sicché «il debito tributario della società costituisce mero presupposto fattuale di tale responsabilità, rispetto alla quale l’iscrizione a ruolo del credito fiscale, quale condizione necessaria di esperibilità della relativa azione, non appare giustificabile». Secondo le Sezioni unite, quindi, ««l’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 non prevede quale condizione
dell’azione l’iscrizione a ruolo, sia essa a titolo definitivo o a titolo provvisorio, del tributo della società ma, così come il suo antecedente storico (art. 265 del d.P.R. n. 645 del 1958), individua, quale oggetto della responsabilità del liquidatore, il mancato adempimento all’obbligo di pagare, con l’attività della liquidazione, «le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori». D ‘altra parte, osserva il Supremo consesso, « l’iscrizione a ruolo non genera l’imposta, rendendola dovuta, dovendosi a tal fine fare, invece, riferimento, al momento genetico del credito erariale che varia a seconda del tributo e segue, pertanto, una disciplina propria».
14.8. Quanto all’evenienza della cessazione della società a seguito cancellazione dal registro delle imprese, che pure in questa sede viene in rilievo, le Sezioni unite hanno affermato che, «verificatasi l’estinzione della società contribuente, la successione nei debiti della società si realizza nei confronti dei soci (che ne rispondono diversamente a seconda del tipo di società, di persone o di capitali) i quali subentrano, anche nei processi in corso, ex art. 110 cod. proc. civ., nella legittimazione processuale facente capo all’ente, in situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ossia a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale. Non si realizza, invece, alcuna successione del liquidatore nei debiti tributari della società contribuente, venendo meno il suo potere di rappresentanza dell’Ente estinto che non può essere più parte di alcun rapporto tributario – e dunque la sua legittimazione passiva in ordine all’atto impositivo. Anche se i soci subentrano negli stessi debiti che facevano capo alla società, si assiste ad una vicenda nuova e diversa da quella societaria, rispetto alla quale l’art. 2495, secondo comma, cod. civ. (ora comma 3 a seguito dell’art. 40, comma 12 -ter, lett. b), del d.l. n. 76 del 2020, convertito in legge n. 120 del 2020), per la generalità dei creditori sociali, e la disposizione speciale di cui all’art. 36 del d. P.R. n. 602 del 1973, per l’Erario, costituiscono norme di chiusura quanto alla responsabilità dei soci nonché dei liquidatori in ordine all ‘attività svolta ».
15. Tali principi hanno trovato ulteriore autorevole conferma dalla recente pronuncia di questa Corte, sempre a Sezioni unite, n. 3625/2025, che, ricostruendo gli effetti sostanziali e processuali conseguenti alla cessazione delle società, di persone e di capitali, occupandosi dell’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, dopo aver precisato che «La norma delinea due diverse ipotesi di responsabilità per debiti di imposta della società», quella dei liquidatori e amministratori (comma 1) e quella dei soci (comma 3), con riferimento alla prima ha ribadito, in conformità ai principi già espressi dalle Sez. U n. 32790/2023, che la responsabilità dei liquidatori ed amministratori si pone «al di fuori di qualsiasi fenomeno di successione, continuità o co-obbligazione con la società, vertendosi piuttosto di responsabilità ex lege, risarcitoria ed illimitata, per fatto proprio ex artt. 1176 e 1218 cod.civ., con la conseguenza (v. Cass. n. 11968 del 13 luglio 2012) che, estinta la società contribuente, il processo tributario nel quale questa risulti coinvolta non può proseguire ad opera o nei confronti dell’ex liquidatore o dell’ex amministratore. Si è poi aggiunto che il fatto per cui la responsabilità di questi organi debba essere accertata dall’Ufficio con atto motivato da notificarsi ai sensi del d.P.R. n.600 del 1973, art. 60, avverso il quale è ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario (art. 36 cit., penult. e ult. co.) non esclude che il credito dell’Amministrazione finanziaria (soggetto all’ordinaria prescrizione decennale) abbia comunque natura non tributaria ma civilistica, con riguardo alla quale l’obbligazione d’imposta funge da mero presupposto della responsabilità stessa (Cass. SSUU n.2767 del 7 giugno 1989)».
16. Va ulteriormente precisato che la responsabilità in esame non è di per sé equiparabile all’obbligazione derivante dalla responsabilità verso i creditori, ex art. 2394 c.c. ed ex art. 2495 c.c., né è sovrapponibile, in quanto fondata su norma speciale, alla responsabilità dei liquidatori ai sensi dell’art. 2489 c.c. ed alla responsabilità “diretta” per danni provocati
dagli amministratori nei confronti del socio o del terzo ex art. 2395 cod. civ. (così in Cass. n. 30481 del 17/10/2022).
Riassumendo, perché operi la responsabilità del liquidatore ex art. 36 citato, non è necessario che l’atto impositivo sia notificato alla società prima della sua cancellazione dal registro delle imprese, né che il debito tributario della società sia iscritto a ruolo prima della cancellazione/estinzione di quest’ultima: ciò che rileva è che l’atto di accertamento sia notificato al liquidatore (o ad uno degli altri soggetti civilmente responsabili ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 600 del 1973) entro il termine di decadenza dal potere di accertamento e che sia motivato sia con riferimento ai presupposti e all’entità del debito tributario già facente capo alla società, sia con riferimento ai presupposti oggettivi e soggettivi di cui all’art. 36 cit. (qualità rivestita dal soggetto nei cui confronti si fa valere la responsabilità nell’ambito della compagine sociale).
