Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7238 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7238 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16180 -20 19 R.G. proposto da:
COGNOME NOME , rappresentata e difesa, per procura speciale in atti, dall’AVV_NOTAIO COGNOME (pec: EMAIL), presso il cui studio legale, sito in Roma, alla INDIRIZZO, è elettivamente domiciliata;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, domicilia;
– controricorrente –
Oggetto:
Tributi –
avverso la sentenza n. 7920/02/2018 della Commissione tributaria regionale del LAZIO, depositata il 14/11/2018; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/02/2024 dal AVV_NOTAIO;
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE, in esito a verifica effettuata in data 31 luglio 2009 nei locali della ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Pala Slot’ da cui era emersa la presenza di un apparecchio da intrattenimento ex art. 110, comma 6, TULPS non conforme alle prescrizioni di legge perché privo del necessario nulla osta di messa in esercizio e non collegato alla rete telematica, come tale sottoposto a sequestro, e a verifica tecnica effettuata sul predetto apparecchio in data 17 dicembre 2013, emetteva un avviso di accertamento PREU per l’anno d’imposta 2009 nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, soggetto passivo dell’imposta, nonché nei confronti di NOME COGNOME quale obbligata in solido per essere la legale rappresentante della predetta RAGIONE_SOCIALE.
La contribuente impugnava l’avviso deducendo il proprio difetto di legittimazione passiva per essere del tutto estranea ai fatti addebitatile in quanto non era né l’esercente, né possessore dei locali in cui era installato l’apparecchio da gioco, ma semplicemente la nuda proprietaria dell’immobile.
La Commissione tributaria provinciale di Roma rigettava il ricorso. La sentenza era confermata dal giudice d’appello che rilevava che la responsabilità ‘a qualsiasi titolo’ della COGNOME non era legata al fatto che la stessa aveva sottoscritto il verbale (non impugnato con querela di falso) di verifica tecnica dell’apparecchio del 17 dicembre 2013 in cui veniva indicata quale rappresentante legale dell’esercizio , ma al fatto che « nell’anno 2009 la ricorrente continuava a gestire la sala giochi in nome e per conto della società RAGIONE_SOCIALE » per come si desumeva dal fatto che in data 17/09/2007
la COGNOME aveva ceduto la licenza dei giochi al RAGIONE_SOCIALE, costituita dalla figlia NOME COGNOME, amministratrice, e dalla socia NOME COGNOME, la quale, a sua volta, aveva ceduto l’attività di bar alla predetta RAGIONE_SOCIALE e, quindi, « vi era stato un semplice passaggio generazionale tra genitori e figli ».
Avverso tale statuizione la contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui replica l ‘ intimata con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., viene dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’ art. 39 quater, commi 1 e 2, del d.l. n. 269 del 2003, convertito dalla legge n. 326 del 2003. La ricorrente censura la sentenza impugnata per « errores in iudicando circa l’erronea considerazione che la ricorrente abbia esercitato l’attività di giuoco lecito » nonché per « errores in procedendo per nullità della sentenza per vizio di ultrapetizione », sostenendo, in relazione a tale ultimo profilo, che la CTR aveva deciso su questione, quella della gestione della sala giochi «in nome e per conto della società di RAGIONE_SOCIALE» non costituente oggetto del giudizio in quanto estranea alla contestazione mossa dall ‘Ufficio e neppure rilevabile d’ufficio.
Va esaminato preliminarmente tale ultima censura che è infondata e va rigettata atteso che l’imputazione alla contribuente della responsabilità solidale per le somme dovute a titolo di PREU, quale esercente del locale in cui era installato l’apparecchio di gioco , l’amministrazione l’aveva desunta dal verbale di verifica tecnica del predetto apparecchio effettuata in data 17 dicembre 2013 dai propri dipendenti, in cui la stessa era indicata quale ‘rappresentante legale dell’esercizio’ e non, invece, dal fatto che la stessa fosse la
nuda proprietaria dei locali ove veniva esercitata l’attività di sala giochi, come sostiene la ricorrente nel motivo in esame (ricorso, pag. 7).
