Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22711 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22711 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/08/2025
Oggetto: raddoppio termini accertamento -presupposti -contenuto del giudizio di rinvio
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1711/2024 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliate in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC: EMAIL
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia n. 2164/4/2023, depositata il 14.7.2023. camerale del 28 maggio 2025
Udita la relazione svolta nell’adunanza dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia n. 2164/4/2023, depositata il 14.7.2023 veniva rigettato l’ appello proposto da ll’ Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Lecce n. 1154/5/2015 che aveva ad oggetto l’avviso di accertamento notificato alla RAGIONE_SOCIALE per II.DD., inclusa l’IRAP, e IVA relative all’anno di imposta 2005.
Nella sentenza impugnata si legge che l’avviso veniva emesso a seguito di p.v.c. della Guardia di Finanza relativo ad un controllo dell’utilizzo da parte della società, di un finanziamento in conto impianti ottenuto in forza della L. 488/92, da cui emergeva, per l’anno d’imposta suddetto, l’omessa dichiarazione di componenti positivi di reddito per euro 25.591,68 l’indebita detrazione di quote di ammortamento per operazioni inesistenti di euro 71.253,67 nonché di costi non documentati per euro 110.000,00, l’indebita deduzione di IVA su detti costi per euro 22.000,00, la sottofatturazione in relazione a cessioni di immobili con omissione della dichiarazione di ricavi per euro 65.500,00, e l’omessa presentazione del modello INTRASTAT relativo agli acquisti intracomunitari. In conseguenza, veniva elevato ad euro 375.895,35 il reddito d’impresa per il periodo di imposta, ad euro
3.389.686,00 il valore degli affari e ad euro 974.916,00 il valore della produzione ai fini IRAP e venivano irrogate le sanzioni.
Il giudice di prime cure accoglieva la preliminare doglianza avanzata dalla contribuente di violazione dell’art.43, comma 2 bis, d.P.R. n.600/73, per essere stato notificato l’atto impositivo allorquando era spirato il termine decadenziale di esercizio della potestà impositiva, non essendo applicabile il raddoppio dei termini alla fattispecie, in assenza dei requisiti per la denuncia penale ex d.lgs. n.74/2000 nei confronti della società. La decisione veniva confermata dal giudice d’appello.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per Cassazione l’ Agenzia delle Entrate deducendo due motivi, cui replica la contribuente con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo l ‘Agenzia prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 , cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 43, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e 36 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 nonché il difetto di motivazione.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 , cod. proc. civ., il difetto di motivazione e la violazione e falsa applicazione dell’articolo 36 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, per apparenza della motivazione circa la statuizione di insussistenza di alcun elemento indice di obbligo di denuncia.
I motivi, connessi, possono essere esaminati congiuntamente e, riqualificato il secondo ai sensi del n.4 del paradigma processuale, sono fondati, nei limiti che seguono.
3.1. Va innanzitutto ribadito che in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili ratione temporis , presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011 (Cass. Sez. 6-5, ordinanza n. 17586 del 28/06/2019).
3.2. Pertanto, ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, deve contestare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, non potendo mettere in discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributario (Cass. Sez. 5, ordinanza n. 13481 del 02/07/2020). In altri termini, come disposto dalla stessa sentenza della Corte costituzionale n. 247 del 2011, in caso di denuncia presentata per i medesimi fatti oggetto di ripresa, al fine di verificare l’uso pretestuoso del raddoppio dei termini, «il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta ‘prognosi postuma’) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità».
3.3. Tale accertamento non è stato compiuto dal giudice del merito, il quale ha innanzitutto affermato: «nella fattispecie, il Collegio osserva che in atti non risulta depositata la notitia criminis (nemmeno in copia fotostatica) impedendosi così a questo giudice di delibare in ordine alla sussistenza o meno (i.e. il dovere del giudice di vagliare autonomamente la presenza) dell’obbligo di denuncia» e, come sopra visto, il profilo è irrilevante dovendosi valutare autonomamente i presupposti.
Inoltre, ritenuto erroneamente decisivo tale argomento, ha poi apoditticamente affermato, a pag.5 della decisione: «come pure ben ritenuto e correttamente osservato dall’appellato, alcun elemento indice di obbligo di denuncia sussisteva per l’appunto per l’anno 2005», ma senza fornire alcuna spiegazione del perché sia giunto a tale conclusione, rendendo una statuizione che non rispetta il minimo costituzionale (Cass. n.8053/2014).
Infine, a pag.5 della sentenza ha motivato, dichiaratamente ad abundantiam , richiamando l’esito favorevole al contribuente del processo d’appello, per diversi periodi di imposta, sancito dalla sentenza CTR Puglia (sez. 23 n. 69/2016), con esteso richiamo alle considerazioni svolte dal giudice in quel giudizio circa il ritenuto illegittimo utilizzo del raddoppio dei termini anche in conseguenza dell’esito del procedimento penale scaturito per i fatti di causa, conclusosi con decreto di archiviazione; siffatti profili sono irrilevanti ai fini del decidere, come chiarito dalla giurisprudenza che precede, in assenza di alcun effetto di giudicato sul presente processo.
La Consulta richiedeva al giudice del merito di verificare ex post se sussistessero in concreto i presupposti per l’obbligo di denuncia, adempimento non compiuto dando conto del quadro istruttorio del processo e che dev’essere demandato al giudice del rinvio; siffatto accertamento, per consolidata interpretazione, deve riguardare i fatti nel loro complesso e non investirli in una disamina atomistica e parcellizzata (Cass., ordinanza n. 9059 del 12/04/2018; conforme Cass., ordinanza n. 27410 del 25/10/2019).
Ciò che assume rilevanza ai fini del raddoppio del termine decadenziale in parola è la circostanza che le violazioni tributarie accertate integrino fatti anche penalmente rilevanti e, pertanto, il raddoppio dei termini di accertamento non opera con riferimento
all’IRAP (cfr. Cass., ordinanza n. 10483 del 03/05/2018) posto che l’IRAP non è un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali e, dunque, è evidente che in relazione alla stessa non può operare la disciplina del “raddoppio dei termini” di accertamento quale applicabile ratione temporis .
Conclusivamente, il ricorso va accolto limitatamente alla ripresa a tassazione ai fini IVA e II.DD. diverse dall’IRAP e la sentenza impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia per l’esame dei fatti complessivi ai fini dei presupposti per l’obbligo di denuncia e, in caso di esito favorevole, delle questioni inerenti l’IVA e le II.DD. diverse dall’IRAP rimaste assorbite, oltre che per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, in relazione al profilo accolto e a quelli rimasti assorbiti oltre che per il regolamento delle spese di lite.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 28.5.2025