17.1. Secondo Cass. n. 30481 del 2022, «la giurisprudenza consolidata di questa Corte, richiede la duplice condizione che i ruoli in cui siano iscritti i tributi della società possano essere posti in riscossione e che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività della liquidazione medesima (Cass. n. 8685 del 2002; Cass. n. 11968 del 2012; Cass. n. 28401 del 2020; Cass. n. 14570 del 2021), ammettendo l’iscrizione in ruoli anche provvisori (Cass. n. 10508 del 2008; Cass. n. 7327 del 2012; Cass. n. 15377 del 2020)».
Orbene, dal complesso delle argomentazioni svolte discende l’infondatezza di tutte le questioni poste dal ricorrente nel motivo in esame così come sopra riferite.
Il terzo motivo, con cui viene dedotto un vizio logico di motivazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., è nel suo complesso inammissibile.
19.1. È noto, infatti, che l’ art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile
per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di questioni o deduzioni difensive e tanto meno l’omesso esame di domande introdotte n el giudizio.
19.2. Con il motivo in esame il ricorrente sostanzialmente lamenta che i giudici di appello non aveva no verificato se l’Ufficio avesse:
dimostrato che il liquidatore avesse esaurito le disponibilità della liquidazione senza provvedere al pagamento dei debiti tributari;
dimostrato l’esistenza e la legale certezza di debiti non soddisfatti con le attività della liquidazione medesima;
documentato l’esistenza di ruoli in cui siano iscritti i tributi della società da porre in riscossione.
19.3. Orbene, a prescindere dal rilievo dell’oggettiva diversità ontologica dei vizi di omessa pronuncia ed omessa motivazione (cfr. Cass., Sez. 5, ordinanza n. 27551 del 23/10/2024, Rv. 672731 – 01), deve osservarsi che, in ogni caso, le questioni di cui ai punti 2 e 3 sono infondate alla stregua di quanto detto sopra esaminando il secondo motivo di ricorso. La questione di cui al punto 1 è, invece, assorbito da quanto si dirà esaminando il successivo quarto motivo.
Con tale (quarto) mezzo di cassazione si sostiene che i giudici di appello avevano omesso di pronunciare su una serie di motivi di impugnazione (proposti in primo grado e riproposti in appello) che, in ossequio al principio di specificità, il ricorrente ha ritrascritto nel ricorso, con cui aveva dedotto:
la necessità di « dimostrazione, da parte dell’A.E., dei presupposti previsti dall’art. 36 D.P.R. 602/1973, ossia che il liquidatore avesse esaurito le disponibilità della liquidazione senza provvedere al pagamento dei debiti tributari»;
la necessità di «dimostrazione, da parte dell’A.E., dell’esistenza e della legale certezza di debiti non soddisfatti con le attività della liquidazione medesima»;
la sussistenza di «documentazione, da parte dell’A.E., dell’esistenza di ruoli in cui siano iscritti i tributi della società da porre in riscossione»;
la «impossibilità, da parte dell’A.E., di emettere a carico del Sig. Girola l’avviso d’accertamento in assenza del presupposto necessario per esperire l’azione di responsabilità in capo all’amministratore e al liquidatore rappresentato dalla definitività della sentenza emessa nei confronti di RAGIONE_SOCIALE».
20.1. Il motivo è fondato ma dal suo accoglimento non può discendere la cassazione con rinvio in ordine a tutti i motivi di appello non esaminati e ciò alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale, cui deve darsi continuità, in base al quale «Nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto» (Cass. n. 17413 del 2016; Cass. n. 16171 del 2017).
20.2. Va, quindi, rilevata l’infondatezza delle domande di cui alle sopra indicate lettere c) e d), alla stregua dei principi giurisprudenziali di cui si è dato atto esaminando il secondo motivo di ricorso.
20.3. Alla medesima conclusione non può pervenirsi con riferimento alle domande di cui alle superiori lettere a) e b) atteso che sulle questioni in esse poste vi è necessità di svolgere accertamenti di fatto riservati al giudice di merito ma che non sono stati effettuati dai giudici di appello giacché su tali profili di doglianza non è rinvenibile nella sentenza impugnata alcuna statuizione, neppure implicita.
20.4. L’ottavo motivo, con cui viene dedotta la violazione ed errata applicazione degli artt. 91 e segg. cod. proc. civ. per avere la CTR liquidato le spese del grado d’appello in favore dell’amministrazione finanziaria
benché la stessa fosse assistita da un proprio funzionario, è infondato e va rigettato alla stregua del principio giurisprudenziale, assolutamente condivisibile, in base al quale «Nel processo tributario, all’Amministrazione finanziaria che sia stata assistita in giudizio da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite, spetta la liquidazione delle spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ad essi spettanti, atteso che l’espresso riferimento ai compensi per l’attività difensiva svolta, ora contenuto nell’art. 15, comma 2-bis, del d.lgs. n. 546 del 1992, ma comunque da sempre previsto da detto articolo, conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti che siano legittimati a svolgere attività difensiva nel processo» (Cass., Sez. 5, ordinanza n. 1019 del 10/01/2024, Rv. 670245 – 01).
21. Conclusivamente, va accolto il quarto motivo di ricorso, nei limiti di cui si è detto, e rigettati tutti gli altri. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia che provvederà anche alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il quarto motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, rigetta tutti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai profili del motivo accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma in data 11 marzo 2025