Anche la prima doglianza è infondata perché, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, i giudici di appello non son incorsi nella violazione dell’art. 39 quater , comma 2, del d.l. n. 269 del 2003, convertito dalla legge n. 326 del 2003.
3.1. Invero, tale disposizione, ai fini del pagamento del PREU su apparecchi o congegni privi del nulla osta, individua quale responsabile in solido con il soggetto che «ha provveduto alla loro installazione o, nel caso in cui non sia possibile la sua identificazione, dal possessore o detentore a qualsiasi titolo dei medesimi apparecchi o congegni», «l’esercente a qualsiasi titolo i locali in cui sono installati gli apparecchi e congegni privi del nulla osta».
3.2. Orbene, nel caso di specie, i giudici di appello hanno ritenuto che la COGNOME fosse l’esercente della sala giochi ove era situato l’apparecchio privo di nulla osta e non collegato alla rete telematica, sulla scorta di un accertamento in fatto che la ricorrente non ha censurato come, invece, avrebbe dovuto fare, ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
3.3. Su tale aspetto della vicenda processuale, diversamente da quanto pure sostiene la ricorrente, non può ritenersi che si sia formato il giudicato esterno ad opera della sentenza della CTP di Roma n. 11341/26/2016 che aveva ritenuto la COGNOME «estranea all’imposizione tributaria», affermando che «dall’anno 2007 la ricorrente non esercitava alcuna attività commerciale, ma era solo la nuda proprietaria dell’immobile».
3.4. Invero, l’eccezione di giudicato esterno sollevata dalla ricorrente è inammissibile alla stregua del principio giurisprudenziale in base al quale «La parte che eccepisce il
passaggio in giudicato di una sentenza ha l’onere di fornirne la prova mediante produzione della stessa, munita della certificazione di cui all’art. 124 disp. att. c.pc., anche nel caso di non contestazione della controparte, restandone, viceversa, esonerata solo nel caso in cui quest’ultima ammetta esplicitamente l’intervenuta formazione del giudicato esterno» (Cass. n. 36258 del 2023; in termini, Cass. n. 6868 del 2022; n. 20974 del 2018). Nella specie la copia della sentenza della CTR di Roma prodotta in atti non contiene alcuna attestazione in tale senso, né la parte ha prodotta altra idonea documentazione attestante la mancata impugnazione di tale pronuncia.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la «nullità della sentenza circa la considerazione del solo anno impositivo 2009 ai fini PREU. Omessa pronuncia e/o motivazione apparente per omesso esame di motivi di ricorso nonché per omessa esposizione RAGIONE_SOCIALE ragioni di fatto», in violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1 e 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 111, sesto comma, Cost.
4.1. Sostiene, in particolare, che l’affermazione dei giudici di appello secondo cui «Correttamente, poi, l’ufficio ha accertato l’imponibile alla data del sequestro per differenza tra la raccolta di gioco alla data del 31/7/2009 risultante dagli apparecchi sequestrati e quanto già versato al concessionario», sarebbe tautologica e, comunque, mancante di adeguata spiegazione RAGIONE_SOCIALE ragioni della decisione assunta al riguardo.
4.2. Il motivo è inammissibile ed infondato.
4.3. E’ inammissibile per l’intrinseca contraddittorietà della contestuale deduzione del vizio di «omessa pronuncia» e di quello di «motivazione apparente», nonché per difetto di specificità del vizio di omessa pronuncia, non avendo la ricorrente riprodotto nel
ricorso i motivi di appello che la CTR non avrebbe esaminato (arg. da Cass. n. 28072 del 2021).
4.4. E’ comunque infondato e va rigettato nella parte in cui muove alla statuizione impugnata la censura di motivazione apparente.
4.5. Come questa Corte ha più volte affermato, la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, n. 22232 del 2016, cit.; Cass. sez. 6- 5, ord. n. 14927 del 15/6/2017 conf. Cass. n. 13977 del 23/05/2019; Cass. n. 29124/2021). Invero, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., sez. 6-5, 28829 del 2021).
4.6. Orbene, nel caso di specie, in cui è pacifico che l’apparecchio di gioco venne sottoposto a sequestro il 31 luglio 2009, in esito a verifica effettuata da personale della Polizia di RAGIONE_SOCIALE presso i locali della sala giochi in questione, le giocate totalizzate
da quell’apparecchio privo di nulla osta non potevano che essere imputate all’anno d’imposta 2009, corrispondente a quello dell’intervenuto sequestro, ai sensi dell’art. 39 quater del d.l. n. 269 del 2003, convertito, e non potevano che essere quantificate che «per differenza» tra le giocate totalizzate dall’apparecchio, come emerso a seguito della verifica tecnica effettuata dai funzionari dell’Ufficio in data 17 dicembre 2013 e quanto già versato al concessionario.
4.7. Ne discende che la Corte territoriale non aveva alcun onere di specificare ulteriormente le ragioni per le quali aveva ritenuto corretto l’accertamento dell’imponile così come operato dall’Ufficio, con riferimento sia alle concrete modalità di determinazione dello stesso che alla sua i mputazione all’anno d’imposta 2009.
Con il terzo motivo viene dedotta la «nullità della sentenza circa l’omessa pronuncia e/o motivazione apparente per omesso esame di motivi di appello ‘Sub B e D’ nonché per omessa esposizione RAGIONE_SOCIALE ragioni di fatto», in violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1 e 36, comma 2, n. 2 e 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ.
5.1. Sostiene la ricorrente che i giudici di appello avevano omesso di pronunciarsi sul motivo di appello indicato come ‘Sub B’, con cui aveva «eccepito che era errata la sentenza di primo grado ove era stata applicata la norma PREU senza alcuna mediazione» e s u quello indicato come ‘Sub D’, con cui aveva lamentato l’erroneità dell’ammontare del PREU indicato nell’atto impositivo «sulla base di calcoli scorretti circa l’applicazione dell’aliquota del 12,43%».
5.2. Il motivo è inammissibile ed infondato.
5.3. E’ inammissibile per l’intrinseca contraddittorietà della contestuale deduzione del vizio di «omessa pronuncia» e di quello di «motivazione apparente», nonché per difetto di specificità del vizio di omessa pronuncia, non avendo la ricorrente riprodotto nel ricorso i motivi di appello che la CTR non avrebbe esaminato (arg. da Cass. n. 28072 del 2021).
5.4. E’ infondato in quanto la pronuncia della CTR, di rigetto nel merito dell’appello della contribuente, costituisce implicito rigetto anche RAGIONE_SOCIALE questioni poste con i motivi di appello sommariamente riassunti nel ricorso in esame.
5.5. A tal riguardo, infatti, deve ricordarsi che per questa Corte «Non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata, in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, non occorrendo una specifica argomentazione in proposito. È quindi sufficiente quella motivazione che fornisce una spiegazione logica ed adeguata della decisione adottata, evidenziando le prove ritenute idonee a suffragarla, ovvero la carenza di esse, senza che sia necessaria l’analitica confutazione RAGIONE_SOCIALE tesi non accolte o la disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significative» (Cass. n. 7662 del 2020; in termini anche Cass. n. 2153 del 2020; Cass. n. 2151 del 2020; Cass. n. 20718 del 2018).
In estrema sintesi il ricorso va rigettato e la ricorrente, in applicazione del principio della soccombenza, va condannata al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.400,00 per compensi, oltre al rimborso RAGIONE_SOCIALE spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma in data 15 febbraio 2024